Ultimo Aggiornamento : 05-10-2003 : Last Release
Nei segni che confondono la borghesia, la nobilità e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione! - KARL MARX -
 
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NOTE SU LAVORO  PRODUTTIVO  E  LAVORO  IMPRODUTTIVO

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

La  distinzione  e  la  determinazione  di  lavoro  produttivo  e  lavoro  improduttivo  è  fondamentale  per  comprendere  la  reale  natura  del  capitale e  del  suo  antagonista  diretto:  il  proletariato,  per  stabilire  in  maniera  scientifica  il  concetto  di  classe  operaia,  per  svelare  l’arcano  della  produzione  capitalistica.

Per  una  corretta  analisi,  bisogna  specificare  che  non  tutti  i  lavoratori  produttivi  sono  operai,  come  non  tutti  i  lavoratori  improduttivi  sono  parassiti  o  piccolo  borghesi.

Lavoro  produttivo,  astrattamente  inteso,  al  di  fuori  di  modi  di  produzione  specifici,  è  qualsiasi  attività  lavorativa  che  produce  valori  d’uso.  E’  come  dice  Marx  un  “ricambio  organico”  tra  uomo  e  natura. 

Lo  stesso  processo  di  produzione  è  l’unità  del  processo  produttivo  e  del  processo  di  valorizzazione,  così  come  la  merce  è  unità  di  valore  d’uso  e  valore  di  scambio.

Inteso  rispetto  la  produzione  di  valori  d’uso,  tutto  il  lavoro  è  lavoro  produttivo.

Ma,  tale  definizione  di  lavoro  produttivo,  così  come  appare  dal  punto  di  vista  del  processo  lavorativo  in  generale,  non  dice  niente  della  definizione  di  lavoro  produttivo  così  denominato  dal  processo  di  produzione  capitalistico.

Lavoro  produttivo  e  lavoro  improduttivo  vengono,  dunque,  determinati  dallo  specifico  modo  di  produzione  dominante.

Produttivo  e  improduttivo  non  concetti  mobili;  trasformandosi  il  modo  di  produzione,  possono  trasformarsi  gli  stessi  concetti  di  lavoro  produttivo  e  lavoro  improduttivo.

Il  lavoro,  in  quanto  capacità  lavorativa  dell’operaio,  separato  dal  capitale,  non  è  produttivo,  così  come  non  è produttivo  fino  a  quando  resta  nell’ambito  della  circolazione  mercantile  semplice  ( M -  D -  M) e  si  scambia  con  reddito.

E’  produttivo  soltanto  quando  riproduce  il  suo  contrario.

“Lavoro  produttivo,  nel  senso  della  produzione  capitalistica  è  il  lavoro  salariato  che,  nello  scambio  con  la  parte  salariale  del  capitale  (la  parte  del  capitale  spesa  in  salario)  non  solo  riproduce  questa  parte  del  capitale (o  il  valore  della  propria  capacità  lavorativa)  ma  oltre  ciò  produce  plusvalore  per  il  capitalista.  E’  produttivo  solo  il  lavoro  salariato  che  produce  capitale  (Ciò  significa  che  esso  riproduce,  accresciuta,  la  somma  di  valore  che  è  stata  spesa  in  esso,  ossia  che  restituisce  più  lavoro  di  quanto  ne  riceva  sotto  la  forma  di  salario.  Dunque  è  produttivo  solo  la  capacità  lavorativa  la  cui  valorizzazione  è  maggiore  del  suo  valore) [K. Marx  Teorie  del  plusvalore  Vol. 1°].

Il  lavoro  produttivo,  nella  società  capitalistica,  non  ha  nulla  a  che  vedere con  il  particolare  contenuto  del  lavoro,  né  con  la  sua  utilità.  Non  è  il  suo  valore  d’uso,  ma  il  valore  di  scambio  che  interessa  il  capitalista.

Un  lavoro  dello stesso  contenuto  può  essere  produttivo  o  improduttivo  a  secondo  se  rientra  o  meno  nel  rapporto  di  sfruttamento  dominante.

La  produzione  capitalistica  non  è  rivolta  alla soddisfazione  dei  bisogni;  ma  è  produzione  di  plusvalore.  Il  capitalista  ottiene  plusvalore  solo  con  lo  scambio  con  il  lavoro,  che,  per  questo,  si  può  definire  lavoro  produttivo.

Il    lavoro  produttivo descrive  il  rapporto  e  il  modo  in  cui  la  forza-lavoro  sta  all’interno  del  modo  di  produzione  capitalistico.

Il  lavoro  produttivo  trasforma  le  condizioni  di  lavoro  in  capitale  e  il  proprietario  di  capitale  in  capitalista:  esso  produce  non  una merce  specifica,  ma  il  capitale  stesso.

Lavoro  produttivo  è  quel  lavoro  che,  scambiandosi  direttamente  con  denaro  in  quanto  capitale,  per  l’operaio  riproduce  il  valore  della  propria  forza-lavoro,  mentre  per  il  capitalista  è  creatore  di  valore,  di  plusvalore.

“Il  concetto  di  operaio  produttivo  non  implica  dunque  affatto  soltanto  una  relazione  fra  attività  ed  effetto  utile,  fra  operaio  e  prodotto  del  lavoro,  ma  implica  anche  un  rapporto  di  produzione  specificamente  sociale,  di  origine  storica,  che  imprime  all’operaio  il  marchio  di  mezzo  diretto  di  valorizzazione  del  capitale.  Dunque,  essere  operaio  produttivo  non  è una  fortuna  ma  una  disgrazia” 

[ K.  Marx  Il  Capitale  Vol. 1°  Cap. quarto].

L’operaio  produttivo  si  trova  ad  essere  quello  che  meno  gode  ed  usufruisce  della  ricchezza  da  lui  prodotta.  Per  questo  è  una  disgrazia  essere  operaio  produttivo:  egli  produce  ricchezza,  ma  per  gli  altri.

La  differenza  fra  lavoro  produttivo  e  lavoro  improduttivo  sta  nel fatto  che,  mentre  il  primo  si  scambia  denaro  in  quanto  capitale,  il  secondo  si  scambia  denaro  in  quanto  denaro.

Questa  differenza  è  importante  riguardo  l’accumulazione,  perché  è  noto  lo  scambio  con  il  lavoro  produttivo  che  è  condizione  della  trasformazione  del  plusvalore  in  capitale.

Lavori  improduttivi sono  tutte  quelle  prestazioni  o  servizi  che  si  scambiano  con  reddito,  che  consumano  solo  reddito.

“..  e  lavoro  produttivo  il  lavoro  che  produce  merci,  e  lavoro  improduttivo  quello  che  produce  servizi  personali.  Il  primo  lavoro  si  rappresenta  in  una  cosa  vendibile:  il  secondo  deve  essere  consumato  mentre  viene  effettuato.  Il  primo  comprende  (a  eccezione  del  lavoro  che  forma  la  capacità  lavorativa  stessa)  tutta  la  ricchezza  materiale  e  intellettuale esistente  in  forma  di cosa,  tanto  la  carne  quanto  i  libri;  il  secondo  comprende  tutti  i  lavori  che  soddisfano  qualunque  bisogno  immaginario  o  reale  dell’individuo,  o  che  anche  si  impongono  all’individuo  contro  la  sua  volontà”  [K. Marx  Teorie  sul  plusvalore Vol. 1°] 

Il  lavoro  produttivo  comprende  tutto  il  lavoro  materiale  o  immateriale  che  entra  nella  produzione  di  merci.  Il  lavoro  improduttivo  è  tutto  il  lavoro  che  non  entra  nella  produzione  di  merci. 

Ai  prestatori  di  servizi  le  loro  prestazioni  appaiono  come  merci,  ma  per  il  compratore  non  sono  che  valori  d’uso.  Ovviamente  i  lavoratori  improduttivi  non  ottengono  gratis  il  loro  reddito,  essi  devono  lavorare  per  acquistare  le  merci,  ma  non  hanno  comunque  niente  a  che  fare  con  la  produzione  di  queste  merci. 

Ai  prestatori  di  servizi  le  loro  prestazioni  appaiono  come  merci,  ma  per  il  compratore  non  sono  che  valori  d’uso.  Ovviamente,  i  lavoratori  improduttivi  non  ottengono  gratis  il  loro  reddito, e   la  merce  che  acquistano,    non  hanno niente a  che  fare  con  la  produzione  di  essa.  I  loro  salari,  come  di  Marx,  derivano dal  produttività  del  lavoro  agricolo  e  industriale.  La  forza-lavoro  è  merce,  sia  per  l’operaio  produttivo  che  per  quello  improduttivo,  ma  il  primo  produce  merce  per  il  compratore  della  forza-lavoro,  mentre  il  secondo  riproduce  un  semplice  valore  d’uso.  “La  capacità  lavorativa  del  lavoratore  produttivo  è  una  merce  per  il  lavoratore  stesso.  Tale  è  (anche  quella)  del  lavoratore  improduttivo.  Ma  il  lavoratore  produttivo  produce  merce  per  il  compratore della  sua  capacità  lavorativa.  Il  lavoratore  improduttivo  produce  per  lui  un  semplice  valore  d’uso,  non  una  merce,  produce  un  valore  d’uso  immaginario  o  reale.  E’  un  elemento  caratteristico  del  lavoratore  improduttivo,  quello  di  non  produrre  nessuna  merce  per  il  compratore,  ma  di  ricevere  invece  da  lui”  [K.  Marx  Teorie  sul  plusvalore  Vol. 1°].

Lo  scambio  di  denaro  contro  il  lavoro  non  ci  rivela  ancora  nulla  della  reale  natura  di questo  scambio.  Quando  il  denaro,  in  quanto  capitale,  acquista  merce forza-lavoro,  esso  si  valorizza;  quando  invece  il  denaro,  in  quanto  reddito,  si  scambia  contro  una  prestazione  o  servizio,  non  c’è  nessuna  valorizzazione  ma  consumo  di  denaro.

Quando,  il  denaro  si  scambia  con  il  lavoro,  senza  che  quest’ultimo  produca  capitale, esso  acquista  non  lavoro  produttivo  ma  un  servizio.  Che  il  lavoro  sia  più  o  meno  utile,  è  un  risultato  della  divisone  sociale  del  lavoro.  In  un  certo  senso  il  lavoro  improduttivo  favorisce  ed  è  indispensabile  alla   produzione  generale.  Il  lavoro  improduttivo,  dunque,  diventa  funzione  di  una  parte  dei  lavoratori  e  il  lavoro  produttivo  di  un’altra  parte.

La  distinzione  lavoro  produttivo/lavoro  improduttivo,  non  è  perciò  morale  o  politica,  antropologica  o  psicologica,  ma  scientifica. 

Allontanarsi  da  questa  definizione  significa  contrapporsi,  coscientemente  al  processo  di  liberazione  della  classe  operaia.

Per  questo,  tutte  le teorie  che  cercano  in  qualche  modo  di  “superare”,  negare  …  la  definizione  marxista  di  lavoro  produttivo/lavoro  improduttivo,  si  perdono  nelle  nebbie  mistiche  dell’idealismo. 

Il  lavoro  improduttivo  può negare  o  non  negare  nuovi  rapporti  sociali,  comunque  non  produce,  è,  esso  stesso,  riflesso  del  lavoro  produttivo  ed  è  da  questo,  determinato  tanto  nella  quantità,  quanto  nella  qualità.

Detto  in  altri  termini:  il  lavoro  produttivo  produce  anche  la  negazione del  modo  produzione  capitalistico,  mentre  il  lavoro  improduttivo, in  questo  caso  è  il  lavoro  non  capitalistico,  residuo  del  passato,  o  sta  all’interno  del  modo  di  capitalistico  per  scopi  improduttivi,  e  in  questo  caso  non  si  contrappone  al  capitale.  Anzi,  una  parte  di  esso  è  utile  al  capitale  per  mantenere  l’ordine  costituito  e  la  società  dello  sfruttamento. 

La  definizione  di  lavoro  produttivo  e  lavoro  improduttivo  è  fondamentale,  perché  soltanto  gli  operai  produttivi  sono  contrapposti  direttamente  al  capitale:  tutti  gli  altri  lavoratori  stanno  in  un  rapporto  mediato  con  il  capitale  complessivo.

 

 

 

Sviluppo  dell’analisi

 

 

Se  teniamo  conto  delle  considerazioni  di  metodo  sopraesposte  si  deve  denotare  che  l’area  del  lavoro  produttivo  di  plusvalore  è  in  continua  espansione  negli  stessi  paesi  a  capitalismo  avanzato.

 

(Dati  prese  da  fonti  OCDE)

 

OCDE  (x  1000)                    1963           1979           1983

 

Popolazione  attiva               285.000      347.000      364.000

(occupati  +  disoccupati)

 

 

Di  cui  addetti  all’industria  98.200        110.000      103.000

 

 

Facciamo  un  esempio  evidente:  il  trasferimento  dei  servizi  domestici,  prestati  tradizionalmente  dalla  donna  casalinga,  o  da  “donne  di  servizio”  (scambio  di  lavoro  con  reddito)  a  imprese  di  lavanderia,  stireria,  pulizia,  parcheggio  dei  bambini  ecc.  che  impiegano  lavoro  salariato  (scambio  di  lavoro  con  capitale).

Ma  non  si  tratta  solo  di  ciò.  Spesso  dietro  i  dati  sulla  diminuzione  della  classe  operaia  si  celano  puri  artifici  statistici.  Per  fare  degli esempi:  un  lavoratore  che  fa  un  doppio  lavoro  salariato  è  un   operaio  o  due?  (Cioè  un  posto  di  lavoro  è  stato  realmente  soppresso  o  nò?).  Un  operaio  in  nero  esiste  statisticamente  o  nò?  Da  queste  perplessità  apparentemente  di  puro  ordine  statistico,  appaiono  problemi  di  ben  più  rilevante  importanza.  Spesso  alla  espulsione  di  classe  operaia  non  corrisponde  una  diminuzione  di  posti  di  lavoro,  ma  una  assunzione  di  doppio  lavoro  da  parte  degli  occupati,  oppure  a  un’assunzione  di  lavo  in  “nero”  da  parte  di  “disoccupati”  o  da  parte  di  stranieri  immigrati.  Tutto  lavoro  che  ovviamente  costa  la  metà  di  quello  “regolare”  al  capitalista.  Dunque molto  spesso la  cosiddetta  espulsione  di  classe  operaia  dal  ciclo  produttivo,  in  sostanza  si  traduce  in  maggior  sfruttamento  dei  lavori  occupati  e  a  maggior  sfruttamento  dei  lavoratori  che  ufficialmente  risultano  disoccupati  nell’economia  sommersa.

La tendenza  a  privatizzare  i  servizi  gestiti  dallo  Stato,  contribuisce  rigorosamente  alla  estensione  dell’area  del  lavoro  produttivo  di  plusvalore.

Nei servizi  produttivi  all’impresa  industriale,  le  condizioni  di  lavoro  avvicinano  sempre  di  più  gli  “impiegati”  alla  condizione  operaia. 

Molte  volte  il  gonfiamento  del  settore  dei  servizi,  è  un  risultato  di  un  puro  e  semplice  scorporo  statistico  del  lavoro  dei  servizi  produttivi,  tradizionalmente  qualificati  come  lavoro industriale.  Il  processo  “satellizzazione”  che  la  grande  impresa  ha  posto  in  atto nei  paesi  a  capitalismo  avanzato,  al  fine  di  risparmiare  sui  costi  del  lavoro,  ha  investito  i  servizi  produttivi.  Attività  lavorative  come  la  progettazione,  la  manutenzione,  la  programmazione,  la  contabilità  ecc.  prima  inserite  nel lavoro  industriale,  spesso  ora,  in  quanto  gestite  da  imprese  più  o  meno  realmente  indipendenti dall’impresa  industriale  principale,  appaiono  statisticamente  come  lavoro  nei  servizi  o  terziario.

Dunque,  negli  stessi  a  capitalismo  avanzato  non  solo  il  lavoro  produttivo di  plusvalore    è  in  espansione  ma  anche  la  cosiddetta  riduzione  del  lavoro  industriale  è  molto  relativa  e  le  informazioni  statistiche  che  si  danno  vanno  prese  con  molto  cautela. 

 

Il  mito  della  scomparsa  della  classe  operaia  industriale

 

Marx  osserva  la  tendenza  del  capitalismo  a  ridurre  il  tempo  di  lavoro  socialmente  necessario  alla  produzione  di  ogni  merce.

Se  si  osserva  le  statistiche,  è  che  contrariamente  a  ciò  che  profetizzano  i  fautori  dei  licenziamenti  (e  cioè  che  si  sarebbero  creati  altri  posti  di  lavoro  in  altri  settori)  la  ristrutturazione  comporta  un’estensione  a  libelli  mai  visti  della  disoccupazione  industriale  Es:

Italia  (x1000)                  disoccupazione  totale

 

                           1979                1982         1985      1984

            ------------------------------------------------------------------------------------------

                            1.582               1955          2381     2611

 

L’innovazione  tecnologica,  in  pratica  l’applicazione  dell’informatica  nel  processo  produttivo,  ha  permesso  dei  salti  di  produttività  in  quasi  tutte  le  branche  di  produzione,  rendendo  “esuberanti”  migliaia  di  lavoratori.  I  computer  con  le  loro  capacità  di  calcolo,  hanno  rivoluzionato  la  gestione  delle  imprese,  la  robotica  cioè  la  sostituzione  di  alcuni  movimenti  dell’operaio  nella  costruzione  di  macchine,  hanno  rivoluzionato  il  modo  di  fabbricare.

E  soprattutto  sui  robot  che  si  è  scatenato  la  fantasia  degli  scrittori  che  profetizzano  la  sostituzione  dei  robot  agli  operai  e  quindi,  come conseguenza  la  scomparsa  di  questi  ultimi. 

Questa  visione  si  scontra  con  alcuni  dati  della  realtà.  Chissà  perché  proprio  il  paese  dove  si  sono  installati  il  maggior  numero  di  robot  industriali  (il  Giappone)  è  anche  uno  dei  pochi  paesi  che  ha  subito  meno  riduzione  di  classe  operaia  industriale.

 

 

 

 

Giappone  (x1000)                 occupazione

                                  1965       1980            1983

 

popolazione civile     47300      55360          57330

occupata

 

 

di  cui  nell’industria  15330      19560         19930

 

 

Fermo  restando  che  rimane  vera  la  tendenza  alla  diminuzione  progressiva  del  lavoro  socialmente necessario  alla  produzione  delle  singole  merci,  dobbiamo  vedere  quali  controtendenze  agiscono  alla  sostituzione  dell’operaio  col  robot.

-          La  robotizzazione  non  annulla  la  forza  lavoro  impiegata,  ma  solamente  la  diminuisce.  Cioè  continua  a  essere  necessaria  un’ampia  presenza  umana,  senza  la  quale  tutto  il  lavoro  si  blocca;

-          Il  “robot  costa”  quindi  il  capitalista  non  lo  fa  costruire,  non  sviluppa  la  ricerca  per  la  sostituzione  di  “ogni  lavoro  operaio”  ma  solo  laddove  ciò  gli  permette  delle  economie  per  supporto  alla quantità  di  lavoro  vivo  che  sostituisce;

-          In  alcuni  settori  il  robot  non  ha  fatto  alcuna  comparsa,  per  esempio  nell’edilizia;

-          In  altri  settori  si  presentano  difficoltà  tecniche  dovute  alla  complessità  dei  lavori;

-          In  altri  settori  ancora,  in  rapido  sviluppo,  il  cambiamento  rende  impossibile  l’investimento  massiccio  in  macchine  che  rischierebbero  di  essere  superate.

Tutto  ciò  spiega,  che,  nonostante  la  rivoluzione  tecnologica  dei  processi  produttivi  cominciata  dalla  fine  degli  anni  ’70,  la  classe  operaia  industriale  non  è  scomparsa.

Conclusioni

 

Perciò  contrariamente  a  quanto  affermano  i  postindustrialisti:

-          La  classe  operaia  “storica”,  quella  produttrice  di  beni  materiali,  si  allarga  su  scala  mondiale.

-          Le  condizioni  oggettive  e  soggettive  del  proletariato  che  scambia  forza-lavoro  con  capitale  commerciale,  finanziario  o  con   reddito  si  assimilano  sempre  di  più  alle  condizioni  operaie.

-          Lo  sviluppo  ineguale  del  capitalismo,  provoca  la  formazione  nello  stesso  tempo di  nuclei  sempre  più  estesi  di  proletariato  supersfruttato  all’interno  del  rapporto di  produzione  capitalistico  e  di  aree  sempre  più  vaste  di  esercito  industriale  di  riserva  mondiale.

 

 

 

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