Ultimo Aggiornamento : 10-09-2003 : Last Release
Nei segni che confondono la borghesia, la nobiltà e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione! - KARL MARX -
 
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Karl Marx

Per la critica della filosofia del diritto di Hegel

 

 

Introduzione

 

Per la Germania, la critica della religione nell’essenziale e compiuta, e la critica della religione e il presupposto di ogni critica.

L’esistenza profana dell’errore e compromessa dacché e stata confutata la sua celeste oratio pro aris-et focis. L’uomo, il quale nella realtà fantastica del cielo, dove cercava un superuomo, non ha trovato che 1’immagine riflessa di se stesso, non sarà più disposto a trovare soltanto 1’immagine di se, soltanto il non-uomo, la dove cerca e deve cercare la sua vera realtà.

Il fondamento della critica irreligiosa e: l’uomo fa la religione, e non la religione 1’uomo. Infatti, la religione e la coscienza di se e il sentimento di se dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma 1’uomo non e un'entità astratta posta fuori del mondo. L’uomo e il mondo dell’uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione e la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo punto d’onore spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa e la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché 1’essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione e dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la religione e 1’aroma spirituale.

La miseria religiosa e insieme 1’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione e il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come e lo spirito di una condizione senza spirito. Essa e 1’oppio del popolo.

Eliminare la religione in quanto illusoria felicita del popolo vuol dire esigere la felicita reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione e 1’esigenzu di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, e, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione e 1’aureolu.

La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché 1’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna 1’uomo affinché egli pensi, operi, dia forma alla sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e, perciò, intorno al suo sole reale. La religione e soltanto il sole illusorio che si muove intorno all’uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso.

È dunque compito della storia, una volta scomparso 1’al di la della verità, quello di ristabilire la verità dell’al di qua. E innanzi tutto e compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell’autoestraneazione umana, smascherare 1’autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.

La seguente trattazione – un contributo a tale lavoro – si rifà inizialmente non già all’originale ma ad una copia, alla filosofia tedesca del diritto e dello Stato, e ciò per nessun’altra ragione se non quella che essa si rifà alla Germania.

Se si volesse ricollegare direttamente allo status quo tedesco, sia pure nell’unico modo adeguato, cioè negativamente, il risultato rimarrebbe sempre un anacronismo. Persino la negazione del nostro presente politico si trova già, come un fatto polveroso, nella soffitta storica dei popoli moderni. Se nego i codini incipriati, mi rimangono pur sempre i codini non incipriati. Se nego le condizioni del 1843, mi trovo, secondo il calendario francese, appena nell’anno 1789, ben lungi dunque dal punto focale del presente.

Anzi, la storia tedesca si vanta di avere un corso che nessun popolo dell’olimpo storico le ha mostrato e che nessuno imiterà. Noi abbiamo infatti condiviso le restaurazioni dei popoli moderni senza condividere le loro rivoluzioni. Abbiamo subito le restaurazioni, in primo luogo, perché altri popoli osarono una rivoluzione, in secondo luogo, perché altri popoli subirono una controrivoluzione, una volta perché i nostri signori avevano paura e un’altra perché i nostri signori non avevano paura. Noi, coi nostri pastori alla testa, ci trovammo sempre una sola volta in compagnia della libertà, nel giorno della sua sepoltura.

Una scuola che legittima 1’infamia di oggi con 1’infamia di ieri, una scuola che dichiara ribelle ogni grido dei servi della gleba contro lo staffile, purché lo staffile sia uno staffile annoso, avuto, storico, una scuola alla quale la storia mostra soltanto il suo a posteriori, così come il Dio d’Israele al suo servo Mosé, la scuola storica del diritto, avrebbe perciò inventato la storia tedesca, se non fosse stata essa stessa un’invenzione della storia tedesca. Come Shylock, ma uno Shylock servo, essa giura per ogni libbra di carne che viene tagliata dal cuore del popolo, sul suo titolo di credito, sul suo titolo storico, sul suo titolo cristiano-germanico.

Viceversa, entusiasti in buona fede, teutomani per sangue e liberaleggianti per riflessione, cercano la nostra storia della libertà al di la della nostra storia, nelle foreste vergini teutoniche. Ma come potrà la nostra storia della libertà distinguersi dalla storia della libertà del cinghiale, se la si può trovare soltanto nelle foreste? Inoltre, e noto che 1’eco della foresta ci rimanda il nostro stesso grido. Pace dunque alle teutoniche foreste vergini!

Guerra alle condizioni tedesche! Con ogni mezzo! Esse stanno sotto il livello della storia, sono al di sotto di ogni critica, ma rimangono un oggetto della critica, al modo in cui il delinquente che sta sotto il livello dell'umanità rimane un oggetto del boia. In lotta con esse, la critica non e una passione del cervello, essa e il cervello della passione. Essa non e un coltello anatomico, è un’arma. Il suo oggetto è il suo nemico, che essa non vuole confutare bensì annientare. Infatti, lo spirito di quelle condizioni e confutato. In se e per se non sono oggetti memorabili, ma spregevoli quanto spregiate esistenze. Per se, la critica non ha bisogno di venire in chiaro nei confronti di questo oggetto, avendo al riguardo le idee perfettamente chiare. Essa non si pone più come fine a se stessa, ma ormai soltanto come mezzo. Il suo pathos essenziale e 1’indignuzione, il suo compito essenziale e la denuncia.

Si tratta di descrivere una reciproca, sorda pressione di tutte le sfere sociali 1’una sull’altra, un generale inerte malcontento, una limitatezza che altrettanto si riconosce quanto si misconosce, il tutto racchiuso nella cornice di un sistema di governo. che, vivendo della conservazione di ogni meschinità, non e esso stesso altro se non la meschinità al governo.

Quale spettacolo! Una società divisa all’infinito nelle razze più svariate, le quali si contrastano con piccole antipatie, cattiva coscienza e brutale mediocrità, e che appunto a causa della reciproca posizione ambigua e sospetta vengono trattate tutte senza distinzione, se pur con differenti formalità, dai loro signori come esistenze consentite. E lo stesso fatto di essere dominate, governate, possedute, esse devono riconoscerlo e professarlo come una concessione del cielo! E dall’altra parte quegli stessi signori, la cui grandezza sta in rapporto inverso al loro numero!

La critica che si cimenta con questo contenuto e la critica che sta in mezzo alla mischia, e nella mischia non ha importanza se 1’avversario e nobile, di pari condizione, se e un avversario interessante, ha importanza colpirlo. Ha importanza non concedere ai tedeschi un solo attimo di illusione su di se e di rassegnazione. Bisogna rendere ancor più oppressiva 1’oppressione reale con 1’aggiungervi la consapevolezza dell’oppressione, ancor più vergognosa la vergogna, dandole pubblicità. Si deve raffigurare ciascuna sfera della società tedesca come il marchio d'infamia della società tedesca, bisogna far ballare questi rapporti mummificati cantando loro la loro propria musica! Bisogna insegnare al popolo ad avere orrore di se stesso, per fargli coraggio. Si soddisfa con ciò un imprescindibile bisogno del popolo tedesco, e i bisogni dei popoli sono di per se stessi i motivi ultimi del loro appagamento.

E anche per i popoli moderni, questa lotta contro il ristretto contenuto dello status quo tedesco non può essere priva di interesse, perché lo status quo tedesco costituisce 1’uperto compimento dell’ancien régime, e 1’ancien regime e la tara occulta dello Stato moderno. La lotta contro il presente politico tedesco e la lotta contro il passato dei popoli moderni, che continuano tuttora ad esser molestati dalle reminiscenze di questo passato. E per essi istruttivo vedere 1’ancien regime che visse da loro la sua tragedia, recitare ora la sua commedia come replica tedesca. Tragica fu la sua storia fino a quando esso era il vecchio potere preesistente del mondo mentre la libertà era un capriccio personale, in una parola, fino a quando esso credeva e doveva credere nella propria legittimità. Fino a che 1’ancien regime, in quanto ordine mondiale vigente, lotto contro un mondo ancora in formazione, dalla sua parte stava un errore storico universale, non personale. Perciò il suo tramonto fu tragico.

Invece 1’attuale regime tedesco, un anacronismo, una flagrante contraddizione con assiomi universalmente riconosciuti, la nullità dell’ancien régime esposta alla vista del mondo, si immagina ancora di credere in se stesso e pretende dal mondo la stessa immaginazione. Ma se credesse alla sua propria essenza, la celerebbe sotto 1’apparenza di un’essenza estranea, e cercherebbe la sua salvezza nell’ipocrisia e nel sofisma? L’ancien regime moderno non e più che il commediante di un ordine mondiale, i cui eroi reali sono morti. La storia e radicale e percorre parecchie fasi, quando deve seppellire una figura vecchia. L’ultima fase di una figura storica universale e la sua commedia. Gli dei della Grecia, che già una volta erano stati tragicamente feriti a morte nel "Prometeo incatenato" di Eschilo, dovettero ancora una volta morire comicamente nei "Dialoghi" di Luciano. Perché la storia procede cosi? Affinché 1’umanita si separi serenamente dal suo passato. Questa serena destinazione storica noi rivendichiamo alle forze politiche della Germania.

Ma non appena la moderna realtà politico-sociale viene essa stessa sottoposta alla critica, non appena dunque la critica si innalza a problemi veramente umani, essa si trova al di fuori dello status quo tedesco, altrimenti essa coglierebbe il suo oggetto al di sotto del suo soggetto. Un esempio! Il rapporto dell’industria, del mondo della ricchezza in generale, con il mondo politico e un problema capitale dell’epoca moderna. Sotto quale forma questo problema comincia ad occupare i tedeschi? Sotto la forma dei dazi protettivi, del sistema vincolistico, del1’economia nazionale. La teutomania e passata dall’uomo alla materia, sicché un bel mattino i nostri cavalieri del cotone e i nostri eroi del ferro si trovarono trasformati in patrioti. In Germania si comincia dunque a riconoscere la sovranità del monopolio verso 1’interno conferendo ad esso sovranità verso l’esterno. In Germania si sta cominciando dunque nel modo in cui in Francia e in Inghilterra si sta per finire. La vecchia, putrida condizione contro cui questi paesi sono in rivolta sul piano dell’idee, e che ancora sopportano soltanto come si sopportano le catene, viene salutata in Germania come la nascente aurora di un roseo futuro, che ancora quasi non osa passare dalla astuta teoria alla più implacabile pratica. Mentre il problema in Francia e in Inghilterra suona: economia politica o dominio della società sulla ricchezza, in Germania suona: economia nazionale o dominio della proprietà privata sulla comunità nazionale. Si tratta dunque, in Francia e in Inghilterra, di abolire il monopolio, che e andato innanzi sino alle sue ultime conseguenze, si tratta in Germania di proseguire fino alle ultime conseguenze del monopolio. La si tratta di trovare la soluzione, qui soltanto’ di giungere allo scontro. Un esempio sufficiente questo, della forma tedesca dei problemi moderni, un esempio di come la nostra storia, simile ad una recluta maldestra, sin qui abbia avuto soltanto il compito di esercitarsi a ripetere storie trite.

Se dunque lo sviluppo complessivo della Germania non procedesse oltre lo sviluppo politico della Germania, un tedesco potrebbe partecipare ai problemi del presente al massimo quanto vi può partecipare un russo. Ma se il singolo individuo non e legato dai limiti della nazione, ancor meno 1’intera nazione viene liberata dalla liberazione di un solo individuo. Gli sciti non progredirono di un solo passo verso la cultura greca per il fatto che la Grecia annovera uno scita tra i suoi filosofi.

Per fortuna noi tedeschi non siamo sciti.

Come i popoli antichi vivevano la loro preistoria nell’immaginazione, nella mitologia, così noi tedeschi abbiamo vissuto la nostra storia futura nel pensiero, nella filosofia. Noi siamo i contemporanei filosofici del presente, senza esserne i contemporanei storici. La filosofia tedesca e il prolungamento ideale della storia tedesca. Se dunque noi critichiamo anziché le opere incomplete della nostra storia reale le opere postume della nostra storia ideale, la filosofia, la nostra critica si trova invero in mezzo ai problemi dei quali il presente dice: questo e il problema. Ciò che presso i popoli progrediti e rottura critica con le moderne condizioni dello Stato, in Germania, dove tali condizioni ancora non esistono neppure, e innanzi tutto rottura critica con il riflesso filosofico di tali condizioni.

La filosofia tedesca del diritto e dello Stato e 1’unica storia tedesca che stia al puri col moderno presente ufficiale. Il popolo tedesco, perciò, deve annoverare questa sua storia sognata fra le proprie attuali condizioni, e sottoporre alla critica non soltanto queste attuali condizioni ma insieme anche la loro astratta prosecuzione. Il suo futuro non può limitarsi ne alla immediata negazione delle sue reali condizioni politiche e giuridiche ne al1’immediata traduzione in pratica di quelle ideali, poiché la immediata negazione delle sue condizioni reali esso la possiede già nelle sue condizioni ideali, e la immediata traduzione in pratica delle sue condizioni ideali a sua volta esso la ha già quasi sopravanzata osservando i popoli suoi vicini. A ragione, perciò, il partito politico pratico in Germania esige la negazione della filosofia. Il suo torto non consiste in tale esigenza, ma nel fermarsi ad essa senza seriamente soddisfarla ne poterla soddisfare. Esso crede di compiere quella negazione voltando le spalle alla filosofia e, col capo rivolto altrove, mormorando con disapprovazione contro di essa qualche frase ingiuriosa e banale. La ristrettezza del suo orizzonte non annovera la filosofia neppure nella cerchia della realtà tedesca, o addirittura vaneggia che sia al di sotto della prassi tedesca e delle teorie che la servono. Voi pretendete che ci si riallacci a germi reali di vita, ma dimenticate che il reale germe di vita del popolo tedesco fino ad oggi ha germogliato soltanto dentro il suo cervello. In una parola: voi non potete sopprimere la filosofia senza realizzarla.

Lo stesso torto, ma invertendo i fattori, lo ha commesso il partito politico teorico, che prende le mosse appunto dalla filosofia.

Nella lotta odierna, esso ha visto unicamente la lotta critica della filosofia contro il mondo tedesco, e non ha considerato che anche la filosofia sorta dopo 1’inizio di quella lotta appartiene a questo mondo e ne e il completamento, sia pure ideale. Critico verso il suo avversario, si e comportato acriticamente verso se stesso, poiché e partito dalle premesse della filosofia, e si e arrestato ai suoi risultati dati, ovvero ha spacciato come immediate esigenze e risultati della filosofia, esigenze e risultati presi altrove, sebbene questi al contrario – posto che siano giustificati – si possano ottenere soltanto attraverso la negazione della filosofia avutasi finora, della filosofia in quanto filosofia. Ci riserviamo una più approfondita descrizione di questo partito. Il suo difetto fondamentale si può quindi così riassumere: esso credeva di poter realizzare la filosofia senza sopprimerla.

La critica della filosofia tedesca dello Stato e del diritto, che con Hegel ha ricevuto la sua forma più conseguente, più ricca e definitiva, e 1’analisi critica dello Stato moderno e della realtà ad essa connessa, e insieme, la decisa negazione di tutto il modo precedente della coscienza politica e giuridica tedesca, la cui espressione più eminente, più universale, elevata a scienza, e appunto la filosofia speculativa del diritto. Se solo in Germania e stata possibile la filosofia speculativa del diritto, questo astratto ed esaltato pensamento dello Stato moderno, la cui realtà rimane un aldilà, anche se questo aldilà si trova soltanto al di la del Reno: inversamente, la concezione tedesca dello Stato moderno, che astrae dall’uomo reale, fu possibile a sua volta soltanto in quanto lo Stato moderno stesso astrae dall’uomo reale, ovvero soddisfa in modo soltanto immaginario 1’uomo nella sua totalità. I tedeschi nella politica hanno pensato ciò che gli altri popoli hanno fatto. La Germania fu la loro coscienza teorica. L’astrattezza e la presunzione del suo pensiero andarono sempre di pari passo con la unilateralità e inferiorità della loro realtà. Se dunque lo status quo del sistema statale tedesco esprime il compimento dell’ancien regime, ossia la spina nella carne dello Stato moderno, lo status quo della scienza statale tedesca esprime 1’incompiùtezza dello Stato moderno, la piaga della sua stessa carne.

Già in quanto decisa avversaria del modo precedente della coscienza politica tedesca, la critica della filosofia speculativa del diritto non si perde in se stessa, ma procede ad assolvere compiti per la cui soluzione esiste un unico mezzo: la prassi.

Il problema e se la Germania possa pervenire ad una prassi all’altezza dei princìpi, cioè ad una rivoluzione che la innalzi non soltanto al livello ufficiale dei popoli moderni, ma all’altezza umana che sarà il prossimo futuro di questi popoli.

L’arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza materiale dev’essere abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse. La teoria e capace di impadronirsi delle masse non appena dimostra ad hominem, ed essa dimostra ad hominem, non appena diviene radicale. Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per 1’uomo, e 1’uomo stesso. La prova evidente del radicalismo della teoria tedesca, dunque della sua energia pratica, e il suo partire dal deciso superamento positivo della religione. La critica della religione finisce con la dottrina per cui l’uomo e per l’uomo l’essenza suprema, dunque con 1’imperativo categorico di rovesciare tatti i rapporti nei quali 1’uomo e un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole, rapporti che non si possono meglio raffigurare che con 1’esclamazione di un francese di fronte ad una progettata tassa sui cani: poveri cani! Vi si vuole trattare come uomini!

Anche storicamente, 1’emancipazione teorica ha una importanza specificamente pratica per la Germania. Il passato rivoluzionario della Germania e infatti teorico, e la Riforma. Come allora la rivoluzione ebbe inizio nel cervello del monaco, oggi essa ha inizio nel cervello del filosofo.

Lutero, in verità, vinse la servitù per devozione mettendo al suo posto la servitù per convinzione. Egli ha spezzato la fede nell'autorità, restaurando 1’autorita della fede. Egli ha trasformato i preti in laici, trasformando i laici in preti. Egli ha liberato 1’uomo dalla religiosità esteriore, facendo della religiosità 1’interiorita dell’uomo. Egli ha emancipato il corpo dalle catene, ponendo in catene il cuore.

Ma se il protestantesimo non fu la vera soluzione, fu tuttavia la vera impostazione del problema. Adesso bisognava non più che il laico lottasse contro il prete al di fuori di lui, ma contro il suo proprio prete interiore, contro la sua natura pretesca. E se la trasformazione protestante dei laici tedeschi in preti emancipo i papi laici, cioè i principi insieme con il loro clero, i privilegiati e i filistei, la trasformazione filosofica dei preteschi tedeschi in uomini emanciperà il popolo. Ma come 1’emancipazione non si fermo ai prìncipi, cosi la secolarizzazione dei beni non si fermerà alla spoliazione delle Chiese, che prima di tutti l’ipocrita Prussia pose in opera. Allora, la guerra dei contadini, il fatto più radicale della storia tedesca, fece naufragio contro la teologia. Oggi che la stessa teologia ha fatto naufragio, il fatto più illiberale della storia tedesca, il nostro status quo, si infrangerà contro la filosofia. Il giorno prima della Riforma, la Germania ufficiale era il più incondizionato servo di Roma. Il giorno prima della sua rivoluzione, essa e il servo incondizionato di qualcosa di meno di Roma: della Prussia e dell’Austria, dei nobilucci di campagna e dei filistei.

Contro una rivoluzione ridicole della Germania sembra ergersi pero una difficoltà capitale.

Le rivoluzioni, infatti, hanno bisogno di un elemento passivo, di un fondamento materiale, la teoria viene realizzata in un popolo soltanto nella misura in cui essa ne realizza i bisogni. All’enorme divario tra le richieste del pensiero tedesco e le risposte della realtà tedesca, corrisponderà il medesimo dissidio della società civile con lo Stato e con se stessa? I bisogni teorici diverranno immediatamente bisogni pratici? Non basta che il pensiero tenda a realizzarsi, la realtà dovrà tendere se stessa verso il pensiero.

Ma la Germania non ha salito contemporaneamente ai popoli moderni i gradini intermedi della emancipazione politica. Essa non ha ancora raggiunto praticamente neppure i gradini che ha superato teoricamente. Come potrebbe con un sulto mortale balzare non soltanto oltre i suoi propri limiti ma, insieme, oltre i limiti dei popoli moderni, oltre limiti che in realtà essa deve sentire e perseguire come una liberazione dai propri limiti reali? Una rivoluzione radicale può essere soltanto la rivoluzione dei bisogni radicali, dei quali sembrano mancare proprio i presupposti e il terreno da cui sorgere.

Ma se la Germania ha accompagnato lo sviluppo dei popoli moderni soltanto con 1’astratta attività del pensiero, senza prendere parte attiva alle lotte reali di questo sviluppo, d’altra parte essa ha condiviso i dolori di questo sviluppo senza condividerne i piaceri, la parziale soddisfazione. All'attività astratta da un lato corrisponde 1’astratto dolore dall’altro. La Germania perciò si troverà un bel giorno al livello della decadenza europea, prima di essere mai stata al livello della emancipazione europea. La si potrebbe paragonare ad un feticista che deperisce per le malattie del cristianesimo.

Si considerino innanzi tutto i governi tedeschi e vi si vedrà che le condizioni dell’epoca, la situazione della Germania, la tendenza della cultura tedesca e finalmente il loro proprio felice istinto, li spingono a combinare i civilizzati difetti del moderno mondo statale, i cui vantaggi noi non abbiamo, con i barbarici difetti dell’ancien regime, di cui pienamente godiamo, cosicché la Germania deve sempre più partecipare se non alla razionalità, almeno alla irrazionalità anche di quelle formazioni statali che stanno al di la del suo status quo. Vi e, ad esempio, nel mondo un paese che condivida ingenuamente tutte le illusioni del sistema politico costituzionale senza condividerne la realtà, come la cosiddetta Germania costituzionale? 0 forse non ci voleva una trovata del governo tedesco per collegare le angherie della censura con le angherie delle leggi francesi del settembre, che presuppongono la libertà di stampa? Come nel Pantheon romano si trovavano gli dei di tutte le nazioni, così oggi nel Sacro romano impero tedesco si troveranno i peccati di tutte le forme statali. Che questo eclettismo debba raggiungere un’altezza fino ad oggi impensata, ce lo garantisce segnatamente la ghiottoneria politico estetica di un re tedesco, che medita di sostenere tutte le parti della monarchia, di quella feudale come di quella burocratica, di quella assoluta come di quella costituzionale, di quella autocratica come di quella democratica, se non attraverso la persona del popolo certo nella sua propria persona, se non per il popolo certamente per se stesso. La Germania come deficienza del presente politico costituitasi in un proprio mondo non potrà abbattere le proprie barriere senza abbattere le barriere generali del presente politico.

Non la rivoluzione radicale e per la Germania un sogno utopistico, non la universale emancipazione umana, ma piuttosto la rivoluzione parziale, la rivoluzione soltanto politica, la rivoluzione che lascia in piedi i pilastri della casa. Su che cosa si fonda una rivoluzione parziale, una rivoluzione soltanto politica? Sul fatto che una parte della società civile si emancipa e perviene al dominio generale, sul fatto che una determinata classe intraprende la emancipazione generale della società partendo dalla propria situazione particolare. Questa classe libera 1’intera società, ma soltanto a condizione che 1’intera società si trovi nella situazione di questa classe, dunque, ad esempio, possieda denaro e cultura, ovvero possa a suo piacere acquistarli.

Nessuna classe della società civile può sostenere questa parte, senza provocare un momento di entusiasmo in se e nella massa, un momento nel quale essa fraternizza e confluisce nella società in generale, si scambia con essa e viene intesa e riconosciuta come sua rappresentante universale, un momento nel quale le sue rivendicazioni e i suoi diritti sono diritti e rivendicazioni della società stessa, nel quale essa e realmente la testa e il cuore della società. Soltanto nel nome dei diritti universali della società, una classe particolare può rivendicare a se stessa il dominio universale. Per espugnare questa posizione emancipatrice e quindi per sfruttare politicamente tutte le sfere della società nell’interesse della propria sfera, non sono sufficienti soltanto energia rivoluzionaria e orgoglio intellettuale. Affinché la rivoluzione di un popolo e la emancipazione di una classe particolare della società civile coincidano, affinché un ceto sociale valga come il ceto dell’intera società, bisogna, al contrario, che tutti i difetti della società siano concentrati in un’altra classe, bisogna che un determinato ceto sia il ceto riprovato da tutti, impersoni i limiti di tutti, bisogna che una particolare sfera sociale equivalga al crimine notorio dell’intera società, cosicché la liberazione di questa sfera appaia come la universale autoliberazione. Affinché un ceto divenga il ceto della liberazione par excellence, bisogna al contrario che un altro ceto diventi manifestamente il ceto dell’assoggettamento. L’importanza universale negativa della nobiltà francese e del clero francese condiziono 1’importanza universale positiva della classe immediatamente confinante e contrapposta, della borghesia.

Ma ad ogni classe particolare in Germania manca non soltanto la coerenza, il rigore, il coraggio, la spregiudicatezza che potrebbero contrassegnarla come rappresentante negativa della società. Ad ogni ceto mancano parimenti quella grandezza d’animo che si identifica, sia pure momentaneamente, con 1’anima del popolo, quella genialità che da alla forza materiale 1’entusiasmo per diventare potere politico, quell’ardire rivoluzionario che scaglia in faccia all’avversario le parole di sfida: io non sono nulla e dovrei essere tutto. Il sostegno principale della morale e della onesta tedesca, non soltanto degli individui ma anche delle classi, e costituito piuttosto da quel modesto egoismo che fa valere e lascia far valere anche contro di se la sua limitatezza. Il rapporto tra le differenti sfere della società tedesca perciò non e drammatico, ma epico. Ciascuna di esse comincia ad acquistare consapevolezza di se e ad accamparsi accanto alle altre con le proprie rivendicazioni particolari non quando venga oppressa, ma quando, senza il suo apporto, le circostanze creano una base sociale sulla quale essa da parte sua possa esercitare la sua oppressione. Perfino la consapevolezza morale della classe media tedesca riposa unicamente sulla consapevolezza di essere la rappresentante universale della mediocrità filistea di tutte le altre classi. Perciò non soltanto i re tedeschi sono pervenuti sul trono mal-à-propos, ma ciascuna sfera della società civile esperimenta la propria disfatta prima di aver celebrato la propria vittoria, sviluppa i propri limiti prima di aver superato i limiti ad essa contrapposti, mette in luce 1’angustia del proprio essere, cosicché, anche 1’occasione di sostenere un grande ruolo e sempre già passata prima di esser stata presente, cosicché ogni classe, non appena inizia la lotta contro la classe che sta sopra di essa, e implicata nella lotta con la classe che sta sotto di essa. Perciò i principi si trovano in lotta con la monarchia, il burocrate in lotta con la nobiltà, il borghese in lotta contro tutti loro, mentre il proletario comincia già a trovarsi in lotta con il borghese. La classe media non ha neppure iniziato a concepire dal suo punto di vista il pensiero dell’emancipazione, che già lo sviluppo delle condizioni sociali così come il progresso della teoria politica mostrano come questo stesso punto di vista sia antiquato o quanto meno problematico.

In Francia e sufficiente che uno sia qualcosa perché voglia essere tutto. In Germania non si può essere qualcosa se non si rinuncia a tutto. In Francia 1’emancipazione parziale e il fondamento di quella universale. In Germania 1’emancipazione universale e conditio sine qau non di ogni emancipazione parziale. In Francia e la realtà, in Germania l’impossibilita della liberazione graduata che deve generare la libertà totale. In Francia ogni classe del popolo è un idealista politico, e innanzi tutto sente se stessa non come classe particolare, ma come rappresentante dei bisogni sociali in generale. La funzione di emancipatore passa successivamente con movimento drammatico alle differenti classi del popolo francese, finche perviene infine alla classe che realizza la libertà sociale non più sotto il presupposto di condizioni che sono al di fuori dell’uomo, e tuttavia sono create dalla società umana, ma piuttosto organizza tutte le condizioni della esistenza umana sotto il presupposto della libertà sociale. In Germania invece, dove la vita pratica e altrettanto priva di spirito quanto la vita spirituale e priva di praticità, nessuna classe della società civile ha il bisogno e la capacita della emancipazione generale, finche non sia a ciò costretta dalla sua immediatu situazione, dalla necessita materiale, dalle sue stesse catene.

Dov’è dunque la possibilità positiva della emancipazione tedesca?

Risposta: nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile la quale non sia una classe della società civile, di un ceto che sia la dissoluzione di tutti i ceti, di una sfera che per i suoi patimenti universali possieda un carattere universale e non rivendichi alcun diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitata non una ingiustizia particolare bensì 1’ingiustizia senz’altro, la quale non può più appellarsi ad un titolo storico ma al titolo umano, che non si trova in contrasto unilaterale verso le conseguenze, ma in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico tedesco, di una sfera, infine, che non può emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le rimanenti sfere della società e con ciò stesso emancipare tutte le rimanenti sfere della società, la quale, in una parola, e la perdita completa dell’uomo, e può dunque guadagnare nuovamente se stessa soltanto attraverso il completo recupero dell’uomo. Questa dissoluzione della società in quanto ceto particolare e il proletariato.

Il proletariato comincia a formarsi in Germania con 1’irrompente movimento industriale, poiché non la povertà sorta naturalmente bensì la povertà prodotta artificialmente, non la massa di uomini meccanicamente oppressa dal peso della società ma la massa di uomini che proviene dalla sua acuta dissoluzione, e segnatamente dalla dissoluzione del ceto medio, costituisce il proletariato, sebbene gradualmente entrino nelle sue file, com’è naturale, anche la povertà naturale e la cristianogermanica servitù della gleba.

Quando il proletariato annunzia la dissoluzione dell'ordinamento tradizionale del mondo, esso esprime soltanto il segreto della sua propria esistenza, poiché esso e la dissoluzione effettiva di questo ordinamento del mondo. Quando il proletariato esige la negazione della proprietà privata, esso eleva a principio della società solo ciò che la società ha elevato a suo principio, ciò che in esso e già impersonato senza suo apporto, in quanto risultato negativo della società. Il proletario, quindi, rispetto al mondo in divenire, ha lo stesso diritto del re tedesco, allorché, rispetto al mondo già divenuto, chiama suo il popolo, così come chiama suo il cavallo. Il re, dichiarando il popolo sua proprietà privata, esprime soltanto il fatto che il proprietario privato e re.

Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, così il proletariato trova nella filosofia le sue armi spirituali, e non appena il lampo del pensiero sarà penetrato profondamente in questo ingenuo terreno popolare, si compirà 1’emancipazione dei tedeschi a uomini.

Riassumiamo il risultato.

L’unica possibile liberazione pratica della Germania e la liberazione dal punto di vista di quella teoria che proclama 1’uomo la più alta essenza dell’uomo. In Germania 1’emancipazione dal Medioevo e possibile unicamente in quanto sia insieme 1’emancipazione dai parziali superamenti del Medioevo. In Germania non si può spezzare nessuna specie di servitù senza spezzare ogni specie di servitù. La Germania radicale non può fare la rivoluzione senza compierla dalle radici. L’emancipazione del tedesco e l’emancipazione dell’uomo. La testa di questa emancipazione e la filosofia, il suo cuore e il proletariato. La filosofia non può realizzarsi senza la soppressione del proletariato, il proletariato non può sopprimersi senza la realizzazione della filosofia.

Quando saranno state soddisfatte tutte le condizioni interne, il giorno della resurrezione tedesca verrà annunziato dal canto del gallo francese.

 

 

   

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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