Nelle peane in difesa di Cuba, che negli ultimi tempi sentiamo da parte di
stalinisti, guevaristi, trotskisti, ecc. disperatamente attaccati agli ultimi
“Stati socialisti” in circolazione sentiamo utilizzare alcune argomentazioni del
tipo: a Cuba non ci sono libertà formali in quanto Cuba è assediata
dall'imperialismo, ma ci sono libertà reali. A Cuba, secondo i tifosi di
Fidel ci sarebbero tante libertà reali: la libertà ad essere educati e
curati, la libertà a non essere sfruttati, ecc.
Vediamo di capire se dal punto di vista comunista, tutte
queste argomentazioni hanno un senso. In primo luogo, la contrapposizione tra
libertà reali e formali rimanda a una lettura assai rozza di Marx. Marx non ha
mai pensato che la classe operaia, una classe che ha la missione storica di
liberare l’umanità, vivesse di “solo pane”. Se fosse così questa classe, non
sarebbe una classe rivoluzionaria, potrebbe tutt’al più esprimere e difendere i
propri interessi e non avrebbe aspirazioni e ideali universali come il
comunismo. In realtà a Cuba si toglie un pane ben concreto, un pane ben “duro”
come quello della libertà di espressione e di organizzazione, non per i
capitalisti, ma per i lavoratori. A Cuba non si può organizzare un sindacato
libero, a Cuba non si può scioperare. A Cuba non si applica quello che la Parigi
comunarda, la quale subì l'assedio e il massacro di Thiers che fu ben altra cosa
che la Baia dei Porci, quel diritto venne garantito dal primo all' ultimo giorno
di esistenza: libertà di revocare in ogni momento i propri rappresentanti. Anche
per questo è diventata "la legge finalmente scoperta" come scrisse Marx.
L’istruzione, però, non può e non deve servire per
contestare Castro. Si sarebbe irriconoscenti. A Cuba c’è la libertà di
istruzione, ma questa deve essere utilizzata bene: deve servire per diventare
buoni chirurghi o (sempre di più) buoni animatori per alberghi a 5 stelle aperti
solo a chi ha in tasca euro da spendere (e cioè non per i cubani). Comunque se i
criteri su cui valutare uno Stato operaio fossero quelli qui sopracitati, in
Svezia esisterebbe uno Stato operaio da molti decenni.
Tuttavia una libertà, fondamentale, garantita a Cuba non
viene citata dai fidelisti: la libertà di vendere la propria forza lavoro in
cambio di un salario. Questa è una libertà che a Cuba viene assicurata
estensivamente, come in tutto il resto del globo. E’ una libertà che Fidel
Castro non pensa neppure lontanamente di limitare o di privare ai cittadini
cubani. Sarebbe veramente vergognoso limitare una libertà che è stato
difficilissimo conquistare. Marx descrive come fu conquistato questo diritto dai
proprietari delle manifatture in celeberrimi capitoli del Capitale. E
dopo tutti quei mirabili sforzi, Fidel dovrebbe rinunciare a tale diritto?
Piuttosto cediamo su altro: un diritto a caso, quello di scioperare. A quello si
può rinunciare, perché è un diritto non conquistato dai padroni ma dagli operai.
Eccola qui l’essenza capitalista di Cuba. Tra una libertà dei padroni
"conquistata" versando il sangue operaio, e una libertà dei lavoratori sempre
conquistata con il sangue operaio, si rinuncia alla seconda…perché meno
produttiva! Accumulazione per l’accumulazione! Ecco un'altra legge immanente del
capitalismo. Canaglia di un Castro, ha garantito il diritto di lavorare e stare
zitti per tutti. Regola che vale per tutti meno che per Castro: che come si sa è
logorroico. Tuttavia almeno a Parigi e Milano c’è il diritto di diventare
clochard, a Cuba neppure quello. Se ne perderebbe in immagine. Al lavoro dunque:
per la dignità nazionale!
I comunisti non sventolano più nessuna bandiera nazionale
dal 1914, ma solo la bandiera rossa, quella del colore del sangue di coloro che
furono costretti ad accettare la libertà di vendere la propria forza-lavoro. Per
i comunisti la libertà non si misura né astrattamente e neppure con i criteri
della borghesia. Libertà per i lavoratori di decidere cosa, come e quanto
produrre; libertà per i lavoratori di organizzarsi, di difendersi, di esprimere
il proprio punto di vista. E’ la nostra idea di libertà, è l'idea della Comune
assediata.
Come sappiamo per i trotskisti, se un operaio vende la
propria forza-lavoro allo Stato non si può parlare di sfruttamento in quanto non
c’è imprenditore privato. Questa argomentazione è risibile, tuttavia la
prendiamo per buona. Ma negli alberghi a capitale spagnolo presenti a Cuba, il
governo cubano assicura il diritto a sfruttare i propri camerieri, inservienti,
cuochi e animatori?
Un ultima libertà non
viene citata dagli stalino-trotskisti-guevaristi-maoisti: la libertà di
prostituirsi. Infatti la legge cubana lo vieta, ma Cuba è lo stesso piena di
puttane. La buoncostume difetta? O è corrotta fino al midollo? Il governo
nicchia, e non si dà da fare per applicare la legge. E così si realizza il
massimo dell’ipocrisia. Vendersi per 8 ore in cambio di un salario è un diritto,
ma vendere il proprio corpo in cambio di 10 euro, no. Tuttavia la prostituzione
fa un gran bene all’economia cubana. Ipocrisia delle ipocrisie: per legge si ha
diritto di scioperare, ma se si sciopera si va in galera. Per legge non si ha il
diritto di prostituirsi, ma di fatto si può farlo. E non vi capiti di nascere –
come dicono a Cuba – “maricones”, un termine spregiativo tipo “culattone”, per
dire gay. Ve ne pentireste. Se ci fossero discriminazioni contro i gay come ci
sono a Cuba, che ne so in Italia, i filo-cubani direbbero che c’è il
fascismo…per Cuba dicono che c’è uno Stato operaio. Speriamo che un giorno gli
operai cubani appendano per il collo Castro e tutta la burocrazia che gli sta
intorno, lasciando in piedi gli ospedali - se questi funzionano bene - e
fuori dalla porta i capitalisti. E inizino a decidere del proprio futuro tutti i
giorni e non una volta ogni 44 anni.
Walter Liberati
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