Che tipo di sistema sociale esisteva nel nostro
paese durante la fase sovietica della sua storia?
Questo è
senza dubbio uno dei problemi centrali, e non certo semplice, che sta di fronte
agli storici ma anche agli studiosi di altre scienze sociali. Inoltre questo non
è
solo un problema accademico, ma ha un’importanza fondamentale anche per il
presente.
Se si desidera affrontare una tale questione non
può evitare di studiare gli scritti di
Lev Trotsky in merito, uno dei primi autori, che ha tentato di proporre
un’analisi organica del sistema sovietico e del suo strato dirigente. Trotsky
ha consacrato a tale problema una grande quantità di scritti che hanno
influenzato non solo i membri dei gruppi trotskisti, ma anche un area di
intellettuali molto vasta. Così il ricercatore inglese Perry Anderson, membro
della redazione della rivista “New Left Rewiew” ha annoverato tali scritti come
uno dei più importanti aggiornamenti al marxismo del XX secolo.
Le opere di Trotsky hanno avuto una notevole
influenza anche in Russia[1].
Qui sono apparsi anche commenti che giudicano tali scritti come un’analisi
scientifica sull’Unione Sovietica[2].
Tale infatuazione è stata determinata anche dall’autorevolezza di Trotsky in
quanto leader della Rivoluzione Russa e della lotta contro gli stalinisti. Ma
veramente le sue risposte, le sue costruzioni teoriche, sono inattaccabili?
Purtroppo nella letteratura russa, sino ad oggi, non è apparso alcun tentativo
serio di analisi critica su tale questione.
“La rivoluzione tradita”, il libro in cui nella
maniera più sommariamente concentrata troviamo i punti di vista di Trotsky in
relazione alla questione che qui affrontiamo, è stato scritto più di
sessant’anni fa. Una delle chiavi di volta del libro è la valutazione
sull’essenza e le prospettive dello strato dominante in URSS. Tale approccio è
del tutto pertinente: non si può rispondere alla domanda “Cos’è l’URSS” se non
si definisce il soggetto fondamentale del sistema. Questo articolo cercherà
appunto di verificare, anche in relazione alle novità intervenute negli ultimi
decenni, la parabola dell’analisi di Trotsky sulla burocrazia sovietica.
Oggi che affrontare la questione della
burocrazia e della sua natura di classe della classe dominante durante il
periodo sovietico non è più di moda è ancor più necessario tentare di fare un
bilancio dell’analisi di Trotsky valutandone sia gli aspetti positivi che
quelli negativi.
LA BUROCRAZIA: LE SUE CARATTERISTICHE
FONDAMENTALI.
Proviamo a riassumere le caratteristiche
fondamentali della burocrazia per come Trotsky le tratteggia nella “Rivoluzione
Tradita”:
1.
Nel piano più alto della piramide
sociale dell’URSS c’è “uno strato privilegiato e dirigente nel pieno senso di
questa parola”, questo strato “non svolge alcuna attività produttiva ma dirige,
comanda, gestisce, grazia e punisce”. Trotsky valuta la consistenza di tale
strato in 5-6 milioni di persone.
2.
Comandando su tutto e tutti, tale
strato agisce senza controllo alcuno da parte delle masse lavoratrici
produttive. La burocrazia insegna alle masse ad “ubbidire e tacere”.
3.
Tale strato impone nella società dei
rapporti di diseguaglianza: le “limousine” per gli “attivisti”, ottimi profumi
per “le nostre donne”, margarina per gli operai, negozi speciali “di lusso” per
gli “amici”. Le condizioni di vita della burocrazia hanno una forte analogia con
quelle della borghesia.
4.
Tale strato non esercita solo un
dominio oggettivo, esso anche soggettivamente domina la società.
5.
Il dominio di tale strato è sostenuto
dalla repressione.
6.
Tra questo strato dominante e la
maggioranza dei lavoratori oppressi è sempre in corso una lotta sociale
sotterranea.
E così davanti a noi abbiamo il seguente quadro:
esiste uno strato sociale dominante numeroso, che controlla monopolisticamente
la produzione; che si assicura una parte delle merci prodotte (e così svolge una
funzione di sfruttamento) ed è unito da interessi materiali comuni, interessi
che lo contrappongono alla classe dei produttori.
Come viene definito dal marxismo un tale strato?
La risposta è facile: nel pieno senso della parola esso è una classe sociale
dominante.
Trotsky accompagna il lettore fino a una tale
conclusione. Ma egli tuttavia si ferma invece proprio qui: afferma che lo strato
dirigente russo non è “niente di più che una burocrazia”. Cosa si significa
“niente di più”? Questo Trotsky non lo dice anche se dedica un capitolo intero a
caratterizzare la natura di classe della burocrazia. Egli tratteggia il quadro
di una classe sfruttatrice dominate ma all’ultimo momento si ritrae, si rifiuta
di riconoscerla e chiamarla con il suo nome.
STALINISMO E CAPITALISMO.
Resta indefinita in Trotsky anche un’altra
questione, ovvero quella della comparazione tra il sistema burocratico
stalinista e il sistema capitalista.
Nel II Capitolo della “Rivoluzione Tradita”
Trotsky scrive che:
“Mutatis mutandis il regime sovietico si è
posto in rapporto all’economia nel suo insieme nella posizione del capitalista
in rapporto ad un’azienda isolata”.
Leggiamo poi nel capitolo IX:
“Il passaggio delle fabbriche allo stato non ha
cambiato che la condizione giuridica dell’operaio (sottolineature
dell’autore dell’articolo A. Gusev); di fatto egli vive nell’indigenza, pur
lavorando un certo numero di ore per un determinato salario. Le speranze che il
lavoratore riponeva prima sul partito e sui sindacati, le ha trasferite dopo la
rivoluzione sullo Stato che ha creato. Ma il lavoro utile di questo Stato si è
trovato limitato dall’insufficienza della tecnica e della cultura. Per
migliorare l’una e l’altra, il nuovo Stato ha fatto ricorso ai vecchi metodi
all’usura dei muscoli e dei nervi dei lavoratori. Si è costituito tutto un
corpo di pungolatori. La gestione dell’industria è diventata estremamente
burocratica. Gli operai hanno perduto tutta la loro influenza sulla direzione
delle fabbriche. Lavorando a cottimo, vivendo in un profondo disagio, privato
della libertà di spostarsi, subendo nella stessa fabbrica un regime poliziesco
terribile, l’operaio potrebbe difficilmente sentirsi un “libero lavoratore”. Il
funzionario è per lui il capo, lo Stato un padrone. Il lavoro libero è
incompatibile con l’esistenza dello Stato burocratico”.
Sembrerebbe una enunciazione ancora più
evidente, che constaterebbe elementarmente il punto di vista marxista dei fatti.
Marx metteva infatti sempre l’accento sul fatto che le caratteristiche concrete
di ogni sistema sociale non sono desunte né dalla posizione giuridica né dalle
“forme di proprietà”. I fattori concreti nei rapporti sociali reali, prima di
tutto fanno i conti con il rapporto dei gruppi sociali con il plusvalore
prodotto. Uno stesso modo di produzione può configurarsi con diversi tipi di
proprietà. Ciò è stato evidenziato molto efficacemente, per esempio durante
l’epoca feudale. Durante il medioevo nei paesi dell’occidente sussisteva
fondamentalmente la proprietà privata feudale della terra, mentre nei paesi
dell’oriente erano basati sulla proprietà statal-feudale. Comunque in tutti e
due i casi sussistevano dei rapporti sociali di tipo feudale.
Nel III volume del Capitale Marx definisce
concretamente le caratteristiche universali di ogni regime sociale classista
come “quella forma economica specifica nella quale il plus-valore viene
espropriato ai diretti produttori”. Il discorso qui affronta il problema
fondamentale del rapporto tra chi controlla il processo e i prodotti della
produzione e chi solamente partecipa invece a tale produzione. “Il rapporto
diretto dei proprietari dei mezzi di produzione con i diretti produttori... ecco
quello che noi sveliamo come il segreto più profondo che si nasconde nelle
fondamenta di ogni regime sociale” scrive sempre Marx nel Capitale.
Abbiamo visto come descrive Trotsky i rapporti
tra regime dominante e diretti produttori. Da una parte fattualmente, “la
proprietà dei mezzi di produzione è dello stato” (ovvero della burocrazia
organizzata) e dall’altra la proprietà “giuridica” sarebbe nelle mani dei
lavoratori: lavoratori senza diritti, operai dai quali “viene estratto lavoro
non pagato”. Quindi se questa è la situazione si può arrivare solo a una logica
conclusione: tra il sistema burocratico stalinista e il sistema “classico” del
capitalismo non ci sono differenze fondamentali. Ma qui come detto Trotsky si
ferma e afferma al contrario che regime esistente in URSS non è capitalismo di
stato e addirittura che in URSS c’è una qualche forma non definita di “stato
operaio”, nel quale esiste una “espropriazione politica” della classe operaia la
quale però resta, dal punto di vista economico, la classe dirigente e proprio
per questo non è sfruttata.
Per sostenere tale tesi Trotsky si appella alla
proprietà statale della terra, dei mezzi di produzione, dei trasporti e di
scambio, e perfino al monopolio del commercio con l’estero, ovvero a tutti
argomenti “giuridici”.
LO SCHEMA CHE METTE IN OMBRA LA REALTA’.
Perché Trotsky giunge a tali conclusioni? Perché
il Trotsky-giornalista che critica duramente lo stalinismo, che registra i
fatti, che descrive la burocrazia proprio come una classe, come un
espropriatore collettivo è così contrapposto al Trotsky-teorico che tenta di
negare i fatti più evidenti?
Possiamo ipotizzare due ragioni fondamentali
che costringono Trotsky in tale contraddizione.
Sono motivi di ordine politico e teorico.
Nella “Rivoluzione Tradita” Trotsky tenta di
sostenere la sua tesi sulla natura di classe della burocrazia appoggiandosi ad
argomenti molto deboli come “essa non possiede azioni o obbligazioni”. Ma da ciò
non deriva che essa non possa essere una classe dominante. Si può
elementarmente rispondere che non è importante tanto se la burocrazia “possieda
azioni o obbligazioni” in quanto tali, ma se tale burocrazia è quel gruppo
sociale che sistematicamente espropria del loro prodotto i produttori diretti.
A nostro avviso l’argomento più importante che
sosteneva la tesi di Trotsky era rappresentato dal suo profondo convincimento
che la burocrazia non potesse essere l’elemento centrale di un sistema stabile,
che essa “rifletteva” gli interessi di una qualche altra classe.
Tale convincimento ancora negli anni ’20 aveva
ancora un suo fondamento perché era basato sullo schema di Trotsky per cui
tutti gli antagonismi si risolvevano nella dicotomia “tranciante”: proletariato
- capitale privato. In tale schema non c’era spazio per una “terza forza”.
L’ascesa, in questo quadro, della burocrazia era vista come il prodotto della
pressione della piccola borghesia della campagna e della città sul partito e
sullo stato. La stessa burocrazia si presentava come gruppo che mediava gli
interessi degli operai e dei “nuovi proprietari”.
Ma il corso seguente degli avvenimenti prese poi
una diversa strada. La burocrazia non rimase a mezza strada tra piccola
borghesia e proletariato ma liquidò la NEP, “liquidando i kulaki come classe”,
procedendo alla collettivizzazione e alla industrializzazione forzata. Tutto
ciò era inconcepibile per Trotsky e i suoi seguaci e non è un caso quindi che
l’opposizione trotskista stessa alla fine degli anni ’20 finì per decomporsi
catastroficamente.
L’incapacità di leggere gli eventi portò Trotsky
a sostenere che la burocrazia sotto la spinta di diverse forze sociali avrebbe
finito per scindersi. Nel “progetto di piattaforma dell’opposizione di sinistra
internazionale sulla questione russa” del 1931 parlò della concreta possibilità
di una guerra civile in URSS in cui ci sarebbe prodotta una scissione “verso i
lati opposti della barricata” tra gli elementi dell’apparato statale e del
partito.
Ma ciò non avvenne e la burocrazia invece di
scindersi si rafforzò. Ma Trotsky continuò a sostenere tale tesi. Nell’articolo
“L’URSS in guerra” del settembre 1939 Trotsky dice: “Non sarebbe una situazione
ridicola se quella oligarchia burocratica che qualcuno vuole chiamare classe
dominante crollasse tra qualche anno se non tra qualche mese?”
Quindi tutte le sue previsioni sulla durata
della burocrazia “sovietica” si dimostrarono errate. Tuttavia Trotsky non
desiderava cambiare idea. E quindi molte delle ragioni per cui mantenne tale
posizione, in relazione al ruolo sociale della burocrazia, non vanno ricercate
nella teoria ma in ambito strettamente politico.
TERMINOLOGIA E POLITICA.
Se noi guardiamo a tutta la storia
dell’opposizione trotskista negli anni ’20 e inizio anni ’30 vediamo che
fondamentalmente tutta la strategia politica di tale opposizione si fonda sulla
convinzione che ci sarà una scissione nell’apparato sovietico. Proprio nella
unità con un’ipotetica “ala sinistra” della burocrazia Trotsky vedeva la
possibilità di arrivare a una riforma del partito e dello stato. “Il blocco con
i centristi [la frazione stalinista dell’apparato] è possibile ed è una
variante su cui riflettere” - scrive nel 1928 - “Penso anzi che solo
unificandoci a tale gruppo nel partito possiamo salvare la rivoluzione.”
Le illusioni sulla “burocrazia progressista”
continuarono anche al confino e nell’immigrazione.
Ma se nel marzo del 1932 Trotsky aveva scritto:
“Bisogna, infine, che sia adempiuto l’ultimo consiglio che Lenin diede da vivo:
eliminare Stalin!” solo qualche mese dopo si rimangiò le sue stesse parole: “Il
problema che rimanga Stalin personalmente o no... non si pone. Lo slogan “Via
Stalin” può essere travisato in “Via tutto l’apparato”. Ma invece deve essere
chiaro che noi vogliamo riformare il sistema e non distruggerlo...”.
Ancora nel “Programma di Transizione” della IV
Internazionale del 1938 si sosteneva che nell’apparato dell’URSS si potevano
trovare tutto lo spettro delle tendenze politiche incluso “l’autentico
bolscevismo”.
In questa frazione “autenticamente bolscevica”
Trotsky vedeva una risorsa potenziale per l’opposizione di sinistra. Per di più
il leader della IV Internazionale ammetteva la possibilità di creare un “fronte
unico” direttamente con la frazione stalinista dell’apparato nel caso ci fosse
stato un tentativo di restaurazione capitalistica, cosa che era da aspettarsi -
siamo nel 1938 - in un futuro prossimo.
Va detto a onor del vero che Trotsky nel
concepire tale “fronte unico” monoclassista rifiutava comunque i “fronti
popolari” che si andavano costituendo in Francia e in Spagna nella seconda metà
degli anni ’30, accordi politici con classi avversarie.
Complessivamente la concezione di Trotsky che
prevedeva negli ultimi anni ’20 una “riforma del sistema sovietico” e dopo il
1933 “il fronte unico” con gli stalinisti in caso di tentativi
controrivoluzionari, fa assumere alla questione della natura sociale della
burocrazia, che in un primo momento può sembrare una questione di carattere
strettamente teorico e terminologico, un significato molto più profondo.
DESTINO DELLA BUROCRAZIA.
Ma bisogna anche dare a Trotsky ciò che è di
Trotsky: egli negli ultimi anni si stava indirizzando verso una revisione del
suo punto di vista sulla burocrazia stalinista. Ciò è evidente nel suo ultimo,
importante, anche se non concluso, libro su Stalin (1940): tornando sugli
avvenimenti decisivi degli anni ’20 e ’30 in relazione al fatto che la
burocrazia aveva stabilito nel paese il monopolio assoluto sul potere e la
proprietà, Trotsky valuta l’apparato statale e di partito già come una forza
sociale strutturata che lotta costantemente per accaparrarsi “il plus-valore
nazionale”.
Nell’articolo già citato “L’URSS in guerra”
Trotsky aveva già comunque fatto un ulteriore passo nella direzione del
riconoscimento che si potesse cristallizzare in URSS una nuova classe dominante.
Egli sostiene che dal punto di vista teorico è possibile che: “il regime
staliniano sia la prima tappa verso una nuova società sfruttatrice”. Egli
inoltre affermava che in caso di entrata in guerra dell’URSS si sarebbe chiarite
molte cose.
Ciò che è poi successo è noto a tutti. Per
Trotsky la burocrazia di per sé aveva una qualche missione “interclassista” da
compiere, ma non aveva un ruolo indipendente, era solo “un episodio recidivo”.
La burocrazia proletarizzò milioni di contadini e di piccoli borghesi creando le
condizioni per uno sfruttamento dall’alto dei lavoratori e per
l’industrializzazione e dopo la guerra esportò i suoi metodi di sfruttamento in
tutto l’est e centro Europa oltre che nel sud-est asiatico. Avrebbe Trotsky
cambiato il suo punto di vista sulla burocrazia alla luce di tali processi? La
cosa è difficile da valutare: non ebbe la possibilità di sopravvivere alla
Seconda Guerra Mondiale e di studiare “il campo socialista” che si costituì. Ma
la maggioranza dei suoi seguaci continuarono a ripetere, decennio dopo
decennio, parola per parola, i dogmi teorici della “Rivoluzione Tradita”. La
storia ha evidentemente confutato, in tutti gli aspetti fondamentali l’analisi
trotskista sulla natura del sistema sociale dell’URSS. Tuttavia ancora oggi
alcuni autori (per non parlare dei rappresentanti del movimento trotskista
internazionale) continuano ad affermare che l’analisi di Trotsky per cui la
burocrazia era solo una “casta” sia stata confermata dagli avvenimenti degli
ultimi anni in Russia e nei paesi del “blocco sovietico”. Affermano che Trotsky
aveva valutato due possibili varianti alla crisi dello stalinismo: o la
rivoluzione “politica” del proletariato o la controrivoluzione capitalista. Per
esempio Vadim Rogovin autore di una serie di libri apologetici dell’opera di
Trotsky afferma che le previsioni di Trotsky si sono affermate, anche se in
ritardo.
Valutare la “variante controrivoluzionaria”
della previsione di Trotsky deve far riferimento principalmente alla
contemporanea caduta della burocrazia come “strato” dominante. Infatti la
burocrazia essendo direttamente collegata con la classe economicamente dominante
(il proletariato) in cui affondava le proprie radici avrebbe dovuto resistere e
cadere assieme ad essa. Se si pensa che nei paesi dell’ex URSS nel 1991 c’è
stata una controrivoluzione sociale e la classe proletaria ha perso il suo
dominio politico-sociale, insieme alla classe proletaria sarebbe dovuta crollare
anche la burocrazia.
E’ crollata veramente la burocrazia? Secondo i
dati dell’Istituto di Sociologia RAN più del 75% della “elitè politica” e più
del 61% dei “business-men” provengono dalla nomenklatura del periodo
“sovietico”. Il dominio sociale, politico ed economico è restato nelle stesse
mani di prima[3].
E così malgrado Trotsky la burocrazia non è
crollata. Ma prendiamo anche l’altro aspetto di tale previsione. La formazione
oltre a una frazione “borghese” di una frazione “autenticamente bolscevica”
all’interno della burocrazia. Effettivamente i capi dei diversi partiti
comunisti esistenti oggi in Russia affermano di essere i difensori degli
interessi della classe operaia e seguaci del bolscevismo. Possiamo veramente
pensare che Trotsky avrebbe considerato Zuganov o Antilop degli “elementi
proletari” quando tutta la loro lotta “anticapitalista” punta solo alla
restaurazione dell’ordine burocratico nella sua forma classico-stalinista oppure
in quella “statal-patriottica”?
Infine l’ipotesi “controrivoluzionaria” di
Trotsky era tratteggiata in tinte apocalittiche:
“... il capitalismo potrebbe - ipoteticamente -
ritornare in Russia solo al prezzo di una terribile insurrezione che
produrrebbe un versamento di sangue dieci volte maggiore di quello che venne
versato nella Rivoluzione d’Ottobre e in tutta la guerra civile. Il posto ora
occupato dai Soviet sarebbe occupato solo da un verace fascismo russo, in
confronto al quale il regime di Mussolini e Hitler sembrerebbe una fondazione
filantropica”.
Trotsky certo non poteva in alcun modo prevedere
che non solo negli anni 1989-1991 i lavoratori non solo non si sarebbero
sollevati per difendere la proprietà statale e l’apparato “comunista” ma che
avrebbero attivamente sostenuto la sua distruzione. Per quanto gli operai non
vedevano nel sistema qualcosa da difendere, e nessun bagno di sangue ci sia
stato nel passaggio “all’economia di mercato”, il cambiamento delle forme di
proprietà non ha comportato nessun fascismo o semi-fascismo.
Se la burocrazia non era una classe
fondamentale, come diceva Trotsky, ma solo “un gendarme” nel processo di
produzione, alla restaurazione del capitalismo sarebbe stata necessaria , prima
di tutto una qualche accumulazione del capitale.
Nella pubblicistica russa contemporanea
l’espressione di “accumulazione personale” si incontra veramente molto spesso.
Ma si parla in questo caso dei soldi, dei mezzi di produzione e altre ricchezze
concentrati nelle tasche dei “nuovi russi”. Tutto ciò tuttavia non ha nessun
rapporto con l’accumulazione del capitale descritta nel Capitale da Marx.
Analizzando la genesi del capitale egli sottolineava che “quella che chiamiamo
accumulazione del capitale è il processo storico della separazione dei
produttori dai mezzi di produzione”. La formazione di un esercito di lavoratori
salariati mediante l’espropriazione dei mezzi di produzione, ecco quale è il
presupposto per la formazione della classe dominante capitalistica. Si vorrebbe
forse dire che negli anni ’90 nei paesi dell’ex URSS si è creata una classe di
funzionari che avrebbe espropriato il proletariato? E chiaro che ciò è assurdo:
è chiaro che una tale classe esisteva già, e da lungo tempo, in nessun modo, i
diretti produttori controllavano i mezzi di produzione. Dunque non c’è stata
alcuna espropriazione. Dunque l’accumulazione originaria del capitale era già
avvenuta e anche da parecchio tempo.
Quando Trotsky collegava l’accumulazione
originaria con l’imposizione di una dittatura feroce e lo scorrere del sangue
aveva assolutamente ragione. L’errore di Trotsky era quello, tuttavia, di
collegare l’accumulazione originaria del capitale con una ipotetica futura
controrivoluzione e di non voler vedere i più chiari attributi
dell’accumulazione originaria nella mostruosa tirannia politica e nello
sterminio di massa che aveva sotto gli occhi. Milioni di contadini rovinati,
uccisi dalla fame e dalle malattie; totalmente privati di diritti e costretti al
lavoro forzato, è sulle loro ossa furono raggiunti gli obbiettivi dei piani
quinquennali stalinisti; la quantità incommensurabile di reclusi nei GULAG, ecco
le vittime dell’accumulazione originaria in URSS. Senza capire ciò non si può
capire profondamente né la storia “sovietica” né la Russia contemporanea.
Bilancio finale. La concezione trotskista della
burocrazia, sintetizzata in tutta una serie di scritti politici e teorici, non è
stata in grado di spiegare la realtà dello stalinismo e la sua evoluzione. Lo
stesso si può dire delle altre categorie trotskiane collegate all’analisi della
burocrazia (Stato “operaio”, carattere “postcapitalista” dei rapporti sociali”,
“ambivalenza” dello stalinismo, ecc.) Allo stesso tempo bisogna dire però che
Trotsky tentò di risolvere il compito che gli stava davanti: con la sua
meravigliosa penna di pubblicista portò una critica micidiale contro chi
sosteneva che l’Unione Sovietica fosse “socialista”. E considerato il tempo in
cui visse, non fu certo poco.
[1]
Vedi per esempio i contributi contenuti nel volume “L’eredità ideale di L.D.
Trotsky nella storia e per la contemporaneità”, Mosca, 1996.
[2]
Vedi le opere di V.Z. Rogovin
[3]
Kristanovskaja O. “L’oligarchia finanziaria in URSS”. Izvestia del
10.1.1996
|