La fine dell’epoca aurea dell’economia mondiale,
durata fino ai primi anni ’70, apre la strada, in concomitanza con la crisi
petrolifera, alla recessione generalizzata dell’economia occidentale del
1974-1975. La crisi sembra avvitarsi su se stessa per gli effetti congiunti di
inflazione e recessione che danno vita a una inedita “stagflazione”.
Il rallentamento della crescita dell’economia internazionale appare non
meramente congiunturale, perché le stesse politiche keynesiane, introdotte da
molti governi per combattere la crisi, sono rese inefficaci dall’esplosione del
debito pubblico e quindi dalla crisi fiscale dello Stato. Inoltre la nuova
ondata di radicalizzazione politica in paesi capitalisticamente avanzati come
l’Italia, la Spagna e il Portogallo, la vittoria delle lotte di liberazione
nazionale in Indocina, Angola e Mozambico sembrano vendicare la predizione di
Bordiga[1].
Il S.U. della Quarta Internazionale, soprattutto attraverso la penna di
Ernest Mandel, segue da vicino l’evoluzione dell’economia capitalista.. Nella
rivista Quarta Internazionale, l’economista belga delinea i caratteri e
le prospettive della recessione generalizzata che colpisce i paesi occidentali.
Per Mandel[2]
la recessione del 1974-1975 è la più grave del dopoguerra per la
sincronizzazione internazionale dei processi congiunturali. Si tratta della
classica crisi di sovrapproduzione, con specifiche dinamiche di stagflazione. In
questa situazione la disoccupazione tende a divenire non più solo un fenomeno
congiunturale, determinato dalle oscillazioni dei singoli comparti del mercato,
ma un fenomeno strutturale “risultato del fatto che ci troviamo in una
fase di regime capitalista in declino caratterizzata dall’automazione, cioè da
un incremento straordinariamente rapido della produttività del lavoro”.[3]
La crisi economica non si presenta più con gli aspetti catastrofici che avevano
caratterizzato quella del 1929, ma
(...) quello che rende particolarmente grave per
il capitalismo la situazione attuale è il combinarsi della recessione economica
generalizzata con un livello eccezionalmente alto di organizzazione, di forza
numerica, di combattività del proletariato, con una debolezza politica
particolarmente accentuata del sistema borghese. (...) In queste condizioni, il
pericolo maggiore è dato dalle manovre della borghesia, sostenute o tollerate
dalle direzioni riformiste, volte a frammentare, a spezzare le reazioni operaie,
ad agitare lo spauracchio della disoccupazione per ‘contenere’ le rivendicazioni
salariali (...)[4].
E’ la stessa tesi sostenuta da Maitan alla fine del 1975, in un lungo saggio
pubblicato in due puntate sull’organo dei GCR, in cui afferma che il legame tra
crisi economica e situazione rivoluzionaria esiste, ma è strettamente connesso
alla dinamica politica. Per Maitan, la situazione politica per i rivoluzionari
sarebbe eccellente, in quanto la nuova recessione si sarebbe prodotta proprio
mentre l’imperialismo americano subiva uno scacco in Vietnam e la classe
operaia, nel contempo, non subiva importanti arretramenti.
Le conseguenze possono essere constatate. Se in
Portogallo la classe dominante non è riuscita a tradurre in pratica il suo
progetto di “riconversione democratica” e la crisi politica si è costantemente
aggravata specie dalla primavera del 1975, una delle cause è stata senza dubbio
la crisi economica europea e mondiale che ha ristretto notevolmente, se non
annullato completamente, i margini di manovra necessari. Se in Italia c’è stata
una evoluzione dei rapporti di forza politici quale è emersa anche nello
specchio deformato di una consultazione elettorale (...) vi hanno contribuito in
notevole misura i problemi posti dalla recessione (...)[5].
Per questo, secondo Maitan, le condizioni per una rottura rivoluzionaria in
Europa sono ora molto più concrete che in Francia nel ’68 o in Italia nel ’69.
In realtà la situazione è assai meno lineare di come viene presentata da Maitan.
L’Italia, pur risentendo della situazione generale, dalla dipendenza del
petrolio come fonte energetica dovuta alla dipendenza strutturale dalle
esportazioni, attraverso politiche inflazionistiche e l’enorme espansione
dell’economia sommersa riesce in questi anni a evitare un rapido declino come
potenza imperialista. Allo stesso tempo le prime ristrutturazioni, il blocco
delle assunzioni, la crescita vertiginosa della forza lavoro altamente
alfabetizzata, creano ampie sacche di disoccupazione, emarginazione,
parassitismo sociale.
La situazione è resa ancor più complessa dalla resistenza irriducibile della
classe operaia a essere capitale variabile.
Il Partito Comunista, in questo triennio, raggiunge il massimo della sua
influenza. Il gruppo dirigente affina la proposta di “compromesso storico”, che
diviene la chiave di volta di tutta una stagione politica. Il PCI si propone
come il solo partito in grado di avere delle ricette che sappiano portare fuori
il paese dal cul de sac in cui si è cacciato. La segreteria Berlinguer
dimostra con fermezza di saper recuperare le spinte alla sua sinistra sia
organizzativamente sia elettoralmente, arrivando a ottenere nelle elezioni del
1975 e del 1976 risultati straordinari, seppur anche a discapito di un PSI in
crisi d’identità.
Le formazioni della estrema sinistra, negli anni che precedono l’entrata del PCI
nella maggioranza, si stabilizzano organizzativamente (nel breve volgere di
pochi mesi arriveranno in edicola ben tre quotidiani di estrema sinistra[6]),
e preso atto del recupero del PCI, si volgono verso questo partito con maggior
accortezza tattica (anche se la concorrenza alla loro sinistra dell’Autonomia
Operaia inizia a farsi sentire).
Seppur con sfumature diverse, per la “triplice” (così ad un certo punto vennero
denominate le tre principali organizzazioni a sinistra del PCI, PdUP-AO-LC, per
aver stabilito tra di loro una sorta di “patto di consultazione” sulle
principali iniziative politiche e per la “gestione del movimento di massa”)
sembra arrivato al culmine quel gran ribollire che agita la situazione italiana
dal ’68. La “fine del regime democristiano” sembra a portata di mano. Un PCI al
governo, secondo tali previsioni, cambierebbe tutto il quadro politico, aprendo
una crepa tra la linea politica berlingueriana e le aspirazioni della base
comunista.
Tuttavia la debolezza strategica di fondo di tali organizzazioni le porta in
gran parte verso una prematura burocratizzazione. Immaginano che la situazione
sia rivoluzionaria e, quel che è peggio, in continua e inarrestabile ascesa,
confondono i comportamenti di piccole minoranze con la coscienza media dei
lavoratori. Si riscontrano in questo periodo, nei “gruppi”, fenomeni
degenerativi e infantili, peraltro già presenti nei loro esordi, quali il peso
assunto via via dai fattori militari di piazza, rispetto a quelli politici, con
scontri, a volte violentissimi, tra servizi d’ordine dello stesso orientamento
politico.
Ma è, ancora di più dello sviluppo dei partiti della sinistra, l’espansione dei
movimenti sociali “democratici” a tenere banco: si pensi al significato della
vittoria nel referendum del 1974 sul divorzio, allo sviluppo di movimenti
democratici nella magistratura, nell’esercito, dei cattolici democratici.
Il terrorismo rosso, che ancora in gran parte della sinistra ci si ostina a
considerare un fenomeno provocatorio, manovrato, realizza i suoi primi
attacchi al cuore dello Stato, ma chiude anche una prima fase della sua
breve esistenza con l’arresto di Curcio e Franceschini e la morte di Mara Cagol.
La destra è in ritirata. Se il suo elettorato viene risucchiato dallo scudo
crociato, le bande del MSI e del Fronte della Gioventù vengono utilizzate
ancora di più per fermare e reprimere i movimenti, dando fiato alla teoria degli
“opposti estremismi”, abilmente propagandata dalla DC.
E’la DC,
il partito cardine del sistema italiano, ad avere le maggiori difficoltà: la
tenuta elettorale viene assicurata solo con lo svuotamento di tutti i partiti
intermedi e del MSI, ma la crisi politica resta evidente. Il collateralismo
inizia a incepparsi e il ventre molle dell’Italia, provinciale, conservatore e
cattolico, che aveva fatto la fortuna della DC, sembra definitivamente al
tramonto. Lo stesso venire a galla del livello di corruzione di questo partito
(vedi scandalo dei petroli e Lockheed), mette alle corde il principale referente
della borghesia italiana.
I GCR nel 1974
In questo periodo i GCR spostano l’accento delle loro parole d’ordine fino ad
apparire, nella variegata galassia del gauchisme, una formazione più
radicale di LC, collocandosi in una ipotetica costellazione, all’estrema
sinistra, insieme alla nascente Autonomia.
Nella
primavera del 1974 i GCR si impegnano nella campagna referendaria per il “no”
all’abrogazione della legge sul divorzio. L’asse DC-MSI, sostenuto dal Vaticano,
vorrebbe in tal modo prendersi una prima rivincita contro la progressiva ondata
di liberalizzazione dei comportamenti sessuali e delle relazioni sociali. Tra i
partiti della sinistra il PCI è quello più in difficoltà. Non solo nel secondo
dopoguerra ha evitato sempre di entrare in collusione con la gerarchia
cattolica, come nel caso del Concordato, ma ha sempre espresso un eccesso di
moralismo per le questioni riguardanti la famiglia, perfino nei suoi vertici[7].
Per questo conduce una campagna in tono minore, con il timore della sconfitta e
l’ossessione di non dividere la classe operaia.
I GCR considerano ancora più scandaloso l’atteggiamento di tanta parte della
estrema sinistra, la quale si impegna nella campagna con una connotazione di
classe poco marcata.
(...) assurdo è l’atteggiamento di quelle forze
(...) anche dell’estrema sinistra che oggi si pongono su un piano limitativo in
un’ottica semplicemente numerica di accaparramento di voti divorzisti, in una
prospettiva in cui prima bisognerebbe vincere la battaglia sul divorzio (...) e
poi si andrà avanti (...)[8].
Per i GCR invece si tratta di lanciare parole d’ordine a più largo respiro come
“trasformiamo il referendum in una lotta generale anticapitalista!”,
“organizziamo il contrattacco contro il carovita, contro la disoccupazione,
contro il caos capitalistico!”
La vittoria di larga misura del fronte divorzista convince ancora di più i
trotskisti che la situazione è favorevole, dal punto di vista dei rapporti di
forza, per la classe operaia.
L’operazione tentata dai settori più reazionari
della borghesia, per costituire una base di massa piccolo borghese e
sottoproletaria da utilizzare in funzione antioperaia nell’attuale difficile
situazione politica ed economica, è fallita. La massiccia vittoria dei No al
referendum è la dimostrazione, ad un tempo, della comprensione operaia della
portata politica generale dello scontro e dell’indisponibilità, da parte di
settori rilevanti della stessa borghesia, per operazioni di tipo
clerico-fasciste”[9].
Durante la campagna referendaria, intanto, il sequestro del giudice Sossi, porta
alla ribalta nazionale le BR.
La posizione dei GCR, pur critica nei confronti della politica delle BR, non è
di contrapposizione frontale. Anzi la maggiore carica polemica è indirizzata
principalmente contro i gruppi della sinistra extraparlamentare.
Unendosi al coro legalista e ipocrita di quanti
indicavano come’fascisti’ o ‘banditi’ le Brigate Rosse, questi gruppi hanno
rinunciato a fare chiarezza su un punto fondamentale, e cioè che criticare come
sbagliate l’analisi e le concezioni di lotta di una formazione estremista non
può e non deve significare l’accantonamento del problema dell’attacco contro le
istituzioni borghesi e della prospettiva del loro rovesciamento”[10]
(nostra sottolineatura).
I GCR non condannano l’azione delle BR per “principio”, ma a partire dalla
valutazione errata che i brigatisti danno della democrazia italiana. Per i
terroristi gli spazi democratici ormai sarebbero definitivamente preclusi e
l’azione legale inutile,perché il capitalismo avrebbe già deciso di trasformare
la Repubblica in un regime fascista o gollista. Al contrario invece per i GCR
gli spazi per una azione legale e di massa resterebbero del tutto intatti.
Tuttavia il dissenso per azioni sbagliate, affermano i trotskisti, non deve far
perdere di vista il problema di “difendere i compagni dalla denigrazione e della
repressione borghese”. E l’idea che queste azioni facciano “obbiettivamente” gli
interessi della destra è solo una fandonia.[11]
Nella primavera e nell’estate torna a farsi sentire il terrorismo nero, con due
bombe in Piazza della Loggia a Brescia durante un comizio sindacale e su un
treno, mentre percorre il tratto Bologna-Firenze.
Anche in questo caso i comunisti rivoluzionari tendono a demarcarsi dal
resto dei “gruppi”: non è con campagne come quelle della messa fuori legge del
MSI. lanciata in quell’anno da LC, e neppure con le richieste di maggiore
intervento da parte degli apparati dello stato che il movimento operaio può
togliersi la spina nel fianco degli attentati fascisti.
La politica di fronte unico proletario – scrive
Bandiera Rossa - (...) implica la mobilitazione della classe operaia per
respingere gli attacchi dei fascisti e per difendere i diritti e le libertà che
il movimento operaio si è conquistato con decenni di lotta. Implica la
formazione di distaccamenti operai di autodifesa (...) Implica l’autodifesa
delle sedi, dei picchetti e delle manifestazioni. Implica la nozione
fondamentale che la classe operaia non affida la propria tutela agli apparati
dell’avversario di classe, (...) ma conta sulla propria forza e sulla propria
organizzazione (...)[12].
Il X Congresso Mondiale del Segretariato Unificato
La posizione dei GCR sulle Brigate Rosse e quella dell’“autodifesa
operaia” è comprensibile solo analizzando concretamente quale applicazione e
quali risultati aveva prodotto la svolta del S.U. verso “la nuova avanguardia
con influenza di massa” e la “linea della lotta armata in America Latina”.
L’applicazione della linea lottarmatista in America Latina aveva
avuto la sua piena applicazione in Argentina.
In Argentina l’ERP (Ejercito Revolucionario del Pueblo), il braccio
armato del PRT (c) (Partido Revolucionario de los Trabajadores - Combatiente)
a partire dal 1972 aveva sviluppato un crescendo di azioni armate spettacolari,
come il rapimento del dirigente della FIAT argentina Sallustro, conclusosi con
la sua uccisione, o l’eliminazione del Generale Sanchez del Secondo Corpo
d’Armata. Tutte queste azioni erano state salutate con entusiasmo dalla stampa
del S.U. La stampa dei GCR non era uscita dal coro, passando sopra anche alle
evidenti deviazioni nazionaliste e populiste dell’organizzazione argentina.
Sulle pagine di Quarta Internazionale[13]
erano apparse molte delle risoluzioni del PRT-ERP e gli articoli del suo
organo di stampa El Combatiente in cui si poteva leggere:
(…) la reale motivazione
della propaganda armata rispetto alle masse è di provocare la mobilitazione,
trasformandole da spettatrici in agenti della guerra rivoluzionaria (…).
L’esercito del popolo deve combattere ovunque sia il proletariato,
trasformandosi nel difensore dei suoi interessi, e deve essere appoggiato dalle
masse stesse. Per questa guerra sono necessarie cellule forti, addestrate per
combattere con le armi sottratte al nemico, affrontandolo direttamente in
battaglia o in imboscate urbane rurali.
È però imprescindibile anche il ruolo che il
popolo può svolgere lottando con i mezzi più rudimentali, con le molotov e con
tutti mezzi usati dai nostri antenati per scacciare gli spagnoli, rispondendo
alla violenza del nemico, colpendolo nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle
scuole e nelle università[14].
La rottura del PRT-ERP, su posizioni vagamente “mao-.castriste”, con il S.U.,
che avverrà a cavallo tra il 1973 e il 974,, quindi non può essere considerata
improvvisa, frutto di una rapida involuzione delle posizioni del PRT-ERP.
Posizioni eclettiche, come il tentativo di coniugare il marxismo e il maoismo,
erano presenti sin dal ’68 nella elaborazione della sezione argentina[15].
Ma il fatto che la direzione del S.U. abbia per tanto tempo temporeggiato, prima
di cominciare una polemica con questo gruppo e lo abbia addirittura riconosciuto
come sezione ufficiale della Quarta Internazionale, dimostra la
spregiudicatezza e la subordinazione alle mode del momento che contraddistingue
in questa fase la direzione europea del S.U. Sulla penosa vicenda argentina, che
si concluse con la totale distruzione del PRT-ERP e il sacrificio di buona parte
di una generazione di giovani rivoluzionari, la responsabilità della direzione
europea Mandel-Maitan-Krivine è incontestabile. Il fochismo in versione
trotskista aveva portato alla morte e alla disperazione buona parte della
giovane avanguardia argentina sorta negli anni ’60.
La
stragrande maggioranza dell’organizzazione internazionale trotskista, durante il
X Congresso Mondiale, è ancora divisa fondamentalmente in due grandi tronconi,
sorti proprio dalla disputa sulla “linea della lotta armata”: da una parte la
TMI in cui si riconoscono soprattutto le sezioni europee e dall’altra la FLT
animata dal SWP e soprattutto il potente PST argentino.[16]
Sul Congresso incombe il pericolo di scissione. Anche se una autocritica
pubblica e ufficiale da parte della tendenza maggioritaria, a proposito della
tattica in America Latina, avverrà solo nel 1976[17],
lo scontro tra la TMI e la FLT si è però già spostato nel 1974, dalla
applicazione della “linea della lotta armata” alla tattica costruzione del
partito rivoluzionario in Europa.
Per Mary Alice Waters del SWP gli errori di analisi e di metodo della TMI in
Argentina e in Bolivia si riversano sulla costruzione dei partiti trotskisti in
Europa. L’orientamento impresso dal S.U. verso “la nuova avanguardia con
influenza di massa” rappresenta, per la dirigente del SWP, un errore di
strabismo politico.
La direzione maggioritaria dell’Internazionale si
adattò agli umori dell’estrema sinistra. Anziché educare pazientemente
“l’avanguardia” sulla necessità di continuare azioni volte a coinvolgere le
masse lavoratrici, anche se all’inizio tali azioni sarebbero state limitate,
furono invece organizzate azioni di fracassamento di vetrine[18].
La FLT è preoccupata che la tattica “guerrigliera” venga estesa anche alle
sezioni europee, come dimostrerebbero la messa fuorilegge della Ligue e
l’arresto di Krivine in seguito ai violentissimi scontri seguiti al tentativo
del suo servizio d’ordine di impedire un comizio fascista[19],
gli attestati di simpatia verso l’IRA (Irish Republican Army –Provisional)
della sezione irlandese o il giudizio sostanzialmente positivo sull’attentato
dell’ETA basca a Carrero Blanco da parte della sezione spagnola.
Questa linea politica “aggressiva” non è solo, per la minoranza del SWP, un
sottoprodotto dell’accodamento alla cosiddetta “nuova avanguardia con influenza
di massa”: in realtà essa affonda le radici nella previsione fatta da Mandel nel
1972, secondo cui nel giro di 3-6 anni si sarebbe potuti arrivare a scontri
rivoluzionari decisivi in Europa.
Queste distorsioni e limiti della politica del S.U. sono principalmente il
prodotto del suo adattamento all’ambiente studentesco radicalizzato. L’ambiente
studentesco sarebbe caratterizzato dalla impazienza tipica della piccola
borghesia, che vorrebbe preparare le rivoluzioni con azioni di guerriglia urbana
piuttosto che attraverso un opera paziente di educazione delle masse.
Tuttavia la Waters non propone una “riconversione verso la classe operaia”, una
“svolta verso l’industria”, tutt’altro. Come sta sperimentando positivamente l’SWP
negli Stati Uniti anche le sezioni europee dovrebbero concentrare il maggiore
impegno verso lo sviluppo di organizzazioni giovanili e nel movimento di
liberazione della donna.
Siamo tutti coscienti delle debolezze
nell’ambiente studentesco radicalizzato. Ma reclutare largamente nell’ambiente
studentesco è e sarà un problema serio per la IV Internazionale solo se
adatteremo il nostro programma e il carattere dei nostri partiti alle
debolezze dell’ambiente studentesco. Sarà un problema se non riusciremo a
formare i nostri militanti nel senso dei principi del marxismo e della
politica di classe[20].
L’orientamento sulla costruzione della FLT mette però in luce come in realtà la
battaglia contro la violenza “d’avanguardia” delle sezioni europee del S.U. sia
inficiata dal perbenismo, che alligna nella sezione americana rispetto a
qualsivoglia rottura della legalità. La stessa presunta propaganda “di massa”
del SWP (US) è in parte il prodotto di un adattamento opportunistico al
nazionalismo americano. Il SWP (US) è certo tra i promotori del grande movimento
contro la guerra nel Vietnam, che coinvolge tutti gli Stati Uniti da una costa
all’altra, ma al prezzo di basare la sua campagna d’agitazione su parole
d’ordine patriottiche tipo “bring home our boys” [portiamo a casa i
nostri ragazzi].
La risposta di Pierre Frank per la TMI, si
concentra su pochi punti. A proposito delle previsioni fatte da Mandel sulla
possibilità di rotture rivoluzionarie in Europa nel giro di pochi anni, Frank,
cita Trotsky quando afferma che “non si può trascurare, nei calcoli politici,
un fattore come il tempo”.
Per Frank la Waters, nelle sue valutazioni, commette l’errore di porre degli
steccati rigidi tra avanguardie e masse, non comprendendo che la
radicalizzazione in Europa rispetto agli USA è qualitativamente superiore, tocca
la classe operaia.
La classe operaia nella sua larga maggioranza
continua a votare per i partiti tradizionali, ma è già ricorsa spesso a nuove
forme di lotta più dure, pone delle rivendicazioni che il più delle volte non si
limitano più al semplice aspetto salariale, ma che mettono in discussione
l’autorità padronale in fabbrica. In seno a strati ampi della classe operaia si
discutono problemi politici di alto livello, e non solo in linea esclusivamente
teorica. (...)[21].
La necessità in taluni casi di azioni illegali e violente, anche d’avanguardia,
aggiunge Frank, sono parte integrante di quella coscienza che il partito deve
“portare dall’esterno” nella classe.
Sfortunatamente la classe operaia non può
comprendere da sola, senza l’avanguardia, la politica rivoluzionaria,
soprattutto l’uso della violenza organizzata, strutturata, che pure è parte
della politica rivoluzionaria. Il partito rivoluzionario non può insegnare solo
la propaganda. E’ un compito che impone al partito rivoluzionario di dare
l’esempio, talvolta anche a un prezzo alto[22].
È un dibattito, che toccando per la prima volta direttamente il “che fare?” in
Europa, coinvolge in una animata discussione la totalità della sezione italiana.
Il dibattito è reso più infiammato dall’adesione alla FLT di un dirigente
storico come Silvio Paolicchi, dalla formazione di una tendenza internazionale -
la cosiddetta “terza tendenza” - promossa proprio dalla FMR di Roberto Massari e
dall’entrata qualche mese dopo del GRP (Gruppo Rivoluzione Permanente) di
Napoli nei GCR (vedi appendice sulla LSR) legato organicamente alla FLT.
In questa fase è comunque la tendenza di Massari a giocare un ruolo preminente
tra le opposizioni in Italia,con la sua Tendenza Mezrayonka Internazionale
che organizza, oltre la FMR, anche militanti tedeschi (tendenza Kompass),
francesi, danesi, raccogliendo il 2,5% dei voti al X Congresso Mondiale.
La Tendenza Mezrayonka, pur riconoscendo come sostanzialmente corrette le
critiche della FLT sulla politica latinoamericana e sulla svolta del S.U. verso
“la nuova avanguardia di massa”, contesta alla FLT il metodo di costruzione dei
partiti trotskisti, basato essenzialmente sul reclutamento nella gioventù e nel
movimento delle donne, e la mancanza di un bilancio critico nei confronti del
“centrismo” della direzione del S.U..
La ricaduta del dibattito e delle divisioni internazionali al X Congresso,
giocheranno un ruolo importante nel dilaniamento del trotskismo italiano, che
avverrà di lì a poco.
La sprovincializzazione del trotskismo italiano non avviene solo per la
complessità dei problemi che a livello internazionale il movimento ha di fronte.
La nuova generazione di trotskisti italiani è altamente scolarizzata, conosce le
lingue (o le impara proprio leggendo i materiali politici), ha possibilità di
viaggiare, come mai era stato possibile alle precedenti generazioni. I militanti
possono leggere ogni mese quintali di carta, di documenti delle diverse sezioni
nazionali, di giornali e riviste dell’Internazionale e formarsi una opinione non
filtrata di quello che avviene nel mondo. La sprovincializzazione, per quanto
dolorosa, quindi, rappresenterà un momento di formazione, perlomeno culturale,
di molti trotskisti italiani.
1975: L’“inarrestabile” ascesa del PCI
Il 1975 è segnato dall’ascesa elettorale del PCI. Questo porta Lotta continua,
l’organizzazione dell’estrema sinistra più sensibile agli umori delle masse, a
una rapida svolta tattica verso il PCI. Nel primo Congresso di LC, tenutosi
all’inizio del 1975, Sofri inizia a delineare l’orizzonte in cui si muoverà il
suo partito: un lavoro di pressione sulla base del PCI, in attesa che il suo
arrivo al governo crei una frattura tra la base e il vertice. Non a caso, nelle
amministrative della primavera, Lotta Continua da l’indicazione del
voto rosso.
Maitan nel rilevare questa svolta di LC, pur sempre accompagnata da accenti
spontaneistici, scrive:
Gli assi di agitazione prescelti per questo
periodo - campagna per il MSI fuori legge, campagna per l’uscita dalla NATO
(...) - hanno, in ultima analisi, questa logica, si vuole esercitare una
pressione sulla direzione del PCI rievocando temi che il partito aveva usato nel
passato e che si considerano più suscettibili di trovare un eco presso certi
settori della base. Sono, comunque, temi che tatticamente il PCI può oggi
lasciar cadere o ripudiare, ma che non contrastano affatto con la logica
complessiva della sua politica[23].
La primavera del 1975 gronda di sangue. Già da tempo gli scontri nei cortei tra
i servizi d’ordine delle organizzazioni extraparlamentari con la polizia, i
fascisti e anche tra stesse formazioni di sinistra hanno raggiunto un livello
incandescente. Le tecniche di guerriglia urbana sono diventate raffinate: i
servizi d’ordine (S.d.O) armati di bastoni (detti anche “stalin”), chiavi
inglesi, bottiglie molotov, sono in grado di impegnare la polizia in scontri per
ore, controllare interi isolati dei quartieri cittadini, scegliere “obbiettivi”
da colpire.
Questa militarizzazione della milizia politica porta con sé elementi
degenerativi. I servizi d’ordine servono sempre di meno a proteggere i cortei
dalle provocazioni, a permettere il diritto di manifestare con i divieti della
questura, o perfino a svolgere azioni illegali mirate, ma divengono, con
l’innalzamento a culto della violenza in piazza, uno strumento di “promozione
sociale” all’interno dei gruppi stessi. La pratica degli scontri e dei pestaggi
tra diversi gruppi di estrema sinistra diviene, per alcune organizzazioni
staliniste come il famigerato Movimento Lavoratori per il Socialismo, ma
anche alcuni spezzoni più “militaristi” della Autonomia, la principale
ragione d’essere. L’aspetto “militare” della militanza inizia a prevalere su
quello politico; le formazioni di estrema sinistra si riempiono di giovani che
più che leggere libri frequentano palestre.
Anche i GCR hanno un loro servizio d’ordine in alcune località come Milano,
anche se in miniatura rispetto alle organizzazioni maggiori. Il S.d.O dei GCR si
limita, durante le manifestazioni più “calde”, a coordinarsi con il S.d.O di LC,
ma in alcuni casi anche con quello dell’Autonomia.
Questa spinta a organizzare una struttura
militare, seppur esile e simbolica, contrastata dalla minoranza pro-americana
dell’organizzazione, è sentita in alcuni settori più vivaci dell’organizzazione,
come il gruppo di Brescia[24],
teorizzata anche nei documenti interni:
(...) Alla Conferenza del ’73 (...) [i marxisti
rivoluzionari] mettevano l’accento sulla necessità dell’autodifesa degli operai
e degli studenti che, pur essendo concepita in funzione delle esigenze del
movimento di massa, non esclude iniziative delle avanguardie (e della
nostra organizzazione) e deve educare settori di avanguardia alla
necessità di una organizzazione politico-militare del proletariato (...)[25]
(nostra sottolineatura).
Nella seconda metà dell’aprile del 1975, a seguito dell’uccisione di Claudio
Varalli e Giannino Zibecchi a Milano, di Rodolfo Boschi e Tonino Miccichè a
Firenze e Torino, tutti militanti di sinistra, si susseguono una serie di
manifestazioni e di scontri con la polizia, di cui i più gravi avvengono proprio
nel capoluogo lombardo, dove la sede del MSI è presa d’assalto.
Nello stesso periodo vengono uccisi due militanti del F.d.G (Fronte della
Gioventù): Miki Mantakas e Sergio Ramelli.
L’editoriale su questi sanguinosi avvenimenti, che appare su Bandiera Rossa,
non lascia spazio a libere interpretazioni e rappresenta bene il clima di
un’epoca. Le giornate di aprile, pur con tutti distinguo, ricordano le giornate
di luglio ’60, l’antifascismo di una giovane generazione non doma.
L’antifascismo
militante sta pagando il suo prezzo. L’impegno di massa teso a impedire ai
fascisti di mostrare la loro impunità (...) sta dimostrando il suo valore: sedi
devastate, gerarchi colpiti, un intero settore a piagnucolare, in piena rotta:
Lì dove lo “stato repubblicano nato dalla Resistenza” rifiutava di colpire, lì
dove bisognava rispondere con un movimento distruttore (e non con le firme in
calce a una petizione rivolta al Parlamento borghese) un rinnovato movimento di
massa ha colpito. Ed ha i suoi caduti.
Onore a questi caduti, impegno a portare avanti la loro lotta: questo è quanto
si richiede al movimento operaio nel suo insieme (...) I riformisti, invece
stanno scrivendo una delle pagine più vergognose del loro opportunismo (...)[26].
Malgrado il clima delle elezioni amministrative del 15 giugno sia infuocato dai
temi dell’ordine pubblico, su cui il PCI nulla concede alla sua sinistra,
presentandosi anzi come partito d’ordine, le condizioni per una avanzata
della sinistra nel suo complesso e del PCI ci sono tutte. Anche se per un breve
periodo, il PCI riesce a far confluire su sé un complesso di aspirazioni e
aspettative diverse tra loro: il sogno di avviare una, seppur pacifica e
graduale, transizione al socialismo, dei lavoratori e dei giovani più
politicizzati, il desiderio di rompere la cappa del conformismo cattolico e
benpensante da parte degli intellettuali, la necessità di aprire una stagione
riformistica e di pace sociale dei settori “illuminati” della borghesia. Ma la
vera novità è la inedita capacità del PCI di far breccia in ampi starti della
piccola borghesia.
I GCR prendono posizione per un generico voto a sinistra. Questo permette loro
non tanto di mettersi in contatto con le masse che votano PCI quanto di tenersi
equidistanti tra le formazioni di estrema sinistra. Se infatti LC si è schierata
per il “voto rosso”, rompendo con la tattica astensionista, AO e PdUP hanno
raggiunto un accordo formando l’inedito cartello elettorale di Democrazia
Proletaria.
I Gruppi Comunisti Rivoluzionari affermano che
Il disegno di Fanfani è di puntare su uno
spostamento a destra della direzione politica del paese (...) è di riconsolidare
tutti gli apparati dello Stato e di dare maggiore vigore all’azione repressiva
grazie a nuove leggi liberticide (...) Per un’organizzazione rivoluzionaria come
la nostra tuttavia l’indicazione di voto è secondaria rispetto alla campagna
politica da condurre (...)[27].
Il programma elettorale dei trotskisti parla inoltre di “nazionalizzazione senza
indennizzo e sotto controllo operaio”, “della scala mobile degli orari e del
salario”, ma anche di “detassazione dei redditi da lavoro dipendente” per i
quali è necessario “un governo operaio”[28].
Il risultato elettorale mette in luce un complessivo spostamento a sinistra
dell’elettorato, grazie alla “impetuosa avanzata” del PCI. Il risultato
elettorale permette l’avvio della stagione delle giunte rosse. Tutte le
principali città sono conquistate: da Roma a Milano, Venezia, Napoli. In totale
5 regioni, 41 province, 37 comuni capoluogo.
Il sorpasso del PCI sulla DC sembra a portata di mano (la differenza tra DC e
PCI è scesa in termini numerici a soli 558.000 voti).
Per i GCR il risultato elettorale segnala un “approfondimento drammatico della
crisi della borghesia” con un processo di disgregazione della DC,determinata
anche dalla perdita di posizioni di potere negli enti locali, anche se non va
sottovalutato l’enorme impulso che sta avendo la crescita di CL. Ovviamente
l’attenzione è principalmente rivolta al partito di Berlinguer, che ha allargato
notevolmente la sua base d’influenza. Segnalano come la frattura tra base e
vertice, tra aspettative della classe operaia e burocrazia, siano un aspetto
secondario.
I problemi posti non solo dalla base, ma discussi
anche dai vertici del PCI, sono da una parte i tempi di attuazione del
compromesso storico, dall’altra con chi avverrà questo compromesso. (...)[29].
I GCR comunque non sottovalutano i problemi che si frappongono al compromesso
storico: la collocazione internazionale dell’Italia, una base elettorale della
DC sempre più conservatrice, il forte livore anti-democristiano presente in gran
parte del voto al PCI.
I trotskisti nel dibattito politico - culturale italiano degli anni ’70
Negli anni ’50 e ’60 i GCR avevano svolto un ruolo culturale importante. Il loro
giornale aveva proposto degli spunti di dibattito fondamentale per chi voleva
orientarsi nei meandri della crisi dello stalinismo e nel dibattito più
complessivo del movimento operaio internazionale.
Prima Arturo Schwartz e poi Savelli e Samonà, con le loro iniziative editoriali,
avevano proposto inediti di Trotsky in lingua italiana, lavori di Maitan e di
Mandel, ma anche saggi sul surrealismo o sul rapporto tra socialismo e
letteratura.
Nei primi anni ’70 la casa editrice Savelli (Samonà aveva abbandonato il
progetto), anche per ragioni commerciali, sposta il suo interesse a più largo
raggio su tutta l’estrema sinistra e l’area alternativa – underground, riducendo
sempre di più la pubblicazione di saggistica marxista.
La stessa pubblicistica dei GCR resta estranea al più ampio dibattito politico -
culturale nazionale. La stessa rivista teorica Quarta Internazionale, non
solo non pubblica saggi sui fenomeni culturali, recensioni librarie, ecc. ma
neppure sul ricchissimo dibattito teorico che anima gran parte della sinistra
italiana e internazionale dal ’68 in poi. Sono forse scelte dettate da quella
esigenza di priorità operaia, di cui aveva parlato il gruppo dirigente
nella polemica con Massari, oppure si tratta di una sottovalutazione degli
aspetti “sovrastrutturali” della realtà?
Nel 1975 un piccolo spiraglio viene aperto su questo terreno.
Maitan scrive un lungo pamphlet in risposta al saggio di P. Sylos Labini sulle
classi sociali in Italia[30],
provocando un dibattito che ha un considerevole eco.
In questo saggio Sylos Labini aveva affermato che il peso delle classi medie,
lungi dal declinare come voleva Marx, è accresciuto e subisce un processo di
differenziazione interna.
Partendo da questo dato, il saggio di Sylos Labini segnalava il peso assunto
dall’industria a partecipazione statale, del capitale straniero, tutti segnali
che fanno dell’Italia un paese ancora arretrato, che ha bisogno di profonde
riforme sociali (la rivoluzione è una alternativa respinta dalla maggioranza
degli operai).
Nella sua replica Maitan rileva come in termini qualitativi la classe operaia
industriale sia cresciuta nel ventennio postbellico in Italia, anche se sono gli
aspetti qualitativi come la collocazione oggettiva nel processo di produzione,
il grado di omogeneità e il livello di coscienza, quelli che devono essere
maggiormente considerati. Allo stesso modo per il dirigente dei GCR
(...) la classe operaia non viene integrata nel
sistema non perché non abbia raggiunto il soddisfacimento di una serie di
esigenze più o meno elementari, ma per la sua collocazione nei rapporti di
produzione in funzione antagonistica al capitalismo. L’esperienza - non solo
italiana - ha peraltro dimostrato che una classe operaia che strappa delle
conquiste non necessariamente perde di combattività e che il livello di vita
raggiunto, di per sé, non è affatto decisivo[31].
Per quanto riguarda il problema delle classi medie, Maitan muove non dalla
analisi di queste nel particolare contesto italiano o dalla definizione di
lavoro produttivo o improduttivo[32]
quanto da quella di proletariato. Per Maitan
appartengono al proletariato tutti coloro che,
non possedendo mezzi di produzione, sono costretti a vendere la loro
forza-lavoro e per questo percepiscono un salario[33].
Comunque anche le classi medie tradizionali, come gran parte del lavoro
intellettuale e in alcuni casi anche i commercianti, subiscono un processo
tendenziale di proletarizzazione che porta a una loro omogeneizzazione
cultural-ideologica e quindi a una nuova disponibilità alla radicalizzazione
politica.
Tale saggio, pur con i suoi limiti, era un tentativo di dare una sistemazione
marxista ai problemi posti dallo sviluppo capitalistico italiano nel dopoguerra.
Maitan, a differenza delle vulgate maoiste allora in voga:
1. non
faceva coincidere la divisione lavoro produttivo/improduttivo con la divisione
tra classe operaia/classi medie (e di seguito rifiutava l’uso della categoria
bastarda di popolo), base importante per ulteriori studi su tali
questioni alla luce dello sviluppo del settore quaternario.
2. teneva ferma l’accezione marxista per cui
appartengono al proletariato quei lavoratori che occupano una determinata
posizione nella struttura della produzione e non coloro che hanno un reddito
basso o sono permanentemente senza reddito, base essenziale per rifiutare il
terzomondismo che si occupava più della ripartizione del plus-valore piuttosto
che di come questo sia prodotto.
Un altro esempio, del rinnovato interesse per il dibattito culturale, è un lungo
articolo sul fortunatissimo romanzo Porci con le ali. Il romanzo, scritto
a quattro mani da Lidia Ravera e Giaime Pintor, è ambientato nell’anno
scolastico ’74-’75, e si situa a metà strada tra il diario e la corrispondenza
epistolare tra due giovani sedicenni del “movimento”, i celebri Rocco e Antonia.
Melanconico e superficiale, ma non cinico, questo diario epistolar-sessuale fa
epoca e apre gli inevitabili e tediosi dibattiti su Lotta Continua e
L’Espresso su crisi della milizia e binomio politico - personale.
La recensione di Caronia, che poi, come vedremo, sarà uno dei dirigenti
trotskisti più affascinati dall’onda del ’77, è comunque una stroncatura del
libro. Non solo il libro, per Caronia, non eccelle sotto il profilo della
qualità letteraria, ma ammesso che le peripezie sessuo-politiche dei due ragazzi
siano realmente un ritratto veritiero del mondo studentesco romano
piccolo-borghese, questo non rappresenta più il punto di riferimento migliore
per capire le tematiche del movimento.
Se gli autori di Porci con le ali
avessero scelto un altro punto di riferimento, se avessero parlato di due
giovani operai, o di due studenti delle scuole professionali - lo dico in modo
un po’ rozzo e provocatorio - ci saremmo accorti un po’ di più delle basi
materiali delle contraddizioni dei giovani: ci saremmo accorti che i giovani
hanno un po’ più a che fare di quel che non sembri da questo libro con la
questione della disoccupazione e del carovita.
E la politica sarebbe stata una cosa un po’
diversa dalle riunioni noiose, dalla routine delle vendite del giornale, o dalla
malinconia e lo struggimento per la morte di un compagno[34].
La diaspora del trotskismo italiano
Tra il 1975 e il 1976 si consuma la diaspora del trotskismo italiano. In Italia
i gruppi trotskisti organizzati al di fuori dei GCR erano rimasti, fino ad
allora, gruppi locali, oppure, come il PCR posadista, appendici del guru di
turno. La fuoriuscita di quasi la metà dei militanti dei GCR, a metà degli anni
’70, porterà invece ai primi tentativi decisi di costruire organizzazioni
trotskiste alternative ai GCR. Il fatto che molte delle ragioni o del
background dei dissidi sia di origine internazionale permette di dare
maggiore prospettiva, motivazione e risorse ai vari gruppi scissionisti.
L’ingresso nei GCR, nel febbraio, del gruppo napoletano del GRP (Gruppo
Rivoluzione Permanente),[35]
su pressante insistenza della FLT, è un ulteriore elemento di confusione e di
accelerazione della crisi. Le spinte centrifughe all’interno dei GCR sono
diventate dirompenti, il dibattito caotico, l’unica soluzione possibile di
convivenza, e cioè la gestione federalista del partito, non è neppure presa in
considerazione dalla maggioranza
Il primo gruppo ad organizzarsi autonomamente è la FMR. La frazione è espulsa
dai GCR nel marzo 1975 per, come si legge nel bollettino interno[36],
aver pubblicato un opuscolo (“Le origini storiche del centrismo sui generis”)
fatto circolare pubblicamente e firmato anche da un membro espulso dai GCR come
Vito Bisceglie. Al di là del motivo contingente, l’espulsione del “gruppo
Massari” arriva dopo due anni di “guerriglia interna”, in cui alle accuse di
indisciplina della maggioranza, i militanti della frazione avevano risposto
lamentando prevaricazioni e inchieste pretestuose ai loro danni. Il gruppo darà
vita l’anno seguente alla Lega Comunista[37].
Sempre nei primi mesi del 1975 passano alla spicciolata in Lotta Continua
gran parte dei militanti dei GCR di Bologna, ormai convinti che il terreno
centrale di lavoro politico sia passato “dalla fabbrica al sociale”, ma anche
per la demoralizzazione dovuta alla debolezza numerica dell’organizzazione.
Lo scontro principale è però destinato a realizzarsi in sede congressuale. Oltre
alla tendenza Linea di Condotta, che non si situa fuori dalla maggioranza
internazionale e che ha come riferimento l’esperienza della Ligue
francese, si formano due altre tendenze, entrambe legate alla FLT: la tendenza
T5 guidata da Silvio Paolicchi, che raccoglie militanti di Milano,
Pistoia, Livorno, Roma, Napoli, e la tendenza che raggruppa le forze del vecchio
GRP napoletano, con appendici a Roma e Torino.
Il Congresso nazionale che si svolge a Torino tra il 2 e il 5 agosto mette in
luce tutte le contraddizioni che si sono accumulate nella ripresa organizzativa
dei GCR degli ultimi sette anni. Sette anni non qualsiasi, ma sette anni segnati
da continue ascese e riflussi nelle lotte fra le classi, in cui lo strumento
organizzativo dei GCR è risultato inadeguato rispetto alla portata degli
avvenimenti e dei compiti politici. Il giudizio,a posteriori, di Lidia Cirillo è
in questo senso significativo:
Il dibattito internazionale era spesso un
pretesto, in quanto non esistevano neppure elementi reali per una valutazione
delle posizioni e degli avvenimenti internazionali. Le cose che accadevano in
Italia erano tali e tante negli anni ’70, che ti davano abbastanza materia di
divergenza, non c’era necessità di andare a cercarsele in America Latina. Io, il
‘dibattito internazionale’ l’ho sempre visto come un ‘travestimento ideologico’
rispetto ai problemi che avevamo in Italia. In Italia c’era una situazione
ricchissima di potenzialità[38].
Tesi del resto caldeggiata anche dallo stesso Maitan:
In Italia, in realtà, si sviluppa la tendenza
pro-americana, seppur debolmente, quando su scala internazionale le posizioni
tra FLT e TMI si riavvicinano e quindi non esiste una base per rompere. Infatti
il gruppo che diventerà LSR opera allora una virata rompendo con l’originario
legame con il SWP, che non sosterrà anzi condannerà la loro scissioni. Comincia
allora il loro rapporto con gli argentini[39].
Le tesi della maggioranza del resto segnalano come l’impossibilità di formare il
governo del “compromesso storico” e allo stesso tempo di “governare contro il
PCI “rende la crisi italiana cronica e senza sbocchi. Anche perché nelle due
classi fondamentali continua a permanere una crisi di direzione. La classe
operaia, al momento più alto della sua ascesa, non è stata in grado di esprimere
una “strategia alternativa anticapitalista”.
Questo non è avvenuto in primo luogo per il
persistere del carattere contraddittorio della dialettica delle conquiste
parziali - che costituiscono la base materiale dell’influenza riformista. In
secondo luogo perché la classe operaia ha subito un vasto processo di ricambio
con una relativa soluzione di continuità sociale ed ancor più politica, per cui
le leve del ’68/’69 non hanno potuto contare sulla necessaria assimilazione
dell’esperienza storica precedente. I terzo luogo per il peso che la piccola
borghesia ha continuato ad esercitare sul movimento operaio organizzato, sia dal
punto di vista ideologico che politico, sia da quello organizzativo (massiccia
presenza di quadri piccolo borghesi nelle organizzazioni operaie)(...)[40].
I GCR rilanciano la priorità della costruzione nella classe operaia,ovvero il
tentativo di fare entrare i propri militanti nelle fabbriche.
Se i rivoluzionari non saranno in grado di pesare
su questo terreno, di realizzare un inserimento effettivo nel tessuto della
classe operaia, di cambiare la composizione sociale della propria organizzazione
e di conseguenza di cambiare profondamente impostazioni, pratica organizzativa e
stile di lavoro, continueranno ad essere relegati a un ruolo periferico anche
nell’ipotesi di un accrescimento sensibile delle loro forze complessive (...)[41].
Per quanto riguarda i “gruppi”, l’attenzione è concentrata su LC, che viene
considerata come l’organizzazione “centrista” meno cristallizzata e quindi con
maggiori potenzialità di evolvere a sinistra. Per Mauro Volpi, che cura la
relazione su “l’estrema sinistra e la nostra tattica verso di essa”, LC è
l’organizzazione meno codista rispetto alle burocrazie sindacali e agita parole
d’ordine sul rinnovo dei contratti simili a quelle dei GCR (35 ore e
cinquantamila lire di aumento).
Per quanto riguarda gli aspetti più interni, come lo stato dell’organizzazione,
si indicano i limiti persistenti di centralizzazione della direzione politica,
che produce aspetti deteriori come un accentuato localismo. Lo steso sviluppo in
termini di reclutamento continua a conoscere problemi di turn-over, di
omogeneizzazione dei quadri, della sproporzione tra lo sforzo compiuto in
direzione della classe operaia e il reclutamento nella stessa.
Il documento dei militanti della tendenza “Linea di Condotta” invece punta
l’attenzione sul problema del partito. I limiti metodologici della direzione dei
GCR in relazione al metodo di costruzione del partito rivoluzionario sono per
Linea di Condotta fondamentalmente tre:
1. la concezione tappista che significa
(...) l’individuazione di fasi separate della
costruzione del partito; prima si conquistano posizioni di forza tra
l’avanguardia operaia, poi si usano queste per conquistare l’egemonia sulla
sinistra rivoluzionaria e poi l’estrema sinistra per conquistare l’egemonia
sulle masse. (...)”[42].
Per i promotori di questa tendenza invece la conquista anche
dell’avanguardia deve avvenire in relazione a parole d’ordine generali (“di
massa”) capaci di saper orientare settori di massa.
2.ilminoritarismo
che ha la peculiarità di saper vedere solo un aspetto particolare della
lotta e non tutte le componenti. Questo limite diviene evidente nella concezione
propagandistica dell’intervento politico che porta, come nel caso delle 35, “a
estrarre alcune parole d’ordine dal programma complessivo e a fondare su queste
il proprio intervento”.
3. la centralità operaia. La centralità operaia non può neppure essere
intesa come centralità della fabbrica, come fa la maggioranza dei GCR,
riducendo così la priorità operaia a parole d’ordine sui contratti, ecc. La
lotta di classe si è ormai estesa, per i redattori del documento Linea di
Condotta, nel sociale (autoriduzioni, occupazioni di case, la lotta contro
la mobilità, ecc.). Diventa necessario quindi costruire “una proposta
politica che sappia dare respiro agli embrioni di potere operaio che la classe
conquista e riperde nel corso delle lotte”.
Le altre due tendenze, quelle “filo-americane” tanto per intenderci, la
cosiddetta Tendenza 5 (T5) e quella dell’ex GRP, partono da presupposti e
critiche simili alla direzione maitaniana per... non trovare un punto di
mediazione! In realtà, nella mancata unificazione di queste due tendenze,
probabilmente pesano i differenti percorsi con cui i due gruppi sono arrivati a
convergere con la frazione internazionale della FLT. Il tatticismo scissionista
che anima il gruppo napoletano non può non pesare sulla tendenza T5, che pensa
in qualche misura al recupero, intorno alle proprie posizioni, della gran parte
delle forze interne ai GCR.
Infatti le tesi presentate dalla T5 si inseriscono pienamente nel dibattito più
intimamente interno, come i problemi di costruzione e gestione
dell’organizzazione, i problemi di direzione centrale e locale.
Le tesi della T5 riprendono quelle della FLT, secondo cui l’orientamento
operaio sarebbe garantito dalla linea politica del partito e non dalla
composizione sociale dell’organizzazione o da parole d’ordine tipo “35 ore e
50.000 lire”. Lo scontro di classe, per gli estensori del documento
d’opposizione, pone al centro dell’attenzione le lotte operaie, ma il livello
più alto di coscienza politica si trova tra gli studenti, dove è possibile
reclutare l’embrione del partito; i giovani possono fornire quella
“accumulazione primitiva” di quadri nazionali e locali necessari a far uscire i
GCR dalle secche del piccolo gruppo di propaganda, fargli fare il salto di
qualità decisivo.
La T5 riprende, nei confronti della maggioranza italiana, anche i motivi
polemici già discussi nell’Internazionale sulla “violenza d’avanguardia”:
(...) la critica principale rivolta ai gruppi
militaristi del tipo delle Brigate Rosse sembra essere quella di fare,
esclusivamente il lavoro clandestino. Secondo l’UP[43],
le azioni “esemplari” dovrebbero essere accompagnate dal lavoro propagandistico
per prepararle e farle comprendere dalle masse[44].
La T5 invece afferma che il livello della coscienza operaia é “ben lontano dal
porre all’ordine il confronto fisico con la borghesia”. È necessario operare
negli “enormi spazi di legalità”, ricordandosi che la simpatia operaia verso
alcune azioni delle BR:
(...) coglie aspetti non politici della coscienza
delle masse. Il colpo ricevuto dal padrone non si trasforma in organizzazione
operaia, in maggior forza politica, in movimento di massa. La soddisfazione per
quel colpo non è una esperienza diretta e non si trasforma in maggior coscienza
politica. (...)[45].
Il documento, presentato da Dario Renzi per l’area ex GRP napoletano, ha più un
taglio generale, metodologico (Fronte Unico, Fronte Popolare, ecc.).
Questo documento ha il merito di esplicitare una concezione, una particolare
declinazione della tattica del Fronte Unico in voga nel trotskismo del
dopoguerra. Se per la Terza Internazionale, ma in ultima istanza anche per il
Trotsky degli anni ’30, la tattica del Fronte Unico era fondamentalmente una
tattica difensiva, nel “Documento Necessario” si teorizza che il Fronte
Unico possa essere nelle fase d’ascesa delle masse egemonizzate dai riformisti
il cuneo per scavare una più profonda contraddizione tra vertici e basi dei
“partiti operai”.[46]
Nel documento di Renzi viene inoltre segnalata l’importanza del lavoro tra le
donne, il lavoro nella gioventù a partire dalle parole d’ordine del diritto allo
studio, della lotta contro l’irreggimentazione ideologica dei giovani, fino alla
lotta antifascista e antirepressiva (l’autodifesa deve essere stimolata tra le
masse e non “imposta” da una avanguardia”).
Avvicinandosi le elezioni politiche, gli ex – GRP di Napoli avvertono l’urgenza
che l’organizzazione lanci la parola d’ordine del “governo operaio”.
(...) la propaganda e l’agitazione per il governo
operaio debbono essere estremamente chiare. Dire agli elementi avanzati del
proletariato che è giusto che il PCI vada al governo, ma che deve andarci senza
e contro chi ha governato sinora significa guadagnarsi una fiducia inestimabile
da parte di questi elementi (...) La parola d’ordine del governo operaio su un
programma anticapitalista ci da la possibilità di creare le condizioni perché
settori diversi del movimento di massa capiscano la necessità dell’unità (...)[47].
Il Congresso, alla fine, si pronuncia al 73% per le tesi della maggioranza. Le
minoranze, arrivate divise al Congresso, malgrado un tentativo di creare un
punto di mediazione di Paolicchi, prendono subito dopo la strada della
scissione. Alla fine dell’anno, il gruppo ex - GRP rompe con i GCR, portandosi
dietro l’accusa di aver compiuto una operazione di “cinismo entrista”[48],
e di lì a pochi mesi fonderà la LSR[49],tentando
di raccogliere i frammenti dell’esplosione dei GCR, mentre la T5 subirà un
processo di disgregazione da cui nasceranno perlopiù collettivi locali fuori dai
GCR.
Nell’estate del 1976, a seguito della decisione dei GCR di entrare nelle liste
di DP, si consumava una ulteriore scissione di un gruppo di militanti dei GCR
umbri. In quella stessa estate, infatti, un gruppo di militanti giovanissimi,
Moreno, Roberto, Gino e Anna fondavano il Collettivo IV Internazionale
che più tardi si ridenominerà Gruppo Bolscevico Leninista (d’Umbria).[50]
Il 20 giugno 1976
Le elezioni del 20 giugno sono uno spartiacque nella storia della sinistra
italiana. Il PCI supera i già lusinghieri risultati del 1976, ma non supera la
DC; la sinistra nel suo complesso non raggiunge il 51%. In queste condizioni la
scelta, già del resto preannunciata, dei vertici di Botteghe Oscure è segnata:
tentare un accordo con la DC e gli altri partiti del “quadro istituzionale” per
“aprire una nuova fase nel paese”.
L’inizio del 1976 è la stagione più tormentata dell’estrema sinistra. Iniziano a
far capolino i segnali di crisi della militanza, di stanchezza, di crisi di
prospettive. AO e PdUP mostrano di voler riproporre, anche nelle elezioni
legislative, il cartello elettorale che ha fruttato loro otto consiglieri
regionali, oltre a molte decine di consiglieri comunali. Ma questa volta è
Lotta Continua a voler entrare nel cartello di DP a tutti i costi. Di fronte
alla ritrosia delle altre due principali formazioni di estrema sinistra ad
allearsi con “l’estremismo”, LC riesce a realizzare l’allargamento della
coalizione, giocando la carta dell’unità dei rivoluzionari e portando dalla sua
parte, nella trattativa su questo terreno, anche il MLS e la Quarta
Internazionale.
Tuttavia importanti differenze continuano ad esistere nel raffazzonato cartello
di DP. Infatti se l’atteggiamento di AO e PdUP verso un possibile governo delle
sinistra dopo le elezioni dà per scontato, un seppur critico, sostegno
parlamentare (“è ora, è ora, potere a chi lavora”), la posizione di LC è più
ambigua perché vede, nel governo delle sinistre solo un’inevitabile “fase
menscevica” della rivoluzione italiana.
La posizione dei GCR non è, mutatis mutandis, meno ambigua di quella di
LC. La parola d’ordine del governo operaio, già confusa nella stessa
formulazione della III Internazionale, diventa completamente astratta nel
contesto italiano degli anni ’70 quando, nelle formulazioni correnti della
sinistra extraparlamentare, non si distingue in niente dal Fronte Popolare. I
GCR sembrano convinti che con l’ingresso del PCI, in una qualche forma, nel
governo, si avvicini l’ora della rivoluzione, si vada ad una stretta della
crisi italiana. Si rilancia così ancora lo schema “febbraio - ottobre” della
rivoluzione russa.
Siamo convinti che la classe operaia oggi possa
passare alla controffensiva. (...) Siamo fermamente convinti che questo deve
essere l’impegno dei rivoluzionari, e che se questa lotta anticapitalistica si
sviluppasse rapidamente, si potrebbe creare in Italia una situazione di
dualismo di poteri. (...) che la lotta delle masse sviluppandosi possa
portare alla formazione di un governo con la presenza dei partiti operai è
molto probabile (ma, intanto, occorrerà vedere se parteciperanno solo i partiti
operai o anche qualche altro partito o frangia “di sinistra” della borghesia;
che le masse dovranno fare l’esperienza di un governo con i riformisti
prima di prendere coscienza a fondo dei limiti di questi è praticamente certo;
ma quel che ci differenzia da AO è che noi riteniamo assolutamente garantito che
questo governo entrerà rapidamente in contraddizione profonda con il movimento
delle masse e con la sua dinamica anticapitalistica. (...) Ma su questo AO è
confusa (...) sembra che - come il PdUP - si illuda che la sua presenza in
questo governo, nelle istituzioni, basti a obbligare i riformisti a non
contrapporsi, a favorire il movimento delle masse. (...)[51].
È quindi del tutto naturale che nella battaglia di LC per una lista elettorale
aperta, i GCR si schierino senza esitazione al suo fianco, soprattutto perché
pensano che nella fase post-elettorale LC possa giocare un ruolo importante in
quanto questa organizzazione, seppur con mille oscillazioni, ha colto quali
siano i compiti dei rivoluzionari in questa fase politica.
La campagna elettorale dell’estrema sinistra sarà in definitiva un disastro. I
battibecchi tra i leaders dei gruppi principali sono quotidiani. L’impressione
che si tratti di una compagine raccogliticcia e rissosa si allarga
nell’elettorato di sinistra. Gioca inoltre a sfavore di Democrazia Proletaria
la polarizzazione dell’elettorato su DC e PCI e la presenza della lista
radicale. Malgrado tutto però, le aspettative di DP sono grandi anche perché per
la prima volta votano anche i diciottenni.
Sofri si dice convinto del 3% ma sogna il 5% per DP; Magri nei comizi si lascia
andare a parlare dell’appropinquarsi della “fine del regime democristiano”.
Maitan ricorda le illusioni di quei giorni con un sorriso dimesso:
Era una illusione soprattutto di Lotta Continua
quella di poter sfondare elettoralmente. Io ho fatto molta campagna elettorale
con loro: avevano l’abitudine di calcolare quante persone venivano ai comizi.
Poi sommavano tutta la gente venuta ai comizi che moltiplicata per quattro
avrebbe dovuto rappresentare l’elettorato di DP. Solo che già sbagliavano sin
dall’inizio nel calcolo dei partecipanti ai comizi. Ricordo il comizio di
chiusura che facemmo a Firenze con Sofri. Era un bellissimo comizio, c’erano
tre-quattromila persone che in una realtà come Firenze, feudo del PCI, era
buono. Io gli dissi: “È un buon comizio... che te ne pare... tre-quattromila
persone…” E Sofri: “Tre-quattromila? Sono quindicimila!” E io di rimando:
“Quindicimila?! Ma che scherziamo?” Insomma avevano la tendenza a esagerare le
cose[52].
I GCR, che rientrano nel raggruppamento per il rotto della cuffia assieme ad
altri piccoli gruppi, strappano solo tre candidati in tutto il territorio
nazionale e partecipano attivamente alla campagna elettorale soprattutto nel
triangolo industriale.
Alla fine i risultati che escono fuori dall’urna nel pomeriggio del 21 giugno
sono per tutto l’arcipelago del gauchisme una amara sorpresa. Con l’1,5%
e sei deputati eletti, l’estrema sinistra si dimostra un fenomeno limitato che
può contare sull’attivismo frenetico di qualche decina di migliaia di militanti,
con simpatie anche estese in alcuni periodi e/o in zone geografiche determinate,
ma senza alcun radicamento popolare.
Il quadro politico post-20 giugno che si presenta è ben diverso da quello che ci
si era immaginati: il sogno del governo delle sinistre torna nel cassetto.
Il Comitato Centrale dei GCR riunito il 26 e 27 giugno redige un bilancio della
campagna elettorale e una prima valutazione dei risultati.
Per i GCR la polarizzazione dei voti su DC e PCI è il prodotto della
polarizzazione sociale tra le due classi antagonistiche le cui premesse
risalgono al ’68. Il voto al PCI, in ultima istanza, diventa un fattore positivo
e progressivo.
La nuova avanzata del PCI è colta come
(...) l’espressione sul piano elettorale
parlamentare di due fenomeni convergenti. Il primo è la crescente
omogeneizzazione e maturazione politica della classe operaia, con la conseguente
ricerca di uno strumento di unificazione politica ed organizzativa anche di
strati in precedenza non politicizzati (...) Il secondo è la tendenza (...) alla
polarizzazione attorno alla classe operaia di strati più ampi di popolazione
lavoratrice e di consistenti settori di piccola borghesia (...)[53].
La ripresa della DC viene imputata dai GCR non solo a fattori di polarizzazione
ma anche alla inedita mobilitazione di settori giovanili legati alla Chiesa e
all’associazionismo cattolico.
Per quanto riguarda la nota dolente di DP si riconosce che il suo risultato è
andato sotto le più realistiche previsioni. Il fatto che la polarizzazione abbia
giocato a sfavore della lista ha un significato negativo perché in tale
situazione essa avrebbe dovuto essere favorita.
Per i GCR il problema principale è che la composizione fondamentale del voto a
DP è rimasto di origine piccolo-borghese, se non addirittura studentesca.
Le ricadute catastrofiche che il voto avrà su questa area non sono neppure
intraviste dai GCR, che parlano di “mantenere il quadro unitario esistente allo
scopo di rendere possibile la più ampia unità d’azione” e di iniziare alla
luce dei risultati del PCI “una riflessione preliminare sulle ragioni della
persistente egemonia sulla classe operaia”. Queste proposte a distanza di venti
anni sembrano ricette che pretendono di curare un tumore con un’aspirina.
Lo stesso risultato dei candidati presentati dai GCR dovrebbe far riflettere:
(...) 950 voti per il compagno Enzo Armenante,
operaio della Di Mauro di Cava nella circoscrizione Avellino-Salerno; 750 voti
per la compagna Lidia Cirillo nella circoscrizione di Napoli-Caserta, 550 voti
per la compagna Ada Cinato a Torino (settimo dei non eletti) (...)[54].
Dietro l’angolo non c’è la rivoluzione ma il governo di unità nazionale e la
crisi della Nuova Sinistra che coinvolgerà anche i GCR, con un nuovo deflusso di
militanti e quadri.
[1]
Bordiga aveva previsto la crisi catastrofica del capitalismo per il 1975.
Vedi A. Bordiga “Quarant’anni di una organica valutazione degli eventi di
Russia nel drammatico svolgimento sociale e storico internazionale” ora
incluso in Russia e rivoluzione nella teoria marxista (Milano,1990).
[2]
Ernest Mandel è a assieme Sweezy il può noto economista marxista del
dopoguerra. Tra i suoi lavori economici ricordiamo “Il Trattato di economia
marxista” (Roma, 1965, nuova edizione Roma, 1996) “The late capitalism” (London-New
York, 1978).
[3]
Quarta Internazionale E.Mandel n 15 settembre-ottobre 1974 “La crisi
dell’Europa capitalista”
[4]
Quarta Internazionale n 16-17 gennaio-aprile 1975 E. Mandel “La
recessione generalizzata dell’economia capitalista internazionale”.
[5]
Bandiera Rossa n 20 del 8 dicembre 1975 e n 21 del 22 dicembre 1975
L. Maitan “Situazione rivoluzionaria, organi di democrazia proletaria e
unità d’azione”.
[6]
S i tratta del Manifesto, Quotidiano dei Lavoratori e Lotta
Continua (organi rispettivamente di PdUP-Manifesto, AO, LC). Già dopo il
declino della nuova sinistra, anche se solo per pochissimo si arriverà alla
pubblicazione di altri due quotidiani Ottobre e La Sinistra
(rispettivamente di area m-l e del MLS).
[7]
Si veda il caso della relazione Togliatti-Jotti. A tale proposito è
istruttivo il recente M. Mafai “Botteghe Oscure, addio” (Milano, 1996) e lo
splendido E. Rea “Mistero napoletano” (Torino, 1995).
[8]
Bandiera Rossa n 7 4 maggio 1974 “12 maggio una scadenza
cruciale”.
[9]
Bandiera Rossa n° 8 14 maggio
1974 “Dopo il 12 maggio. Incalzare la borghesia in difficoltà”.
[10]
Bandiera Rossa ibidem.
[11]
Bandiera Rossa n 14 maggio 1974 “Debolezza del terrorismo e miseria
dell’opportunismo” e anche Bandiera Rossa n 9 del 5 giugno 1974
“Brigate Rosse. Errori di analisi. Errori di metodo”.
[12]
Bandiera Rossa n 9 5 giugno 1974 “Fronte unico di classe.
Autodifesa operaia”.
[13]
Quarta Internazionale aveva conosciuto già una serie, di soli 4
fascicoli, nel 1968. La nuova serie iniziò ad uscire nella primavera del
1971 e durò seppur con difficoltà fino alla seconda metà degli anni ’70.
Tale rivista svolgeva una funzione davvero rara se comparata al
pressapochismo e alla disinvoltura teorica dell’estrema sinistra italiana.
[14]
Quarta Internazionale nuova serie n 2 giugno 1971 “ERP:lotta armata e
azioni di massa”.
[15]
GCR Bollettino interno n 1 (marzo 1973) “Discussione
preparatoria per il X Congresso mondiale” [Archivio Gambino-Verdoja,
Torino].
[16]
Dei 270 mandati al Congresso circa 100-110 sono della minoranza di cui 72
del solo PST. Cfr. GCR “Bollettino interno n 5” marzo 1974.
[17]
International Internal Discussion Bullettin vol.13 no.8 (New York,
1976) “Self-criticism on America Latina” approvato dallo Steering Committee
IMT ora in J. Hansen “The leninist strategy of Party Building” (New York,
1979), con il voto contrario di L. Maitan che era stato, del resto, il
principale estensore del documento del 1969. Il riconoscimento degli errori
in America Latina, veniva appena mitigata dall’affermare che “sarebbe
stupido stabilire un legame meccanico tra la risoluzione del IX Congresso
Mondiale con le sconfitte subite dalle nostre organizzazioni in America
Latina. Queste sconfitte sono avvenute in un più generale contesto politico
di sistematica e di massiccia repressione contro il movimento operaio e la
sua avanguardia (...)” op. cit. pag. 504 .
[18]
GCR Bollettino interno n 5 “Discussione preparatoria per il X
Congresso Mondiale” (giugno 1973) Documento di Mary Alice Waters [Archivio
Gambino-Verdoja, Torino].
[19]
Un resoconto su quel periodo di vita della Ligue Communiste è
possibile trovarlo in A. Krivine “Questioni sulla rivoluzione” (Milano,
1975).
[20]
GCR Bollettino interno n 5 op. cit.
[21]
P. Frank “Due metodi di costruzione e di intervento del partito marxista
rivoluzionario” [Archivio Gambino-Verdoja, Torino].
[23]
Bandiera Rossa n 2 23 gennaio 1975 L. Maitan “Congresso di LC:
un’altra tappa dell’itinerario centrista”
[24]
Per una sintesi della vicenda del Gruppo Marxista Rivoluzionario di
Brescia dentro e fuori i GCR vedi il paragrafo ad esso dedicato
nell’appendice B.
[25]
GCR “Bollettino interno” n 36 (22 novembre 1974) [Archivio Gambino – Verdoja,
Torino]
[26]
Bandiera Rossa n 8 27 aprile 1975 “Compagni uccisi e viltà del PCI”.
[27]
Bandiera Rossa n 12 2 giugno 1975 “Un voto contro l’attacco borghese.
Un programma per la controffensiva operaia”.
[28]
Lo slogan o la tattica del “governo operaio” divenne una delle articolazioni
tattiche assieme a quella del “fronte unico” che la Terza Internazionale
propose ai partiti comunisti occidentali dopo il riflusso delle spinte
rivoluzionarie nei primi anni ’20.
[30]
P. Sylos Labini “Saggio sulle classi sociali” (Bari,1974).
[31]
L. Maitan “Dinamica delle classi sociali in Italia” (Roma, 1976) pag. 28.
[32]
Che la distinzione tra lavoro produttivo/improduttivo non segua la
distinzione proletariato/classi medie, per Maitan, è reso evidente dalla
difficoltà di far rientrare molte prestazioni in una categoria al posto di
un’altra come nell’esempio citato nel Marx delle Teorie del plusvalore
per cui “Milton che scrisse Paradiso perduto per cinque sterline fu
un lavoratore improduttivo. Invece lo scrittore che fornisce lavori
dozzinali al suo editore è un lavoratore produttivo”.
[33]
L. Maitan ibidem pag. 39
[34]
Bandiera Rossa n 20 del 25 ottobre 1976 A. Caronia “Porci e
camaleonti: chi vola più in alto?”
[35]
Vedi il capitolo di questo volume “LSR: l’anomalia persistente”.
[36]
GCR “Bollettino interno n 8” (4 marzo 1975) [Archivio Gambino-Verodja,
Torino].
[37]
A proposito di questa organizzazione vedi l’appendice B di questo lavoro.
[38]
Y. Colombo “Intervista a L. Cirillo” 30 agosto 1996. Inedita.
[39]
Y. Colombo “Intervista a L. Maitan”. Citata.
[40]
GCR (Agosto 1975) Tesi generali in Quarta Internazionale n 20-21
settembre gennaio 1976.
[42]
GCR “Bollettino interno per il dibattito precongressuale n 13”. “Un
documento senza principi” (4 luglio 1975)
[43]
UP, Ufficio Politico.
[44]
GCR “Bollettino interno n 42” Documento di presentazione della “Tendenza 5”.
[46]
Il documento dei “napoletani” titolato “Un documento necessario” non è
numerato e neppure datato come tutti gli altri documenti precongressuali
[Archivio Gambino-Verdoja, Torino].
[47]
“Un documento necessario” ibidem.
[48]
Vedi Bandiera Rossa n 1 15 gennaio 1977 “Sviluppare il confronto
politico, bloccare le operazioni entriste.” Per i GCR il tentativo dell’ex
GRP di Napoli è quello di “sforzarsi di mettere insieme quell’area settaria
che sempre di più si allontana da noi (e si frammenta al suo interno)”.
[49]
Vedi in questa tesi l’appendice A: “LSR. L’anomalia persistente”.
[50]
A proposito della scissione vedi GCR di Perugia “Bollettino interno” (5
luglio 1976). Per le ulteriori vicende di questo gruppo vedi il paragrafo
sulla “Lega Trotskista d’Italia” nell’appendice B.
[51]
Bandiera Rossa n 4 6 marzo 1976 “I gruppi e la crisi: la crisi dei
gruppi”.
[52]
Intervista dell’autore a Maitan”. Citata.
[53]
Bandiera Rossa n 14 5 luglio 1976 “La situazione politica dopo le
elezioni” Risoluzione del CC del 26-27 giugno.
[54]
Bandiera Rossa n 14 5 luglio 1976 “La nostra campagna elettorale”.
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