“Vogliamo tutto. Tutta la ricchezza, tutto il potere e niente lavoro. Cosa
c’entriamo noi col lavoro.” (Nanni Balestrini).
Gli anni che vanno dal il 1970 al 1973 sembrano segnare l’accelerazione del
declino statunitense sul piano internazionale. A partire dal 1969 il presidente
Nixon incomincia un graduale disimpegno dal conflitto del Vietnam che si va
trasformando in un disastro e durante il ferragosto del 1971 è costretto a
sganciare il dollaro dall’oro, tassello fondamentale, fino ad allora
dell’impetuosa crescita del commercio internazionale del secondo dopoguerra. La
crisi petrolifera è il campanello di allarme che insieme alla crisi
generalizzata dell’economia internazionale del 1974-’75, alla fine del lungo
boom posto bellico e ricaccia l’economia internazionale sulle montagne russe del
normali cicli boom-recessione. L’11 settembre 1973 viene rovesciato il governo
di Salvador Allende da un golper organizzato dal Generale Pinochet, in cui la
CIA gioca un ruolo determinante, mentre la guerra del Kippur si risolve
sostanzialmente in un nulla di fatto.
In Italia la situazione permane confusa. L’ondata del ’68-’69 si riversa in
tutti i primi anni ’70. Appunto nel 1970 vengono sancite anche in Parlamento le
conquiste degli anni precedenti con l’introduzione dello Statuto dei Lavoratori
e i sindacati conoscono un rafforzamento delle loro strutture e della loro
capacità rivendicativa (il cui culmine sarà toccato nel 1973 con il rinnovo dei
contratti dei metalmeccanici). Nello stesso tempo le formazioni di estrema
sinistra si stabilizzano organizzativamente ed ideologicamente divenendo dei
piccoli apparati sempre più attenti alla politica istituzionale e ai rapporti
con le forze del movimento operaio tradizionale (con eccezion fatta per
Potere Operaio che trasmuta in gran parte nella Autonomia Operaia
Organizzata). Ma è proprio il PCI a capitalizzare elettoralmente, e pian
piano recuperare anche dal punto di vista organizzativo, il movimento che ora si
espande in tutta la società coinvolgendo i quartieri periferici, gli ospedali
psichiatrici, le carceri e le scuole medie.
In un quadro politico bloccato dalla centralità della DC e la polarizzazione a
sinistra verso il PCI, che rimane pur sempre un partito legato a doppio filo
alle sorti dell’alleanza con il Blocco Orientale e quindi destinato a restare
fuori dal governo malgrado l’inaugurazione della strategia del “compromesso
storico” da parte della segreteria Berlinguer, è naturale che si innestino
situazioni laceranti come la rivolta di Reggio Calabria, il tentativo di golpe
del Principe Jr. Valerio Borghese, le bombe sui treni e nelle piazze, l’ascesa
del neofascismo di Almirante che dietro gli slogan di “legge e ordine” nasconde
l’insicurezza di una piccola borghesia impaurita dall’ascesa dei movimenti
sociali.
In un tale quadro i governi di centro-sinistra appaiono sempre più sbiaditi e in
crisi (ben 5 governi si alternano tra il 1969 e il 1971) mentre la politica
degli industriali punta verso il disimpegno dagli investimenti e la fuga dei
capitali.
Nel 1973 in un quadro già sconvolto dalla crisi petrolifera le autorità
monetarie puntano sulla politica della svalutazione della lira.
Le importazioni, pertanto, vennero a costare
molto di più, proprio nel momento in cui il prezzo delle materie prime (e del
petrolio in particolare) stava aumentando assai rapidamente. Come ha scritto
Gaetano Rasi: “La svalutazione della lira appare ancora oggi essere stata non
solo una scelta sbagliata. La maggior gravità per l’Italia della recessione del
1974-’75 rispetto a tutti gli altri paesi occidentali, ha senza dubbio questa
causa dominante”[1].
Una nuova generazione di quadri alla direzione dei GCR
Le scissioni del ’68 avevano decapitato il CC dei GCR. Nei primi anni ’70 la
ripresa dei GCR, favorita dal grande afflusso di nuovi militanti verso tutta la
sinistra extraparlamentare che continua cospicuo fino alla metà del decennio,
viene assicurata da una nuova leva di quadri e di dirigenti. Accanto a Maitan,
Paolicchi, Pellegrini, Savelli e Di Giuliomaria che sono già stati figure
preminenti del gruppo dirigente dei GCR nella fase entrista, nei primi anni ’70,
assumono un ruolo di primo piano militanti come Antonio Moscato, Franco
Turigliatto, Lidia Cirillo, Luigi Malabarba, Vito Bisceglie, Rocco Papandrea,
Roberto Massari, Elettra Deiana, Antonio Caronia, Roberto Firenze.
Il lavoro operaio diviene la priorità fondamentale dei GCR che investono gran
parte delle loro limitate forze ed energie in un estenuante lavoro di propaganda
davanti ai cancelli delle fabbriche. Solo dopo qualche anno i GCR potranno
contare su un’esile struttura nazionale di quadri operai[2].
Tuttavia la maggior parte del reclutamento continua ad avvenire nella gioventù.
I nuovi militanti dei GCR, pur sentendosi parte di una tradizione che proviene
direttamente dalla battaglia della opposizione di sinistra sussa, sono
parte integrante “del movimento” di cui sono permeabili alle sue subculture, ai
suoi riti e comportamenti. Per tutto un periodo un senso di appartenenza
“all’area della contestazione” permeò tutti gli aspetti della vita dei
militanti, dei simpatizzanti e anche dei “cani sciolti” del “movimento”. Ne
venne fuori un ameno prototipo del “compagno” ad uso e consumo dei mass-media
che si distingueva per capelli lunghi, jeans sdruciti, scarpe modello clarks e
camicie coreane, che ascoltava la musica rock e i cantautori impegnati, leggeva
Linus, ecc.. Un esemplificazione della permeabilità dei GCR alle
subculture del “movimento” è quello del consumo di droghe leggere. Come molte
altre organizzazioni extraparlamentari, il gruppo dirigente dei GCR considerava
allora fumare “erba” in contrasto con una milizia rivoluzionaria sia per ragioni
etico-morali che di sicurezza. Malgrado ciò l’ambiente sociale in cui gli
aderenti venivano reclutati imponeva una certa elasticità, l’abbandonare i
canoni su cui si era basata la stessa militanza negli anni ’60. Antonio Caronia
“rivoluzionario di professione” dei GCR nei primi anni settanta a Torino,
ricorda che
(...) sicuramente nelle riunioni dei militanti e
dei simpatizzanti dei collettivi studenteschi si fumavano le ‘canne’ e noi lo
sapevamo, ed eravamo molto tolleranti verso questa cosa. Non gli abbiamo mai
dato eccessiva importanza. Da una parte volevamo costruire un partito
rivoluzionario e quindi miravamo ad avere certi canoni di militanza, dall’altra
l’area sociale in cui ci muovevamo era un certo tipo di gioventù[3].
I GCR vedono la possibilità stessa di crescita della propria organizzazione
intimamente legata alla crescita del movimento stesso e la chiarificazione
progressiva tra le varie tendenze presenti. In tal modo i trotskisti italiani
perdono di vista quella politica dell’attenzione verso il PCI e quindi un certo
equilibrio nelle previsioni delle tendenze politiche. L’aggancio sempre più
sistematico al “carrozzone gauchiste” è anche il prodotto dei nuovi orientamenti
del S.U. della Quarta Internazionale. L’orientamento verso “la nuova
avanguardia con influenza di massa” deciso al IX Congresso Mondiale, in Italia,
non è niente altro che la polarizzazione del lavoro di costruzione
dell’organizzazione in direzione del variegato mondo dell’estrema sinistra con
particolare predilezione prima per il Manifesto con cui si riscontrano
molte affinità sul terreno della battaglia sindacale e poi, verso la metà degli
anni ’70, per Lotta Continua.
Nel 1970 la pubblicazione del mensile Bandiera Rossa torna a essere
regolare. In questo periodo il giornale dimostra una maggiore internità degli
avvenimenti in corso cercando anche di fornire spezzoni di linea politica. La
polemica con le altre organizzazioni a sinistra del PCI non si presenta mai come
ideologica, ma in relazione ai metodi di organizzazione e di lotte dei
movimenti. In un documento degli Studenti Comunisti Rivoluzionari militanti
della Quarta Internazionale, per esempio si critica l’atteggiamento del
gruppo dirigente del Movimento Studentesco della Statale di Milano che
intende
(...) imporre come base unitaria l’accettazione
del Marxismo-Leninismo pensiero di Mao-Tse-Tung (...) Ciò significa che si
subordina l’unità all’accettazione di una concezione politica e teoria
d’insieme”.[4]
Vale la pena di ricordare come l’organizzazione di Capanna pur considerandosi
“movimento di massa” giocava in molti casi per sua scelta un ruolo da partito.
L’imposizione dell’ideologia maoista per gli studenti della “Quarta”
dovrebbe portare
all’esclusione dal movimento studentesco di tutti coloro che non accettano
Marxismo-Leninismo pensiero di Mao-Tse-Tung o perché aderiscono ad altre
concezioni teoriche o perché pensano come noi che tra marxismo-leninismo e
maoismo non ci sia affatto un identità (...)
Ciò deve soprattutto indurre ad affermare la
validità del metodo usato nelle grandi manifestazioni milanesi anche sul terreno
delle lotte operaie: si devono in ciascun contesto concreto cogliere gli
obbiettivi e i contenuti unificanti - e tali da stimolare una dinamica
anticapitalistica e antiburocratica - e su questa base ricercare le convergenze
più ampie, indipendentemente dall’appartenenza a questo o quel partito e gruppo
o a quel sindacato.[5]
Questa nuova versione della concezione del fronte unico (la versione del fronte
unico di Trotsky negli anni ’30 aveva un carattere prevalentemente difensivo)
fa, in parte, di necessità virtù. Il movimento infatti, in larga parte, è
permeato dal maoismo e tardo-terzointernazionaliste, e questo condanna spesso i
militanti trotskisti alla emarginazione e all’ostracismo. Nel documento
congressuale di quello stesso anno[6]
si afferma che “le masse studentesche devono essere ormai considerate come una
delle componenti dello schieramento rivoluzionario contro il sistema
capitalistico (...)” e il movimento studentesco “deve essere un movimento
politico e non prevalentemente sindacale (...) ma allo stesso tempo non deve
divenire “arena di scontro di opposti gruppi e di opposte sette (...)”.
Negli anni seguenti anche i GCR si doteranno di una “cinghia di trasmissione”
del lavoro studentesco, i Collettivi Soviet, che opereranno fino alla
metà degli anni ’70.
I GCR nel ’70
Dal 19 al 22 marzo 1970 si tiene la XV Conferenza Nazionale dei GCR a cui
partecipano “delegati da una quindicina di città”[7].
Il progetto di risoluzione non si discosta dai nuovi orientamenti dei GCR
assunti dopo la crisi del ’68: il movimento del ’68-’69 viene caratterizzato
come pre-rivoluzionario. anche se tarpato dalla debolezza del “fattore
soggettivo”. Tale limite, tale vuoto di soggettività rivoluzionaria, per i GCR
sarebbe stato riempito
dall’azione riformistica dei sindacati che, al di
là della loro funzione tradizionale, hanno teso sempre di più ad esercitare
anche la funzione più propriamente politica del partito d’opposizione (...)[8].
Nel documento viene inoltre data sistemazione alla riflessione sulla “strategia
della tensione” e la susseguente repressione contro l’estrema sinistra che viene
inquadrata come contrattacco della borghesia per suscitare un riflesso
conservatore nella piccola borghesia e incoraggiare azioni squadristiche.
Malgrado ciò
(...) l’ipotesi di nuove esperienze totalitarie e
di colpi di stato militari continua ad essere esclusa dai settori decisivi della
classe dominante, che hanno sufficiente lucidità per comprendere che non
esistono le condizioni per il successo di simili tentativi[9]
L’impostazione della seconda parte del documento dedicata “ai bilanci e alle
prospettive dell’organizzazione” viene considerata inadeguata da L. Villone (che
scomparirà nell’autunno) per quanto riguarda il giudizio sul movimento
studentesco e il bilancio dell’entrismo. Una linea alternativa complessiva a
quella adottata dai GCR, viene indicata da una parte del gruppo di Genova
guidato da Franco Grisolia (l’altra, legata alla maggioranza dell’organizzazione
è capeggiata da ntonio. Caronia) che presenta un documento alternativo. Proprio
Grisolia che di lì a pochi mesi uscirà dai GCR per formare il primo gruppo
lambertista italiano[10],
ricorda così la Conferenza:
Nel marzo del 1970 l’organizzazione ha circa 120
militanti. Per il Congresso vengono eletti una quarantina di delegati.
All’opposizione siamo a sinistra noi di Genova che avevamo sviluppato tutta una
serie di critiche sia sulla costruzione del partito che su alcune questioni
internazionali, e nei fatti a destra Villone (anche se l’origine è nobile) e
altri due compagni di Napoli. Villone è contro il movimentismo, contro
l’inserimento nel movimento studentesco: un atteggiamento un po’ da professore[11].
Nella seconda metà del 1970 la Campagna “Contro la strage di Stato” e il caso
Pinelli, sponsorizzata da Lotta Continua e il volumetto “La strage di
Stato” (edito da Savelli e che sarà uno dei best seller di quell’anno),
si allarga a macchia d’olio.
La manifestazione dell’estrema sinistra a Milano a un anno dalla strage di
Piazza Fontana è imponente, ma nel frattempo anche numerosi giornalisti
democratici di fama, uno per tutti Camilla Cederna, sono scesi in campo per fare
luce sulle trame che collegano lo stato, i servizi segreti, alle provocazioni
terroriste e ai gruppi dell’estrema destra.
E.
Pellegrini recensendo su Bandiera Rossa proprio il volume sopracitato
afferma che
la vicenda di Milano e Roma dimostra che non si
aspetta la vittoria elettorale “rossa” per intervenire. Si interviene molto più
brutalmente e il meccanismo complessivo dello stato borghese non ha il coraggio
di andare fino in fondo, di scavare nelle contraddizioni, di dimostrare che può
permettersi di tagliare le sue frange fasciste[12].
Tracciando un bilancio del ’70 l’editoriale non firmato di Bandiera Rossa
afferma che la marea del ’68 è cresciuta ancora anche se ha conosciuto proprio
durante l’anno in corso battute d’arresto e contraddizioni. Il limite principale
continua a consistere in una
sinistra extraparlamentare [che] è troppo divisa e povera di programmi e di
strumenti (...) per poter svolgere il ruolo a cui il PCI ha da decenni
rinunciato. Allora i vuoti possono essere riempiti dalla destra. E proprio
vicende come quelle di Reggio Calabria lo hanno dimostrato (...)[13].
Le stesse barricate dei Boia chi molla nelle settimane e cavallo tra il
’70 e il ’71, una sorta di jaquerie meridionalista gestita dal MSI in
nome di “Reggio capoluogo”, vengono inquadrate dai GCR in un quadro più vasto
caratterizzato da una sostanziale tenuta dei rapporti di forza tra le classi,
che stanno lentamente evolvendo a favore della classe operaia.
I GCR nel ’71
Nella primavera del 1971 viene varata la nuova serie della rivista bimestrale
Quarta Internazionale che aveva conosciuto già una prima serie durante il
’68 con l’uscita di quattro fascicoli. La nuova rivista assolve a una funzione
di orientamento sugli avvenimenti internazionali davvero rara se comparata al
pressappochismo e alla disinvoltura teorica dell’estrema sinistra italiana.
Vengono tradotti gli articoli sul ciclo economico di Ernest Mandel e le
corrispondenze delle varie sezioni della “Quarta” dai diversi angoli del globo
mentre allo stesso tempo viene dedicata una riflessione più ampia sulla
situazione politica italiana che trovava poco spazio sulle colonne di
Bandiera Rossa. Quarta Internazionale verrà pubblicato fino alla metà
degli anni ’70.
E’ proprio sulle pagine di Quarta Internazionale che il pubblico della
sinistra italiana può venire a conoscenza delle imprese del PRT-ERP (Partido
Revolucionario de los Trabajadores-Ejercito Revolucionario del Pueblo),
sezione argentina del S.U. della IV Internazionale. Il S.U. ha approvato la
svolta verso la guerriglia in America Latina nel ’69 e ora dalle parole si sta
passando ai fatti. Vengono così pubblicate le risoluzioni della organizzazione
di Santucho e articoli da El Combatiente in cui si può leggere che:
(...) la reale
motivazione della propaganda armata rispetto alle masse è di provocare la loro
mobilitazione, trasformandole da spettatrici in agenti della guerra
rivoluzionaria (...) L’esercito del popolo deve combattere ovunque sia il
proletariato, trasformandosi nel difensore dei suoi interessi, e deve essere
appoggiato dalle masse stesse. Per questa guerra sono necessarie cellule forti,
addestrare per combattere con le armi sottratte al nemico, affrontandolo
direttamente in battaglia o in imboscate urbane rurali.
E’ però imprescindibile anche il ruolo che il popolo può svolgere lottando con i
mezzi più rudimentali, con le molotov con tutti i sistemi usati dai nostri
antenati per scacciare gli spagnoli, rispondendo alla violenza del nemico,
colpendolo nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle scuole e nelle università
(...)”[14]
Negli anni seguenti l’attività del PRT-ERP si svilupperà con una escalation
di attentati, rapimenti, assalti alle carceri, sempre seguiti con entusiasmo
dalla pubblicistica dei GCR.
Nel 1971, ancor prima che si apra il dibattito precongressuale per la XVI
Conferenza Nazionale, che si tiene alla fine dell’anno, si viene formando una
sorta di tendenza critica informale animata da Savelli, Di Giuliomaria, Fabrizio
Barbaranelli e qualche altro membro della sede romana. Il documento redatto dal
gruppo, titolato “Una rettifica necessaria”[15],
intende criticare la linea politica con cui si sta tentando di ricostruire i GCR.
La nuova direzione nazionale viene messa sotto accusa da un lato per la sua
incapacità a rapportarsi con il movimento di lotta, e dall’altro, per il suo
codismo nei confronti dell’establishement della sinistra extraparlamentare. A
distanza di due decenni, G. Savelli, nel già citato saggio autobiografico
contenuto nel volume “Riforme e Libertà”, tornando ai giorni di quella
battaglia politica, non nasconde una palese disistima per i militanti dei GCR
definiti “di qualità modesta” e “scadente” attratti dalla carriera in una
gerarchia di un “partito inesistente”. Di rimando, già allora, nelle risposte
polemiche al documento dei “romani”, di Pellegrini e Massari
[16]
si palesa un rigetto, non tanto delle tesi espresse nel documento “di
opposizione”, quanto delle ragioni intrinsecamente personalistiche che lo hanno
mosso. Savelli & C. vengono accusati di essere stati ai margini del processo di
ricostruzione e di volere ritagliarsi uno spazio politico a tutti costi malgrado
la loro passività politica.
Comunque “Una rettifica necessaria”, è per molti versi un documento
interessante. Nel documento si distingue la battaglia “per l’egemonia
all’interno della estrema sinistra” (che resta imprescindibile per i GCR) dalla
necessità di “tenere conto degli effettivi rapporti di forza presenti nella
società”. In questo contesto
Le forze sociali decisive (...) continuano a
muoversi sotto l’influenza determinante delle organizzazioni tradizionali, anche
se il tipo di rapporto tra queste ultime e le prime è passato dalla completa
fiducia all’appoggio non scevro da critiche (...)[17]
Il possibile inserimento del PCI all’interno di una “strategia riformista del
grande capitale” viene impedito dalla collocazione internazionale del partito di
Longo mentre allo stesso tempo si mette in risalto tutto il campionario delle
banalità e del violentismo verbale dei “gruppi”. Tali limiti “soggettivi”,
“l’inconcludenza dei gruppetti - prevedono gli estensori del documento - alla
lunga porterà al riflusso anche dell’estrema sinistra, verso posizioni di
demoralizzazione dei militanti e verso un rientro nelle organizzazioni
tradizionali: se non saremo stati in grado di delimitarci nettamente nei
confronti dell’estremismo, finiremo per essere travolti dal riflusso assieme
alla maggioranza dei ‘gruppetti’”[18].
Per Savelli il limite maggiore dei trotskisti italiani resta “l’adattamento
all’ambiente in cui opera” che al presente si concretizza nel codismo nei
confronti dell’estremismo mentre alla metà degli anni ’60 si era cristallizzato
nel subire l’“entrismo di ritorno” dei vari Illuminati, Di Toro e Marconi[19].
La “preveggenza” del gruppo dei romani però si combina a un movimentismo
disinvolto che porta alla pubblicazione nel 1972 della rivista Soviet[20],
assieme al gruppo capitolino dei Nuclei Comunisti Rivoluzionari di P. F.
D’Arcais che produrrà un confuso tentativo di commistione tra trotskismo e
maoismo.
La Conferenza Nazionale annuale dei GCR (la XVI) si tiene il 26, 27 e 28
novembre. Viene registrata una certa crescita dell’organizzazione anche se
limitata rispetto a quella delle principali organizzazioni extraparlamentari.
Durante gli stessi giorni, nell’ambito della Conferenza, in un cinema di Torino
si tiene una manifestazione pubblica propagandistica, in cui intervengono uno
dei principali dirigenti operai dei GCR, Vito Bisceglie, e per l’Internazionale
Alain Krivine, Roger Horowitz del SWP (US) e Livio Maitan e a cui partecipano
circa 500 persone[21].
Il documento approvato dalla Conferenza si incentra sulla situazione politica
italiana di cui si rileva l’instabilità e la precarietà rese più accentuate
dalla recessione più grave che si sia mai verificata nel periodo post-bellico.
Tale recessione viene acutizzata da fattori internazionali come l’aumento della
concorrenza internazionale, la crisi monetaria e i fenomeni di
sincronizzazione ma è resa particolarmente gravi da fattori interni:
Gli elementi congiunturali (...) sono aggravati dalla vischiosità dei prezzi
verso il basso propria delle strutture monopolistiche, dalla non diminuita
incidenza delle posizioni di rendita (che hanno una parte rilevante nella crisi
della edilizia), dalla non modernizzazione delle strutture agricole e dal
gravare sui costi di distribuzione e dei servizi di strutture arretrate e
parassitarie (...)[22].
Si sancisce quindi il fallimento del centro-sinistra, il quale avrebbe dovuto
operare proprio nella direzione del superamento degli squilibri del sistema
capitalistico italiano. I GCR sottolineano come il fallimento della ipotesi
riformista e l’instabilità politica che porta alle continue formazioni di nuovi
gabinetti sempre più deboli e di corto respiro sia anche il prodotto della
ripresa di combattività operaia dopo il ’68.
Per quanto riguarda lo stato della sinistra il documento congressuale dedica
minor spazio alle forze della sinistra tradizionale. E’ sintomatico di un
cambiamento di linea politica, di riferimenti culturali e di prospettive che
stanno attraversando i GCR. La formazione del Partito rivoluzionario viene ora
vista come un processo per tappe in cui in una prima fase avverrà la selezione
il raggruppamento del meglio dell’area gauchiste e una seconda fase più
avanzata in cui i rivoluzionari si porranno il problema di contendere al PCI la
direzione del movimento operaio.
L’evoluzione della politica italiana nel 1972 e le scelte dei GCR
L’inizio del 1972 regala la certezza delle prime elezioni anticipate del
dopoguerra. La rottura nel centro-sinistra trova un pretesto nelle elezioni a
Presidente della Repubblica di Giovanni Leone grazie ai voti determinanti del
MSI. Poco prima dell’inizio della campagna elettorale si tiene nel marzo il
Congresso del PCI che vede il cambio della guardia alla segreteria di Luigi
Longo con Enrico Berlinguer. Enrico Berlinguer in breve tempo darà un forte
impulso al PCI attraverso una nuova strategia politica spesso accompagnata da un
uso spregiudicato, ma anche benevolente, dei mass-media.
Proprio sul piano elettorale avviene quell’anno un cambiamento di orientamento
dei GCR. L’indicazione ritualistica che dal dopoguerra si è indirizzato verso i
candidati del PCI “non burocratizzati” si trasforma ora in sostegno convinto
alle liste del Manifesto alla Camera mentre viene riconfermato il
sostegno al Senato per PCI e PSIUP.
Pur riaffermando che la critica del parlamentarismo e dell’elettoralismo rimane
patrimonio dei rivoluzionari il Comitato Centrale dei GCR afferma che
L’elemento nuovo della situazione consiste nel
fatto che sono emerse forze consistenti che hanno rotto con il riformismo (...)
La IV Internazionale non ha mai taciuto né intende tacere ora le profonde
divergenze che la dividono dal Manifesto. E’ convinta che il partito
rivoluzionario non potrà sorgere dalle concezioni teoriche, politiche e
organizzative del Manifesto. Questo non ci impedisce di comprendere e
appoggiare il significato del manifesto che tutta la sinistra
rivoluzionaria ha l’interesse ad appoggiare. L’inclusione di Valpreda come
candidato, che si riallaccia a una lunga tradizione del movimento operaio, va
d’altra parte nel senso di favorire una convergenza unitaria. (...)[23].
Pellegrini in articolo titolato “Tre punti per una campagna elettorale dei
rivoluzionari” indica le coordinate su cui si muoverà la campagna elettorale dei
GCR: la denuncia dello stato borghese e della sua funzione (agganciata a un
rinnovato protagonismo di massa), la battaglia per la scala mobile e la ripresa
della mobilitazione per il Vietnam[24].
Il rinnovato impegno dei GCR nella campagna elettorale non è comunque quelli che
lasciano il segno. La campagna dei trotskisti si riduce a qualche volantinaggio,
alla vendita di un opuscolo, e solo in alcuni casi anche a iniziative comuni
con il Manifesto, come quella che si tiene a Piacenza, con la presenza di
Luciana Castellina, Silvio Paolicchi e che vede la partecipazione di 200 persone[25].
Tuttavia la campagna elettorale conferma l’estensione sempre più nazionale
raggiunta dai GCR[26].
La campagna elettorale è turbata prima dal ritrovamento del corpo senza vita di
Giangiacomo Feltrinelli vicino a un traliccio a Segrate e poi dalla morte del
giovane anarchico Franco Serantini per le percosse subite dagli agenti di P.S.
durante violentissimi scontri promossi da Lotta Continua, che intendeva
impedire un comizio elettorale missino a Pisa.
I risultati della estrema sinistra di quella tornata sono, vista la sostanziale
tenuta del PCI e del PSI e il crollo verticale del PSIUP, negativi. Il
Manifesto, malgrado la presenza di Valpreda si attesta allo 0,7% su
scala nazionale senza riuscire a far scattare il quorum in nessuna
circoscrizione, mentre Il Partito Comunista (Marxista-Leninista) già UCI
di A. Brandirali raccoglie 85.000 voti pari allo 0,2%.
L’analisi svolta da Maitan nel CC di una settimana dopo le elezioni, deve fare i
conti con lo spostamento della piccola-borghesia in senso conservatrice con
l’aumento del voto fascista anche se la borghesia non sembra aver raggiunto i
propri scopi di spostamento in senso centrista della coalizione uscita dalle
elezione che resta tendenzialmente di centro-sinistra. L’insuccesso del
Manifesto viene attribuito in parte al limite di ventuno anni per il diritto
di voto (verrà portato a diciotto anni nelle successive elezioni del 1976) ma
anche alla tendenza delle larghe masse a sostenere i partiti di sinistra più
consistenti e alla mancata formazione di liste unitarie della estrema sinistra.
Nella politica di “fronte unico” che viene prospettata per il futuro, Maitan
continua a guardare al gruppo della Rossanda.
Nella politica delle convergenze nella sinistra
rivoluzionaria dobbiamo continuare a privilegiare il Manifesto. (...)
Nella dialettica che è esistita ed esiste nel Manifesto abbiamo avuto e
dobbiamo avere la possibilità di inserirci. Ciò non significa che escludiamo
altre forze. (...) Crediamo che anche e soprattutto nella campagna per i
contratti nonostante tutto, coloro che hanno le posizioni meno distanti dalle
nostre sono i compagni del Manifesto[27].
Subito dopo le elezioni il clima di grave tensione dell’ordine pubblico è
alimentato ancora dall’omicidio del Commissario Calabresi. Il Commissario è
sotto il torchio di una pesante campagna stampa di Lotta Continua che ha
lo ha indicato come assassino, perlomeno morale, di Pinelli.
I GCR escono con un comunicato nazionale lo stesso giorno dell’attentato in cui
si evidenzia l’inutilità di tale azione terroristica che favorisce i
disegni repressivi con il movimento di lotta, arrivando persino a adombrare una
possibile matrice di destra dell’azione. Susseguentemente in un articolo di E.
Pellegrini dedicato alle reazioni post-attentato vengono attaccate le posizioni
“avventuriste” di LC che hanno “riconosciuto nell’attentato un atto in cui gli
sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia” .
Con dichiarazioni avventate, con fughe in avanti
verbali, si favoriscono a un tempo la repressione borghese e l’isolamento della
sinistra. Se questo è il prezzo che i compagni di Potere Operaio e Lotta
Continua sono disposti a pagare, pur di mantenere una (non si sa poi quale)
purezza al limite potremmo dire: fatti loro, lo paghino! Ma, non è così; sono
anche fatti nostri, sono fatti che interessano tutto il movimento e che sono
destinati a incidere sulla bilancia del gioco politico complessivo. (...)[28].
1973: Il “giro di boa” dei contratti
Se la radicalità espressa nelle lotte per il rinnovo dei contratti nel 1969
resterà il picco di una lunga fase di estesa mobilitazione operaia ancora nel
’72-’73 comunque si registra una fortissima conflittualità di classe per nulla
attutita dalla recessione incipiente. In realtà con il rinnovo dei contratti dei
metalmeccanici del 1973 si chiude il ciclo di lotte apertosi nel 1968[29].
Il movimento di lotta sui contratti che si sviluppa a cavallo tra il ’72-’73
infatti è maggiormente legato alla dinamica sindacale e i consigli dei delegati
giocano un ruolo preponderante nell’organizzazione e nella mobilitazione dei
lavoratori. Di ciò si rendono presto conto anche le formazioni a sinistra del
PCI, costrette a dialogare con tali organismi; di fatto un ruolo significativo
verrà giocato da LC e dai collettivi autonomi solo nell’occupazione di Mirafiori
proprio alla fine della vertenza.
I GCR hanno ora aperto un intervento politico alla FIAT e in altre importanti
fabbriche del paese e possono formulare sulla piattaforma proposte meno
astratte. Seguendo la falsariga del programma transitorio propongono come
obiettivi la riduzione dell’orario settimanale a 36 ore a parità di salario,
l’eliminazione degli straordinari, l’eliminazione dei residui di cottimo, la
scala mobile dei salari sotto controllo operaio, il salario minimo garantito e
l’inquadramento unico[30].
Dopo che i primi tre mesi del ’73 vedono una importante ripresa dell’attività
sindacale, si arriva a marzo alla firma del contratto dei metalmeccanici con la
conquista dell’inquadramento unico tra operai e impiegati, la riduzione del
differenziale salariale e l’attivazione dei corsi delle 150 ore.
Commentando la chiusura del contratto[31],
Antonio Moscato, paradossalmente intravede un indebolimento dei sindacati (e
nel contempo un aumento di consistenza nella sinistra extraparlamentare) proprio
quando questi stanno recuperando terreno e controllo nelle fabbriche. Moscato
intuisce il cul de sac in cui si è cacciata la politica estremista della
“lotta contro i contratti” ma non il declino politico della estrema sinistra
(che non è ancora tuttavia declino organizzativo). In un altra situazione[32],
Eugenio Preo traendo un bilancio di 5 anni di lotte dei lavoratori afferma che
esse “non sono state corporative”, che hanno espresso una “diffusa coscienza
anticapitalistica”, ma la mancanza di uno sbocco politico ancorché
rivoluzionario ha consentito un recupero parziale della borghesia.
Dopo anni di lotte anche durissime, infatti, gli operai si ritrovano nel ’73
circondati dalle stesse macchine che c’erano nel ’67, usano gli stesi metodi di
lavoro, hanno gli stessi capi e devono difendere quotidianamente con la lotta
ciò che hanno conquistato (tempi di lavoro più lunghi, rapporti di minor
subordinazione rispetto ai capi, ecc.) E’ questa situazione che (...) ha anche a
tratti fatto emergere una sensazione di frustrazione, ha dato persino spazio
alla demagogia della destra che cerca di screditare gli scioperi (...)[33].
La manifestazione del 13 maggio 1973 a Milano a sostegno della lotta del popolo
vietnamita si svolge nel momento di maggiore espansione e visibilità politica
dei GCR in tutti gli anni ’70, e probabilmente anche il picco dello sviluppo
organizzativo. Il corteo, egemonizzato dall’estrema sinistra, a cui aderiscono
però numerose strutture sindacali e le ACLI vede la presenza di oltre trentamila
persone. Nello spezzone della Quarta Internazionale (che verrà aggredito
al Vigorelli dai militanti del PC (m-l)) oltre alle delegazioni di militanti di
trotskisti provenienti dalla Francia, Spagna, Germania, Svizzera c’è un quadrato
di corteo italiano di qualche centinaio di persone. Il giorno dopo la Quarta
Internazionale organizza una manifestazione nel cinema milanese “Argentina”
a cui partecipano oltre mille persone.
I problemi della crescita di una organizzazione, che pur rimanendo estremamente
debole rispetto ai principali gruppi dell’estrema sinistra ha ormai un
radicamento nazionale e qualche centinaio di militanti[34],
vengono riassunti in un documento organizzativo presentato da A. Moscato:
Da tempo la nostra organizzazione risente di un disagio crescente: in misura
sempre maggiore i compagni sentono la contraddizione stridente tra quelle che
sono le necessità oggettive di una situazione che continua a offrire spazi per
iniziative rivoluzionarie, da un lato, e quelle che sono ancora oggi le nostre
possibilità, dall’altro[35].
Per tutta la prima fase della ricostruzione i compagni che hanno raggiunto le
nostre fila sapevano di entrare in una debolissima organizzazione che spesso non
poteva far altro che ‘testimoniare’, proporre un’analisi rigorosamente marxista
che i fatti avrebbero puntualmente confermato, ma che pochi avrebbero conosciuto
e preso in considerazione. (...) Molti compagni, specialmente i primi operai
conquistati nel ’69-’70 avevano aderito ai GCR perché era l’unico gruppo che non
si era fatto ubriacare dallo spontaneismo antisindacale ed economicista del ’69
e non era rifluito a destra al momento delle prime sconfitte (...)[36].
Da questo punto di vista l’opposizione interna romana Barbaranelli-Di
Giuliomaria-Savelli, dietro le teorizzazioni pessimistiche nascondeva il
disimpegno personale di questi militanti dal lavoro di costruzione (di lì a
qualche anno tutto questo gruppo abbandonerà i GCR e quindi il marxismo)[37].
Per quanto riguarda i rapporti con le altre organizzazioni di estrema sinistra
Moscato svolge una certa autocritica sulle illusioni dei GCR riguardo alla
possibilità di evoluzione verso il leninismo nel Manifesto. I GCR avevano
scambiato l’abbandono dell’estremismo da parte del gruppo del Manifesto
per un avvicinamento al marxismo rivoluzionario.
Tuttavia proprio mentre i GCR pensano di poter fare un salto di qualità nella
crescita numerica della loro organizzazione, le fratture e le divisioni interne
tornano a fare capolino.
Nella XVII Conferenza Nazionale dei GCR tenutasi nel novembre del 1973 si viene
agglutinando una opposizione interna, la Tendenza Marxista Rivoluzionaria[38]
(TMR), guidata da Roberto Massari, Antonella Marazzi e Vito Bisceglie (e a
cui aderivano molti dei giovani della sede romana tra cui per esempio Massimo
Bordin oggi di Radio Radicale).
Questa opposizione redige immediatamente due voluminosi documenti critici che
affondano, le loro radici nella battaglia ingaggiata a livello internazionale
dalla TLT-FLT. Il documento critica la concezione della “nuova avanguardia con
influenza di massa” del S.U.. Per Massari sarebbe “gravissimo” confondere la
radicalizzazione crescente delle masse con le vicende della estrema sinistra. I
“gruppi” invece devono essere considerati come “degli avversari politici veri e
propri che sono riusciti a conquistare determinate posizioni nel movimento di
massa”[39].
La TMR contrappone alla visione di una costruzione del partito per tappe, la
visione di un partito che sappia sin da subito “impegnarsi direttamente nel
movimento di massa, anche per vincere (...)”[40].
In questi documenti vengono definiti gli assi di lavoro su cui i GCR dovrebbero
muoversi prioritariamente: la battaglia per la costruzione di una tendenza
sindacale antiburocratica (tutta una parte del documento è dedicata al processo
di svecchiamento, rafforzamento e financo radicalizzazione del sindacato
italiano nel quinquennio ’68-’73), lo sviluppo del lavoro politico tra gli
studenti, l’intervento a sostegno del movimento della donna e contro le
istituzioni totali e infine la lotta per l’applicazione del “centralismo
democratico” nell’Internazionale ( contro i pericoli di scissione nello scontro
che sta opponendo a livello internazionale la TMI alla FLT).
Una particolare enfasi critica viene data al disinteresse dei GCR verso la
cultura, giustificato in nome della priorità operaia.
Il Festival del Cinema di Venezia o altre
manifestazioni simili si sono ormai trasformate in scadenze annuali di una
battaglia politica che vede sempre più chiaramente il mondo della cultura
democratica e rivoluzionaria schierato contro lo stato borghese. Artisti,
scrittori musicisti (...) lottano sempre più chiaramente e massicciamente contro
l’ideologia consumistica, contro il mercato dell’arte, contro la Censura, contro
l’influenza del Vaticano (...)”[41].
Per Massari & C.:
(...) significa che nella fase più ricca di tale
radicalizzazione noi ammettiamo la possibilità di essere assenti da un settore
così cruciale. Eppure quando i GCR erano molto meno di oggi, in una situazione
molto più dura e difficile (anni ’50 e ’60), Bandiera Rossa affrontava
sistematicamente i temi della battaglia culturale. Non c’era film impegnato,
romanzo o iniziativa culturale di un qualche rilievo per il movimento operaio
che passasse inosservato (...)[42].
Il documento, al di là del suo valore intrinseco, importa per la prima volta in
Italia un dibattito e uno scontro internazionale. Prima di allora nessuno aveva
sistematicamente attaccato le posizioni della Maggioranza Internazionale
(TMI), senza rompere con essa. Ma il documento non solo accelera la
sprovincializzazione del trotskismo italiano, ma dimostra la capacità di alcuni
quadri di abbozzare un programma che pur richiamandosi in generale
all’opposizione interna al S.U. intende però plasmarlo sulla realtà italiana.
Nei mesi a venire lo scontro e la dialettica tra la maggioranza e la TMR-FMR
diverrà sempre più vivace arrivando anche all’espulsione di alcuni militanti
dell’opposizione interna. Il caso più clamoroso, quello di Vito Bisceglie[43],
porterà alla nascita del Gruppo Rivoluzione Permanente di Torino.[44]
Per quanto riguarda la risoluzione votata, la Conferenza ribadisce le linee
interpretative sulla fase della lotta di classe via via elaborate dal ’68 in
poi. Per quanto riguarda la questione della tendenza sindacale sollevata dal
documento della TMR si afferma che essa “ non può essere il risultato di
decisioni unilaterali o di proclamazioni astratte”[45]
mentre vengono delineati gli assi su cui si dovrebbe muovere l’intervento tra
gli studenti (e che gli varrà l’accusa della TMR di “sindacalismo studentesco”):
1. lotta contro la disoccupazione giovanile
2. lotta contro la selezione
3. lotta ai valori ideologici e ai contenuti culturali della borghesia
4. lotta per l’agibilità politica
5. lotta contro le carenze di infrastrutture scolastiche
6.
lotta contro i costi dello studio.
I GCR davanti alla tragedia cilena
Intanto nel settembre la crisi del Cile è precipitata. Dopo mesi di crisi
istituzionale e sociale l’esercito del generale Pinochet ha rovesciato il
governo di Unidad Popular. Il golpe è stato attuato in combutta tra i settori
più reazionari della borghesia locale con la CIA. I partiti democratici sono
messi fuori legge, decine di migliaia di militanti di sinistra vengono rapiti,
assassinati, sono costretti all’esilio.
E’ una delle sconfitte più disastrose per il movimento operaio nella sua storia.
L’emozione e la mobilitazione della sinistra italiana è estesa, sentita. Ma nel
contempo in tutto il movimento internazionale è tempo di lezioni: perché un
movimento operaio così combattivo ha subíto una sconfitta così cruciale? Come
vedremo è tanto più importante tale dibattito perché dagli avvenimenti del Cile
il segretario del PCI Berlinguer trarrà delle lezioni “originali”.
I trotskisti delineano prima di tutta una contraddizione latente tra il progetto
del governo “fronte-populista” e le aspettative e le dinamiche del movimento di
massa:
Il programma di Unidad Popular prospettava una
azione riformatrice e modernizzatrice nel quadro del sistema capitalistico (...)
Per questo erano incluse nella coalizione formazioni di origine borghese (...)
Ma la vittoria elettorale e l’avvento di Allende alla presidenza venivano
interpretate dalle larghe masse come una sconfitta di proporzioni storiche
inflitta all’avversario. (...) ben presto si delineava la tendenza ad urtare
contro il quadro del riformismo preconizzato da Allende (...) Così si giungeva
progressivamente a una contrapposizione nitida delle forze antagoniste con
l’oscillazione e divisione dei ceti piccolo-borghesi (...)[46].
Il S.U. sottolinea come
Gli avvenimenti cileni degli ultimi tre anni
dimostrano quanto sia illusoria (…) la prospettiva di una fase democratica,
antioligarchica e antimperialista in cui la borghesia o suoi settori settori
importanti sarebbero interessati e alla cui realizzazione sarebbero interessati
a contribuire[47].
La lezione
fondamentale che viene da Santiago è l’ennesima riprova dell’illusorietà di un
passaggio pacifico, senza rotture, al socialismo. L’inesistenza di strutture di
tipo sovietico o consiliare e di un partito rivoluzionario credibile oltre che
la questione della preparazione militare hanno tagliato le gambe al movimento
operaio. Alle lezioni della Comune, o della Spagna del ’36-’37 o dell’Indonesia
di solo qualche anno prima, si aggiunge la tragedia cilena.
In America Latina tramonta la “via pacifica”: la
tragica ironia della sorte vuole che la ‘via pacifica’ cilena sia costata al
proletariato latinoamericano molti più morti di quanti non se siano avuti in
decine di paesi da parte dei fautori della lotta armata. (...)[48].
Di ben altro segno sono le lezioni che trae Enrico Berlinguer. In una serie di
tre articoli pubblicati su Rinascita tra la fine settembre e la metà di
ottobre, Berlinguer proprio prendendo le mosse dal Cile delinea quella che verrà
definita la strategia del “compromesso storico”. Di strategia, e non di tattica
bisogna parlare, perché nelle intenzioni di Berlinguer l’incontro tra le “grandi
forze socialiste e cattoliche della società italiana” non è una semplice
formula di governo ma rappresenta una tappa fondamentale per isolare le forze
reazionarie presenti nella società italiana e gettare le basi per la transizione
pacifica al socialismo. Berlinguer polemizza aspramente con chi a sinistra, come
i GCR, ha visto negli avvenimenti cileni l’ennesima dimostrazione della
fallimentarietà della via pacifica al socialismo.
Abbiamo sempre saputo e sappiamo che l’avanzata
delle classi lavoratrici e della democrazia sarà contrastata con tutti i mezzi
possibili dai gruppi sociali dominanti e dai loro apparati di potere. (...) Ma
quale conclusione dovremmo trarre da questa consapevolezza? Forse quella
proposta da certi sciagurati di abbandonare il terreno democratico e unitario
per scegliere un’altra strategia fatta di fumisterie, ma della quale è comunque
chiarissimo l’esito rapido e inevitabile di un isolamento dell’avanguardia e
della sua sconfitta? (...) L’eventualità del ricorso alla violenza reazionaria
‘non deve dunque portare - come ha affermato il compagno Longo - ad avere una
dualità di prospettiva e di preparazione pratica (...)[49]
(nostra sottolineatura).
Per Berlinguer tutta l’esperienza di lotta e di conquiste del movimento operaio
italiano e del PCI stanno a dimostrare che una via pacifica al socialismo è
possibile, oltre che auspicabile. Si tratta di riallacciare quindi il filo della
riflessione togliattiana sulle peculiarità della storia italiana che aveva dato
il via alla Svolta di Salerno e ai governi di unità nazionale del triennio
1945-’47 bruscamente interrotti dall’inizio della guerra fredda e della svolta
filo-atlantica di De Gasperi. Ecco perché parlare di “originalità” nella svolta
berlingueriana è eccessivo e scorretto. In fondo l’opposizione alla DC, gli
anni del frontismo, erano stati non una scelta ma una strada obbligata per il
PCI.
Per Berlinguer la scelta dell’incontro tra cattolici e comunisti deriva non solo
dalle peculiarità della storia nazionale ma dalla struttura di classe del paese,
con una forte presenza di ceti medi, e dal complesso di figure sociali ed
economiche come i giovani, le donne, le masse meridionali. In tanta complessità
(...) sarebbe del tutto illusorio pensare che,
anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per
cento dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe di per
sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia) questo
fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse
l’espressione di tale 51 per cento. (...)[50].
Che l’abbandono di qualsiasi velleità frontista in vece di una politica di vaste
alleanze sociali non sia novità dell’ultima ora lo fa rilevare Livio Maitan in
un articolo intitolato “La logica di Berlinguer” pubblicato su Bandiera
Rossa. mette in risalto acutamente come la “via pacifica al socialismo”
assuma le caratteristiche non di una condizione peculiare ma divenga un totem
ideologico. Quello che Berlinguer nega è l’inevitabilità di uno scontro frontale
tra le due classi antagonistiche non “in questa o in quella fase specifica (il
che potrebbe essere giusto) ma indefinitamente (il che è sbagliato e ancora
prima del tutto irrealistico).”[51]
Per Maitan il corso degli avvenimenti del Cile è in gran parte indipendente
dalle volontà del singolo riformatore, dell’Allende di turno, ma reso
inevitabile dalla tendenza obiettiva delle classi fondamentali a entrare in
conflitto aperto.
La logica di Berlinguer è esplicita se si
vogliono evitare sbocchi drammatici, rotture, non basta l’unità delle sinistre
(...) Detto in parole povere, bisogna rinunciare indefinitamente a porre la
prospettiva di una lotta per il socialismo, per il rovesciamento non di questo o
di quel governo DC, ma del regime capitalista in quanto tale. (...)[52].
[1]
P. Ginsborg op. cit. p. 450
[2]
I GCR apriranno un intervento continuativo alla FIAT e alla Nebiolo di
Torino, alla Face Standard di Milano, alla Nuova Pignone di Firenze, all’Italsider
di Napoli e di Taranto oltre che in piccole fabbriche bresciane e umbre.
[3]
Intervista dell’autore ad Antonio Caronia” del 10 settembre 1996.
[4]
Bandiera Rossa n .4 15 maggio-15 giugno 1970 “Appoggio critico al
Movimento Studentesco della Statale di Milano”
[5]
Bandiera Rossa n .4, ibidem.
[6]
GCR “Bollettino Interno n 1 nuova serie” “Progetto di risoluzione per la
Conferenza Nazionale” [Archivio Gambino-Verdoja”]
[7]
Bandiera Rossa n .3 15 marzo -15 aprile “Rilanciata l’organizzazione
dalle lotte operaie del ‘69”
[8]
GCR “Bollettino Interno...” , cit.
[9]
GCR “Bollettino Interno…” cit.
[10]
A proposito delle vicende successive del lambertismo italiano vedi appendice
B sotto le voci Cellula Trotskista d’Italia e Gruppo Bolscevico Leninista.
[11]
Intervista dell’autore a Franco Grisolia”, citata.
[12]
Bandiera Rossa n 5 15 giugno - 15 luglio 1970 E. Pellegrini
“Il ruolo dei fascisti negli attentati del 12 dicembre documentato da una
controinchiesta”.
[13]
Bandiera Rossa n. 8 15 novembre-15 dicembre 1970 ”Respingere
l’offensiva del governo e dei padroni”
[14]Quarta
Internazionale nuova serie n. 2
giugno 1971 “ERP: lotta armata e azioni di massa”
[15]
“Una rettifica necessaria”. Contributo alla discussione precongressuale
presentato dai compagni Fabrizio, Giulio, Sergio e Sirio del C.C. e del
gruppo di Roma (senza data ma presumibilmente del febbraio-marzo 1971) [Archio
Gambino-Verdoja].
[16]
Si tratta di “Il prezzo dell’inazione” di E. Pellegrini del 10 aprile 1971 e
di “Non è solo questione di inazione” di R. Massari del 25 aprile 1971
[Archivio Gambino-Verdoja].
[17]
“Una rettifica necessaria” cit.
[18]
“Una rettifica necessaria” cit.
[19]
Bollettino Interno n 5 del 20 giugno 1971 “L’adattamento all’ambiente:
malattia infantile del trotskismo italiano”. Intervento dei compagni Franco,
Giorgio, Giulio, Sirio, del gruppo di Roma. Nello stesso documento si
critica anche il tentativo di presentare in Italia (ma anche all’estero) la
realtà delle varie sezioni dell’Internazionale in modo sovradimensionato.
All’interno di questo dibattito si veda anche “Attivismo e politica” di G.
Savelli [Archivio Gambino-Verdoja, Torino].
[20]
Soviet uscirà nel 1972 come mensile per soli 3 numeri.
[21]Vedi
il resoconto su Bandiera Rossa n. 1 gennaio 1972 “La situazione
politica e i compiti delle avanguardie al centro del dibattito dei comunisti
rivoluzionari”.
[22]
Quarta Internazionale nuova serie n .4 febbraio 1972
“Risoluzione della Conferenza nazionale dei GCR”
[23]
Bandiera Rossa n .2 5 aprile 1972 “Risoluzione del CC dei GCR
del 19 marzo 1972”.
[24]
Bandiera Rossa n .1 20 marzo 1972 E. Pellegrini “Tre punti per una
campagna elettorale rivoluzionaria”
[25]
Bollettino Interno dei GCR - IV Internazionale nuova serie n 2 - maggio
1972 [Archivio Gambino-Verdoja].
[26]
La campagna elettorale dei GCR viene svolta a Perugia, Venezia, La Spezia,
Piacenza, Torino, Livorno, Ancona, Napoli, Genova, Taranto, Cesena, Verona,
Trieste, Roma, Bari e Milano.
[27]
Quarta Internazionale n. 5-6 giugno 1972 L. Maitan “Dopo il 7 maggio:
i compiti dei comunisti rivoluzionari nella nuova fase politica”
[28]
Bandiera Rossa n 7 5 giugno 1972 E. Pellegrini “Calabresi era chi era
ma la sua morte giova a loro”.
[29]
A proposito del calo nel numero di ore di sciopero su scala nazionale dopo
il 1973 si veda “ Numero di ore perse per conflitti di lavoro in Italia
1949-1986 nell’appendice statistica curata da G. Ghellini e P. Ginsborg
acclusa in “Storia d’Italia...” op. cit. p. 602. Per ulteriori dati
statistici sulle statistiche degli scioperi aggiornate fino agli anni ’90
si veda Lotta Comunista n 274 giugno 1993 P. Davoli “Settenta
anni di calcoli”
[30]
Per una organica presentazione delle proposte e della linea dei GCR sui
rinnovi contrattuali vedi l’editoriale di Quarta Internazionale n 5
-6 giugno 1972 “Contratti ‘72: una lotta politica della classe operaia”.
[31]
Vedi Bandiera Rossa n.8 1
maggio 1973 A. Moscato “Il dopocontratto”.
[32]Tale
crisi appare invece colta nel progetto di tesi per la XVII Conferenza
nazionale: “Quanto alla crisi dei gruppi dell’estrema sinistra, alla sua
base è la sproporzione tra le potenzialità della situazione oggettiva e le
acquisizioni complessive del movimento (...)” vedi “Progetti di tesi per la
Conferenza Nazionale” maggio 1973 [Archivio Gambino-Verdoja, Torino]
[33]
Quarta Internazionale n9 giugno 1973 E. Preo “I contratti di lavoro”
[34]
In un colloquio avuto dall’autore con A. Caronia questi ha affermato che i
GCR raggiunsero al massimo momento di ripresa organizzativa i 250-300
militanti. Altri militanti come V. Bisceglie hanno parlato di cifre
pressappoco simili. Interviste citate.
[35]
GCR Bollettino Interno n 9 A. Moscato “Per un primo bilancio dello stato
dell’organizzazione ( e della sua direzione) (1973).
[37]
Il documento di Moscato mette anche in luce i problemi del funzionamento e
della costruzione della direzione e del finanziamento, problemi che non sono
solo organizzativi. (“Come è possibile chiedere a un compagno di rinunciare
a un lavoro ben retribuito per fare un funzionario a 80-100.000 lire il
mese, se le quote sono sganciate da un criterio progressivo, per cui un
compagno con 300.000 il mese può cavarsela con 10 o 15.000 lire di quota?”)
GCR Bollettino Interno n 9 cit.
[38]
La TMR si trasformerà in Frazione nel novembre del 1974 vedi GCR Bollettino
interno n 36 (1974) [Archivio Gambino-Verdoja].
[39]
GCR Bollettino Interno n. 18 Tendenza Marxista Rivoluzionaria “Per la
costruzione del partito rivoluzionario(parte II)” (ottobre 1973) .
[41]
GCR Bollettino Interno n .18 ottobre 1973 “Per la costruzione del partito
rivoluzionario (Parte I)” p. 40-41.
[42]
GCR Bollettino Interno n.18 doc. cit. p. 41
[43]
Vito Bisceglie, leader operaio alla Nebiolo di Torino, entra nel CC della
FIOM nel 1970. Licenziato nel 1972 a seguito di una lotta particolarmente
dura in fabbrica viene assunto come funzionario sindacale per seguire il
lavoro del C.d.F. della Fiat Ferriere. La Quarta Internazionale
valutata la incompatibilità di simile attività con la militanza
rivoluzionaria gli concede sei mesi per trovarsi un’altra attività
lavorativa. Dopo aver rifiutato il diktat, Bisceglie viene infine
espulso dai GCR nel 1974 dando vita con una decina di altri militanti al
Gruppo Rivoluzione Permanente di Torino. La FMR considererà questa
espulsione come un sopruso vòlto a mettere in silenzio l’opposizione
interna. Per una ricostruzione di questi avvenimenti vedi Intervista
dell’autore a Vito Risceglie, citata.
[44]
Vedi il paragrafo dedicato a questo gruppo nel capitolo 6 di questo volume.
[45]
Bandiera Rossa n 15 del 25 novembre 1973 “Lotte operaie e
studentesche nella risoluzione della conferenza nazionale dei GCR”.
[46]
Quarta Internazionale n 10-11 Novembre 1973 Risoluzione del
Segretariato Unificato della Quarta Internazionale “Gli insegnamenti della
tragedia cilena”.
[47]
Quarta Internazionale n. 10-11 novembre 1973 “Gli insegnamenti
della tragedia cilena”. Risoluzione del S.U. della Quarta Internazionale.
[48]
Bandiera Rossa n .9 del 10 ottobre 1973 “Cile: ancora una lezione
drammatica”.
[49]
E. Berlinguer “Riflessioni dopo i fatti del Cile” articoli pubblicati su
Rinascita n 38-39-40 del 1973 ora in AA.VV “I comunisti italiani e il
Cile” p. 19-20 (Roma, 1973).
[50]
E. Berlinguer , ibidem p. 36.
[51]
Bandiera Rossa n. 14 1 novembre 1973 L. Maitan “La logica di
Berlinguer”.
[52]
Bandiera Rossa, ibidem.
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