Ultimo Aggiornamento : 22-07-2003 : Last Release
Nei segni che confondono la borghesia, la nobilità e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione! - KARL MARX -
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CAPITOLO 3 

1970-1973: LA RIPRESA DEI GCR TRA STATUTO DEI LAVORATORI E STRATEGIA DEL COMPROMESSO STORICO

 

“Vogliamo tutto. Tutta la ricchezza, tutto il potere e niente lavoro. Cosa c’entriamo noi col lavoro.” (Nanni Balestrini).

 

 

Gli anni che vanno dal il 1970 al 1973 sembrano segnare l’accelerazione del declino statunitense sul piano internazionale. A partire dal 1969 il presidente Nixon incomincia un graduale disimpegno dal conflitto del Vietnam che si va trasformando in un disastro e durante il ferragosto del 1971 è costretto a sganciare il dollaro dall’oro, tassello fondamentale, fino ad allora dell’impetuosa crescita del commercio internazionale del secondo dopoguerra. La crisi petrolifera è il campanello di allarme che insieme alla crisi generalizzata dell’economia internazionale del 1974-’75, alla fine del lungo boom posto bellico e ricaccia l’economia internazionale sulle montagne russe del normali cicli boom-recessione. L’11 settembre 1973 viene rovesciato il governo di Salvador Allende da un golper organizzato dal Generale Pinochet, in cui la CIA gioca un ruolo determinante, mentre la guerra del Kippur si risolve sostanzialmente in un nulla di fatto.

In Italia la situazione permane confusa. L’ondata del ’68-’69 si riversa in tutti i primi anni ’70. Appunto nel 1970 vengono sancite anche in Parlamento le conquiste degli anni precedenti con l’introduzione dello Statuto dei Lavoratori e i sindacati conoscono un rafforzamento delle loro strutture e della loro capacità rivendicativa (il cui culmine sarà toccato nel 1973 con il rinnovo dei contratti dei metalmeccanici). Nello stesso tempo le formazioni di estrema sinistra si stabilizzano organizzativamente ed ideologicamente divenendo dei piccoli apparati sempre più attenti alla politica istituzionale e ai rapporti con le forze del movimento operaio tradizionale  (con eccezion fatta per Potere Operaio che trasmuta in gran parte nella Autonomia Operaia Organizzata). Ma è proprio il PCI a capitalizzare elettoralmente, e pian piano recuperare anche dal punto di vista organizzativo, il movimento che ora si espande in tutta la società coinvolgendo i quartieri periferici, gli ospedali psichiatrici, le carceri e le scuole medie.

In un quadro politico bloccato dalla centralità della DC e la polarizzazione a sinistra verso il PCI, che rimane pur sempre un partito legato a doppio filo alle sorti dell’alleanza con il Blocco Orientale e quindi destinato a restare fuori dal governo malgrado l’inaugurazione della strategia del “compromesso storico” da parte della segreteria Berlinguer, è naturale che si innestino situazioni laceranti come la rivolta di Reggio Calabria, il tentativo di golpe del Principe Jr. Valerio Borghese,  le bombe sui treni e nelle piazze, l’ascesa del neofascismo di Almirante che dietro gli slogan di “legge e ordine” nasconde l’insicurezza di una piccola borghesia impaurita dall’ascesa dei movimenti sociali.

In un tale quadro i governi di centro-sinistra appaiono sempre più sbiaditi e in crisi (ben 5 governi si alternano tra il 1969 e il 1971) mentre la politica degli industriali punta verso il disimpegno dagli investimenti e la fuga dei capitali.

Nel 1973 in un quadro già sconvolto dalla crisi petrolifera le autorità monetarie puntano sulla politica della svalutazione della lira.

 

Le importazioni, pertanto, vennero a costare molto di più, proprio nel momento in cui il prezzo delle materie prime (e del petrolio in particolare) stava aumentando assai rapidamente. Come ha scritto Gaetano Rasi: “La svalutazione della lira appare ancora oggi essere stata non solo una scelta sbagliata. La maggior gravità per l’Italia della recessione del 1974-’75 rispetto a tutti gli altri paesi occidentali, ha senza dubbio questa causa dominante”[1].

 

Una nuova generazione di quadri alla direzione dei GCR

 

Le scissioni del ’68 avevano decapitato il CC dei GCR. Nei primi anni ’70 la ripresa dei GCR, favorita dal grande afflusso di nuovi militanti verso tutta la sinistra extraparlamentare che continua cospicuo fino alla metà del decennio, viene assicurata da una nuova leva di quadri e di dirigenti. Accanto a Maitan, Paolicchi, Pellegrini, Savelli e Di Giuliomaria che sono già stati figure preminenti del gruppo dirigente dei GCR nella fase entrista, nei primi anni ’70, assumono un ruolo di primo piano militanti come Antonio Moscato, Franco Turigliatto, Lidia Cirillo, Luigi Malabarba, Vito Bisceglie, Rocco Papandrea, Roberto Massari, Elettra Deiana, Antonio Caronia, Roberto Firenze.

Il lavoro operaio diviene la priorità fondamentale dei GCR che investono gran parte delle loro limitate forze ed energie in un estenuante lavoro di propaganda davanti ai cancelli delle fabbriche. Solo dopo qualche anno i GCR potranno contare su un’esile struttura nazionale di quadri operai[2]. Tuttavia la maggior parte del reclutamento continua ad avvenire nella gioventù.

I nuovi militanti dei GCR, pur sentendosi parte di una tradizione che proviene direttamente dalla battaglia della opposizione di sinistra sussa, sono parte integrante “del movimento” di cui sono permeabili alle sue subculture, ai suoi riti e comportamenti. Per tutto un periodo un senso di appartenenza “all’area della contestazione” permeò tutti gli aspetti della vita dei militanti, dei simpatizzanti e anche dei “cani sciolti” del “movimento”. Ne venne fuori un ameno prototipo del “compagno” ad uso e consumo dei mass-media che si distingueva per capelli lunghi, jeans sdruciti, scarpe modello clarks e camicie coreane, che ascoltava la musica rock e  i cantautori impegnati, leggeva Linus, ecc.. Un esemplificazione della permeabilità dei GCR alle subculture del “movimento” è quello del consumo di droghe leggere. Come molte altre organizzazioni extraparlamentari, il gruppo dirigente dei GCR considerava allora fumare “erba” in contrasto con una milizia rivoluzionaria sia per ragioni etico-morali che di sicurezza. Malgrado ciò l’ambiente sociale in cui gli aderenti venivano reclutati imponeva una certa elasticità, l’abbandonare i canoni su cui si era basata la stessa militanza negli anni ’60. Antonio Caronia “rivoluzionario di professione” dei GCR nei primi anni settanta a Torino, ricorda che 

 

(...) sicuramente nelle riunioni dei militanti e dei simpatizzanti dei collettivi studenteschi si fumavano le ‘canne’ e noi lo sapevamo, ed eravamo molto tolleranti verso questa cosa. Non gli abbiamo mai dato eccessiva importanza. Da una parte volevamo costruire un partito rivoluzionario e quindi miravamo ad avere certi canoni di militanza, dall’altra l’area sociale in cui ci muovevamo era un certo tipo di gioventù[3].

 

I GCR vedono la  possibilità stessa di crescita della propria organizzazione intimamente legata  alla crescita del movimento stesso e la chiarificazione progressiva tra le varie tendenze presenti. In tal modo i trotskisti italiani perdono di vista quella politica dell’attenzione verso il PCI e quindi un certo equilibrio  nelle previsioni delle tendenze politiche. L’aggancio sempre più sistematico al “carrozzone gauchiste” è anche il prodotto dei nuovi orientamenti del S.U. della Quarta Internazionale. L’orientamento verso “la nuova avanguardia con influenza di massa” deciso al IX Congresso Mondiale, in Italia, non è niente altro che la polarizzazione del lavoro di costruzione dell’organizzazione in direzione del variegato mondo dell’estrema sinistra con particolare predilezione prima per il Manifesto con cui si riscontrano molte affinità sul terreno della battaglia sindacale e poi, verso la metà degli anni ’70, per Lotta Continua.

Nel 1970 la pubblicazione del mensile Bandiera Rossa torna a essere regolare. In questo periodo il giornale dimostra una maggiore internità degli avvenimenti in corso cercando anche di fornire spezzoni di linea politica. La polemica con le altre organizzazioni a sinistra del PCI non si presenta mai come ideologica, ma in relazione ai metodi di organizzazione e di lotte dei movimenti. In un documento degli Studenti Comunisti Rivoluzionari militanti della Quarta Internazionale, per esempio si critica l’atteggiamento del gruppo dirigente del Movimento Studentesco della Statale di Milano che intende

 

(...) imporre come base unitaria l’accettazione del Marxismo-Leninismo pensiero di Mao-Tse-Tung (...) Ciò significa che si subordina l’unità all’accettazione di una concezione politica e teoria d’insieme”.[4]

 

Vale la pena di ricordare come l’organizzazione di Capanna pur considerandosi “movimento di massa” giocava in molti casi per sua scelta un ruolo da partito. L’imposizione dell’ideologia maoista per gli studenti della “Quarta”

 

dovrebbe portare all’esclusione dal movimento studentesco di tutti coloro che non accettano Marxismo-Leninismo pensiero di Mao-Tse-Tung o perché aderiscono ad altre concezioni teoriche o perché pensano come noi che tra marxismo-leninismo e maoismo non ci sia affatto un identità (...)

Ciò deve soprattutto indurre ad affermare la validità del metodo usato nelle grandi manifestazioni milanesi anche sul terreno delle lotte operaie: si devono in ciascun contesto concreto cogliere gli obbiettivi e i contenuti unificanti - e tali da stimolare una dinamica anticapitalistica e antiburocratica - e  su questa base ricercare le convergenze più ampie, indipendentemente dall’appartenenza a questo o  quel partito e gruppo o a quel sindacato.[5]

 

Questa nuova versione della concezione del fronte unico (la versione del fronte unico di Trotsky negli anni ’30 aveva un carattere prevalentemente difensivo) fa, in parte, di necessità virtù. Il movimento infatti, in larga parte, è permeato dal maoismo e tardo-terzointernazionaliste, e questo condanna spesso i militanti trotskisti alla emarginazione e all’ostracismo. Nel documento congressuale di quello stesso anno[6] si afferma che “le masse studentesche devono essere ormai considerate come una delle componenti dello schieramento rivoluzionario contro il sistema capitalistico (...)” e il movimento studentesco “deve essere un movimento politico e non prevalentemente sindacale (...) ma allo stesso tempo non deve divenire “arena di scontro di opposti gruppi e di opposte sette (...)”.

Negli anni seguenti anche i GCR si doteranno di una “cinghia di trasmissione” del lavoro studentesco, i Collettivi Soviet, che opereranno fino alla metà degli anni ’70.

 

I GCR nel ’70

 

Dal 19 al 22 marzo 1970 si tiene la XV Conferenza Nazionale dei GCR a cui partecipano “delegati da una quindicina di città”[7].

Il progetto di risoluzione non si discosta dai nuovi orientamenti dei GCR assunti dopo la crisi del ’68: il movimento del ’68-’69 viene caratterizzato come pre-rivoluzionario. anche se tarpato dalla debolezza del “fattore soggettivo”. Tale limite, tale vuoto di soggettività rivoluzionaria, per i GCR sarebbe stato riempito

 

dall’azione riformistica dei sindacati che, al di là della loro funzione tradizionale, hanno teso sempre di più ad esercitare anche la funzione più propriamente politica del partito d’opposizione (...)[8].

 

Nel documento viene inoltre data  sistemazione alla riflessione sulla “strategia della tensione” e la susseguente repressione contro l’estrema sinistra che viene inquadrata come contrattacco della borghesia per suscitare un riflesso conservatore nella piccola borghesia e  incoraggiare azioni squadristiche. Malgrado ciò

 

(...) l’ipotesi di nuove esperienze totalitarie e di colpi di stato militari continua ad essere esclusa dai settori decisivi della classe dominante, che hanno sufficiente lucidità per comprendere che non esistono le condizioni per il successo di simili tentativi[9]

 

L’impostazione della seconda parte del documento dedicata “ai bilanci e alle prospettive dell’organizzazione” viene considerata inadeguata da L. Villone (che scomparirà nell’autunno) per quanto riguarda il giudizio sul movimento studentesco e il bilancio dell’entrismo. Una linea alternativa complessiva a quella adottata dai GCR, viene indicata da una parte del gruppo di Genova guidato da Franco Grisolia (l’altra, legata alla maggioranza dell’organizzazione è capeggiata da ntonio. Caronia) che presenta un documento alternativo. Proprio Grisolia che di lì a pochi mesi uscirà dai GCR per formare il primo gruppo lambertista italiano[10], ricorda così la Conferenza:

 

Nel marzo del 1970 l’organizzazione ha circa 120 militanti. Per il Congresso vengono eletti una quarantina di delegati. All’opposizione siamo a sinistra noi di Genova che avevamo sviluppato tutta una serie di critiche sia sulla costruzione del partito che su alcune questioni internazionali, e nei fatti a destra Villone (anche se l’origine è nobile) e altri due compagni di Napoli. Villone è contro il movimentismo, contro l’inserimento nel movimento studentesco: un atteggiamento un po’ da professore[11].

 

Nella seconda metà del 1970 la Campagna “Contro la strage di Stato” e il caso Pinelli, sponsorizzata da Lotta Continua e il volumetto “La strage di Stato” (edito da Savelli e che sarà uno dei best seller di quell’anno), si allarga a macchia d’olio.

La manifestazione dell’estrema sinistra a Milano a un anno dalla strage di Piazza Fontana è imponente, ma nel frattempo anche numerosi giornalisti democratici di fama, uno per tutti Camilla Cederna, sono scesi in campo per fare luce sulle trame che collegano lo stato, i servizi segreti, alle provocazioni terroriste e ai gruppi dell’estrema destra.

E. Pellegrini recensendo su Bandiera Rossa proprio il volume sopracitato afferma che

 

la vicenda di Milano e Roma dimostra che non si aspetta la vittoria elettorale “rossa” per intervenire. Si interviene molto più brutalmente e il meccanismo complessivo dello stato borghese non ha il coraggio di andare fino in fondo, di scavare nelle contraddizioni, di dimostrare che può permettersi di  tagliare le sue frange fasciste[12].

 

Tracciando un bilancio del ’70 l’editoriale non firmato di Bandiera Rossa afferma che la marea del ’68 è cresciuta ancora anche se ha conosciuto proprio durante l’anno in corso battute d’arresto e contraddizioni. Il limite principale continua a consistere in una

 

sinistra extraparlamentare [che] è troppo divisa e povera di programmi e di strumenti (...) per poter svolgere il ruolo a cui il PCI ha da decenni rinunciato. Allora i vuoti possono essere riempiti dalla destra. E proprio vicende come quelle di Reggio Calabria lo hanno dimostrato (...)[13].

 

Le stesse barricate dei Boia chi molla  nelle settimane e cavallo tra il ’70 e il ’71, una sorta di jaquerie meridionalista gestita dal MSI in nome di “Reggio capoluogo”, vengono inquadrate dai GCR in un quadro più vasto caratterizzato da una sostanziale tenuta dei rapporti di forza tra le classi, che stanno lentamente evolvendo a favore della classe operaia.

 

I GCR nel ’71

 

Nella primavera del 1971 viene varata la nuova serie della rivista bimestrale Quarta Internazionale che aveva conosciuto già una prima serie durante il ’68 con l’uscita di quattro fascicoli. La nuova rivista assolve a una funzione di orientamento sugli avvenimenti internazionali davvero rara se comparata al pressappochismo e alla disinvoltura teorica dell’estrema sinistra italiana. Vengono tradotti gli articoli sul ciclo economico di Ernest Mandel e le corrispondenze delle varie sezioni della “Quarta” dai diversi angoli del globo mentre allo stesso tempo viene dedicata una riflessione più ampia sulla situazione politica italiana che trovava poco spazio sulle colonne di Bandiera Rossa. Quarta Internazionale verrà pubblicato fino alla metà degli anni ’70.

E’ proprio sulle pagine di Quarta Internazionale che il pubblico della sinistra italiana può venire a conoscenza delle imprese del PRT-ERP (Partido Revolucionario de los Trabajadores-Ejercito Revolucionario del Pueblo), sezione argentina del S.U. della IV Internazionale. Il S.U. ha approvato la svolta verso la guerriglia in America Latina nel ’69 e ora dalle parole si sta passando ai fatti. Vengono così pubblicate le risoluzioni della organizzazione di Santucho e articoli da El Combatiente in cui si può leggere che:

 

(...) la reale motivazione della propaganda armata rispetto alle masse è di provocare la loro mobilitazione, trasformandole da spettatrici in agenti della guerra rivoluzionaria (...) L’esercito del popolo deve combattere ovunque sia il proletariato, trasformandosi nel difensore dei suoi interessi, e deve essere appoggiato dalle masse stesse. Per questa guerra sono necessarie cellule forti, addestrare per combattere con le armi sottratte al nemico, affrontandolo direttamente in battaglia o in imboscate urbane rurali.

E’ però imprescindibile anche il ruolo che il popolo può svolgere lottando con i mezzi più rudimentali, con le molotov con tutti i sistemi usati dai nostri antenati per scacciare gli spagnoli, rispondendo alla violenza del nemico, colpendolo nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nelle scuole e nelle università (...)”[14]

 

Negli anni seguenti l’attività del PRT-ERP si svilupperà con una escalation di attentati, rapimenti, assalti alle carceri, sempre seguiti con entusiasmo dalla pubblicistica dei GCR.

Nel 1971, ancor prima che si apra il dibattito precongressuale per la XVI Conferenza Nazionale, che si tiene alla fine dell’anno, si viene formando una sorta di tendenza critica informale animata da Savelli, Di Giuliomaria, Fabrizio Barbaranelli e qualche altro membro della sede romana. Il documento redatto dal gruppo, titolato “Una rettifica necessaria”[15], intende criticare la linea politica con cui si sta tentando di ricostruire i GCR. La nuova direzione nazionale viene messa sotto accusa da un lato per la sua incapacità a rapportarsi con il movimento di lotta, e dall’altro, per il suo codismo nei confronti dell’establishement della sinistra extraparlamentare. A distanza di due decenni, G. Savelli, nel già citato saggio autobiografico contenuto nel volume “Riforme e Libertà”, tornando ai giorni di  quella battaglia politica, non nasconde una palese disistima per i militanti dei GCR definiti “di qualità modesta” e “scadente” attratti dalla carriera in una gerarchia di un “partito inesistente”. Di rimando, già allora, nelle risposte polemiche al documento dei “romani”, di Pellegrini e Massari [16] si palesa un rigetto, non tanto delle tesi espresse nel documento “di opposizione”, quanto delle ragioni intrinsecamente personalistiche che lo hanno mosso. Savelli & C. vengono accusati di essere stati ai margini del processo di ricostruzione e di volere ritagliarsi uno spazio politico a tutti costi malgrado la loro passività politica.

Comunque “Una rettifica necessaria”, è per molti versi un documento interessante. Nel documento si distingue la battaglia “per l’egemonia all’interno della estrema sinistra” (che resta imprescindibile per i GCR) dalla necessità di “tenere conto degli effettivi rapporti di forza presenti nella società”. In questo contesto

 

Le forze sociali decisive (...) continuano a muoversi sotto l’influenza determinante delle organizzazioni tradizionali, anche se il tipo di rapporto tra queste ultime  e le prime è passato dalla completa fiducia all’appoggio non scevro da critiche (...)[17]

 

Il possibile inserimento del PCI all’interno di una “strategia riformista del grande capitale” viene impedito dalla collocazione internazionale del partito di Longo mentre allo stesso tempo si mette in risalto tutto il campionario delle banalità e del violentismo verbale dei “gruppi”. Tali limiti “soggettivi”, “l’inconcludenza dei gruppetti - prevedono gli estensori del documento - alla lunga porterà  al riflusso anche dell’estrema sinistra, verso posizioni di demoralizzazione dei militanti  e verso un rientro nelle organizzazioni tradizionali: se non saremo stati in grado di delimitarci nettamente nei confronti dell’estremismo, finiremo per essere travolti dal riflusso assieme alla maggioranza dei ‘gruppetti’”[18].

Per Savelli il limite maggiore dei trotskisti italiani resta “l’adattamento all’ambiente in cui opera” che al presente si concretizza nel codismo nei confronti dell’estremismo mentre alla metà degli anni ’60 si era cristallizzato nel subire l’“entrismo di ritorno” dei vari Illuminati, Di Toro e Marconi[19]. La “preveggenza” del gruppo dei romani però si combina a un movimentismo disinvolto che porta alla pubblicazione nel 1972 della rivista Soviet[20], assieme al gruppo capitolino dei Nuclei Comunisti Rivoluzionari di P. F. D’Arcais che produrrà un confuso tentativo di commistione tra trotskismo e maoismo.

La Conferenza Nazionale annuale dei GCR (la XVI)  si tiene il 26, 27 e 28 novembre. Viene registrata una certa crescita dell’organizzazione anche se limitata rispetto a quella delle principali organizzazioni extraparlamentari. Durante gli stessi giorni, nell’ambito della Conferenza, in un cinema di Torino si tiene una manifestazione pubblica propagandistica, in cui intervengono uno dei principali dirigenti operai dei GCR, Vito Bisceglie, e per l’Internazionale Alain Krivine, Roger Horowitz del SWP (US) e Livio Maitan e a cui partecipano circa 500 persone[21].

Il documento approvato dalla Conferenza si incentra sulla situazione politica italiana di cui si rileva l’instabilità e la precarietà rese più accentuate dalla recessione più grave che si sia mai verificata  nel periodo post-bellico. Tale recessione viene acutizzata da fattori internazionali come l’aumento della concorrenza internazionale, la crisi monetaria e i fenomeni di sincronizzazione ma è resa particolarmente gravi da fattori interni:

 

Gli elementi congiunturali (...) sono aggravati dalla vischiosità dei prezzi verso il basso propria delle strutture monopolistiche, dalla non diminuita incidenza delle posizioni di rendita (che hanno una parte rilevante nella crisi della edilizia), dalla non modernizzazione delle strutture agricole e dal gravare sui costi di distribuzione e dei servizi di strutture arretrate e parassitarie (...)[22].

 

Si sancisce quindi il fallimento del centro-sinistra, il quale avrebbe dovuto operare proprio nella direzione del superamento degli squilibri del sistema capitalistico italiano. I GCR sottolineano come il fallimento della ipotesi riformista e l’instabilità politica che porta alle continue formazioni di nuovi gabinetti sempre più deboli e di corto respiro sia anche il prodotto della ripresa di combattività operaia dopo il ’68.

 Per quanto riguarda lo stato della sinistra il documento congressuale dedica minor spazio alle forze della sinistra tradizionale. E’ sintomatico di un cambiamento di linea politica, di riferimenti culturali e di prospettive che stanno attraversando i GCR. La formazione del Partito rivoluzionario viene ora vista come un processo per tappe  in cui in una prima fase avverrà la selezione il raggruppamento del meglio dell’area gauchiste e una seconda fase più avanzata in cui i rivoluzionari si porranno il problema  di contendere al PCI la direzione del movimento operaio.

 

L’evoluzione della politica italiana nel 1972 e le scelte dei GCR

 

 L’inizio del 1972 regala la certezza delle prime elezioni anticipate del dopoguerra. La rottura nel centro-sinistra trova un pretesto nelle elezioni a Presidente della Repubblica di Giovanni Leone grazie ai voti determinanti del MSI. Poco prima dell’inizio della campagna elettorale si tiene nel marzo il Congresso del PCI che vede il cambio della guardia alla segreteria di Luigi Longo con Enrico Berlinguer. Enrico Berlinguer in breve tempo darà un forte impulso al PCI attraverso una nuova strategia politica spesso accompagnata da un uso spregiudicato, ma anche benevolente, dei mass-media.

Proprio sul piano elettorale avviene quell’anno un cambiamento di orientamento dei GCR. L’indicazione ritualistica che dal dopoguerra si è indirizzato verso i candidati del PCI “non burocratizzati”  si trasforma ora in sostegno convinto alle liste del Manifesto alla Camera mentre viene riconfermato il sostegno al Senato per PCI e PSIUP.

Pur riaffermando che la critica del parlamentarismo e dell’elettoralismo rimane patrimonio dei rivoluzionari il Comitato Centrale dei GCR afferma che

 

L’elemento nuovo della situazione consiste nel fatto che sono emerse forze consistenti che hanno rotto con il riformismo (...) La IV Internazionale non ha mai taciuto né intende tacere ora le profonde divergenze che la dividono dal Manifesto. E’ convinta che il partito rivoluzionario non potrà sorgere  dalle concezioni teoriche, politiche e organizzative del Manifesto. Questo non ci impedisce di comprendere e appoggiare il significato del manifesto che tutta la sinistra rivoluzionaria ha l’interesse ad appoggiare. L’inclusione di Valpreda come candidato, che si riallaccia a una lunga tradizione del movimento operaio, va d’altra parte nel senso di favorire una convergenza unitaria. (...)[23].

 

Pellegrini in articolo titolato “Tre punti per una campagna elettorale dei rivoluzionari” indica le coordinate su cui si muoverà la campagna elettorale dei GCR: la denuncia dello stato borghese e della sua funzione (agganciata a un rinnovato protagonismo di massa), la battaglia per la scala mobile e la ripresa della mobilitazione per il Vietnam[24].

Il rinnovato impegno dei GCR nella campagna elettorale non è comunque quelli che lasciano il segno. La campagna dei trotskisti si riduce a qualche volantinaggio, alla vendita di un opuscolo, e solo  in alcuni casi anche a iniziative comuni con il Manifesto, come quella che si tiene a Piacenza, con la presenza di Luciana Castellina, Silvio Paolicchi e che vede la partecipazione di 200 persone[25]. Tuttavia la campagna elettorale conferma l’estensione sempre più nazionale raggiunta dai GCR[26].

 

La campagna elettorale è turbata prima dal ritrovamento del corpo senza vita di Giangiacomo Feltrinelli vicino a un traliccio a Segrate e poi dalla morte del giovane anarchico Franco Serantini per le percosse subite dagli agenti di P.S. durante violentissimi scontri promossi da Lotta Continua, che intendeva impedire un comizio elettorale missino a Pisa.

I risultati della estrema sinistra di quella tornata sono, vista la sostanziale tenuta del PCI e del PSI e il crollo verticale del PSIUP, negativi. Il Manifesto, malgrado la presenza di Valpreda si attesta allo 0,7% su scala nazionale senza riuscire a far scattare il quorum in nessuna circoscrizione, mentre Il Partito Comunista (Marxista-Leninista) già UCI di A. Brandirali raccoglie 85.000 voti pari allo 0,2%.

L’analisi svolta da Maitan nel CC di una settimana dopo le elezioni, deve fare i conti con lo spostamento della piccola-borghesia in senso conservatrice con l’aumento del voto fascista anche se la borghesia non sembra aver raggiunto i propri scopi di spostamento in senso centrista della coalizione uscita dalle elezione che resta tendenzialmente di centro-sinistra. L’insuccesso del Manifesto viene attribuito in parte al limite di ventuno anni per il diritto di voto (verrà portato a diciotto anni nelle successive elezioni del 1976) ma anche alla tendenza delle larghe masse a sostenere i partiti di sinistra più consistenti e alla mancata formazione di liste unitarie della estrema sinistra. Nella politica di “fronte unico” che viene prospettata per il futuro, Maitan continua a guardare al gruppo della Rossanda.

 

Nella politica delle convergenze nella sinistra rivoluzionaria dobbiamo continuare a privilegiare il Manifesto. (...) Nella dialettica che è esistita ed esiste nel Manifesto abbiamo avuto e dobbiamo avere la possibilità di inserirci. Ciò non significa che escludiamo altre forze. (...) Crediamo che anche e soprattutto  nella campagna per i contratti nonostante tutto, coloro che hanno le posizioni meno distanti dalle nostre sono i compagni del Manifesto[27].

 

Subito dopo le elezioni il clima di grave tensione dell’ordine pubblico è alimentato ancora dall’omicidio del Commissario Calabresi. Il Commissario è sotto il torchio di una pesante campagna stampa di Lotta Continua che ha lo ha indicato come assassino, perlomeno morale, di Pinelli.

I GCR escono con un comunicato nazionale lo stesso giorno dell’attentato in cui si evidenzia l’inutilità di tale azione terroristica che favorisce i disegni repressivi con il movimento di lotta, arrivando persino a adombrare una possibile matrice di destra dell’azione. Susseguentemente in un articolo di E. Pellegrini dedicato alle reazioni post-attentato vengono attaccate le posizioni “avventuriste” di LC che hanno “riconosciuto nell’attentato un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia” .

 

Con dichiarazioni avventate, con fughe in avanti verbali, si favoriscono a un tempo la repressione borghese e l’isolamento della sinistra. Se questo è il prezzo che i compagni di Potere Operaio e Lotta Continua sono disposti a pagare, pur di mantenere una (non si sa poi quale) purezza al limite potremmo dire: fatti loro, lo paghino! Ma, non è così; sono anche fatti nostri, sono fatti che interessano tutto il movimento e che sono destinati a incidere sulla bilancia del gioco politico complessivo. (...)[28]

 

1973: Il “giro di boa” dei contratti

 

Se la radicalità espressa nelle lotte per il rinnovo dei contratti nel 1969 resterà il picco di una lunga fase di estesa mobilitazione operaia ancora nel ’72-’73 comunque si registra una fortissima conflittualità di classe per nulla attutita dalla recessione incipiente. In realtà con il rinnovo dei contratti dei metalmeccanici del 1973 si chiude il ciclo di lotte apertosi nel 1968[29]. Il movimento di lotta sui contratti che si sviluppa a cavallo tra il ’72-’73 infatti è maggiormente legato alla dinamica sindacale e i consigli dei delegati giocano un ruolo preponderante nell’organizzazione e nella mobilitazione dei lavoratori. Di ciò si rendono presto conto anche le formazioni a sinistra del PCI, costrette a dialogare con tali organismi; di fatto un ruolo significativo verrà giocato da LC e dai collettivi autonomi solo nell’occupazione di Mirafiori proprio alla fine della vertenza.

I GCR hanno ora aperto un intervento politico alla FIAT  e in altre importanti fabbriche del paese e possono formulare sulla piattaforma proposte meno astratte. Seguendo la falsariga del programma transitorio propongono come obiettivi la riduzione dell’orario settimanale a 36 ore a parità di salario, l’eliminazione degli straordinari, l’eliminazione dei residui di cottimo, la scala mobile dei salari sotto controllo operaio, il salario minimo garantito e l’inquadramento unico[30].

Dopo che i primi tre mesi del ’73 vedono una importante ripresa dell’attività sindacale, si arriva a marzo alla firma del contratto dei metalmeccanici con la conquista dell’inquadramento unico tra operai e impiegati, la riduzione del differenziale salariale e l’attivazione dei corsi delle 150 ore.

Commentando la chiusura del contratto[31], Antonio Moscato, paradossalmente intravede un indebolimento dei sindacati  (e nel contempo un aumento di consistenza nella sinistra extraparlamentare) proprio quando questi stanno recuperando terreno e controllo nelle fabbriche. Moscato intuisce il cul de sac in cui si è cacciata la politica estremista della “lotta contro i contratti” ma non il declino politico della estrema sinistra (che non è ancora tuttavia declino organizzativo). In un altra situazione[32], Eugenio Preo traendo un bilancio di 5 anni di lotte dei lavoratori afferma che esse “non sono state corporative”, che hanno espresso una “diffusa coscienza anticapitalistica”, ma la mancanza di uno sbocco politico ancorché rivoluzionario ha consentito un recupero parziale della borghesia.

 

Dopo anni di lotte  anche durissime, infatti, gli operai si ritrovano nel ’73 circondati dalle stesse macchine che c’erano nel ’67, usano gli stesi metodi di lavoro, hanno gli stessi capi e devono difendere quotidianamente con la lotta ciò che hanno conquistato (tempi di lavoro più lunghi, rapporti di minor subordinazione rispetto ai capi, ecc.) E’ questa situazione che (...) ha anche a tratti fatto emergere una sensazione di frustrazione, ha dato persino spazio alla demagogia della destra che cerca di screditare gli scioperi (...)[33].

 

La manifestazione del 13 maggio 1973 a Milano a sostegno della lotta del popolo vietnamita si svolge nel momento di maggiore espansione e visibilità politica dei GCR in tutti gli anni ’70, e probabilmente anche il picco dello sviluppo organizzativo. Il corteo, egemonizzato dall’estrema sinistra, a cui aderiscono però numerose strutture sindacali e le ACLI vede la presenza di oltre trentamila persone. Nello spezzone della Quarta Internazionale (che verrà aggredito al Vigorelli dai militanti del PC (m-l)) oltre alle delegazioni di militanti di trotskisti provenienti dalla Francia, Spagna, Germania, Svizzera c’è un quadrato di corteo italiano di qualche centinaio di persone. Il giorno dopo la Quarta Internazionale organizza una manifestazione nel cinema milanese “Argentina” a cui partecipano oltre mille persone.

I problemi della crescita di una organizzazione, che pur rimanendo estremamente debole rispetto ai principali gruppi dell’estrema sinistra ha ormai un radicamento nazionale e qualche centinaio di militanti[34], vengono riassunti in un documento organizzativo presentato da A. Moscato:

 

Da tempo la nostra organizzazione risente di un disagio crescente: in misura sempre maggiore i compagni sentono la contraddizione stridente tra quelle che sono le necessità oggettive di una situazione che continua a offrire spazi per iniziative rivoluzionarie, da un lato, e quelle che sono ancora oggi le nostre possibilità, dall’altro[35].

Per  tutta la prima fase della ricostruzione i compagni che hanno raggiunto le nostre fila sapevano di entrare in una debolissima organizzazione che spesso non poteva far altro che ‘testimoniare’, proporre un’analisi rigorosamente marxista che i fatti avrebbero puntualmente confermato, ma che pochi avrebbero conosciuto e preso in considerazione. (...) Molti compagni, specialmente i primi operai conquistati nel ’69-’70 avevano aderito ai GCR perché era l’unico gruppo che non si era fatto ubriacare dallo spontaneismo antisindacale ed economicista del ’69 e non era rifluito a destra al momento delle prime sconfitte (...)[36].

 

Da questo punto di vista l’opposizione interna romana Barbaranelli-Di Giuliomaria-Savelli, dietro le teorizzazioni pessimistiche nascondeva il disimpegno personale di questi militanti dal lavoro di costruzione (di lì a qualche anno tutto questo gruppo abbandonerà i GCR e quindi il marxismo)[37].

Per quanto riguarda i rapporti con le altre organizzazioni di estrema sinistra Moscato svolge una certa autocritica sulle illusioni dei GCR riguardo alla possibilità di evoluzione verso il leninismo nel Manifesto. I GCR avevano scambiato l’abbandono dell’estremismo da parte del gruppo del Manifesto per un avvicinamento al marxismo rivoluzionario.

 

Tuttavia proprio mentre  i GCR pensano di poter fare un salto di qualità nella crescita numerica della loro organizzazione, le fratture e le divisioni interne tornano a fare capolino.

Nella XVII Conferenza Nazionale dei GCR tenutasi nel novembre del 1973 si viene agglutinando una opposizione interna, la Tendenza Marxista Rivoluzionaria[38] (TMR), guidata da Roberto Massari, Antonella Marazzi e Vito Bisceglie (e a cui aderivano molti dei giovani della sede romana tra cui per esempio Massimo Bordin oggi di Radio Radicale).

 Questa opposizione redige immediatamente due voluminosi documenti critici che affondano, le loro radici nella battaglia ingaggiata a livello internazionale dalla TLT-FLT. Il documento critica la concezione  della “nuova avanguardia con influenza di massa” del S.U.. Per Massari sarebbe “gravissimo” confondere la radicalizzazione crescente delle masse con le vicende della estrema sinistra. I “gruppi” invece devono essere considerati come “degli avversari politici veri e propri che sono riusciti a conquistare determinate posizioni nel movimento di massa”[39].

La TMR contrappone alla visione di una costruzione del partito per tappe, la visione di un partito che sappia sin da subito “impegnarsi direttamente nel movimento di massa, anche per vincere (...)”[40].

In questi documenti vengono definiti gli assi di lavoro su cui i GCR dovrebbero muoversi prioritariamente: la battaglia per la costruzione di una tendenza sindacale antiburocratica (tutta una parte del documento è dedicata al processo di svecchiamento, rafforzamento e financo radicalizzazione del sindacato italiano nel quinquennio ’68-’73),  lo sviluppo del lavoro politico tra gli  studenti, l’intervento a sostegno del movimento della donna e contro le istituzioni totali e infine la lotta per l’applicazione del “centralismo democratico” nell’Internazionale ( contro i pericoli di scissione nello scontro che sta opponendo a livello internazionale la TMI alla FLT).

Una particolare enfasi critica viene data al disinteresse dei GCR verso la cultura, giustificato in nome della priorità operaia.

 

Il Festival del Cinema di Venezia o altre manifestazioni simili si sono ormai trasformate in scadenze annuali di una battaglia politica che vede sempre più chiaramente il mondo della cultura democratica e rivoluzionaria schierato contro lo stato borghese. Artisti, scrittori musicisti (...) lottano sempre più chiaramente e massicciamente contro l’ideologia consumistica, contro il mercato dell’arte, contro la Censura, contro l’influenza del Vaticano (...)”[41].

 

Per Massari & C.:

 

(...)  significa che nella fase più ricca di tale radicalizzazione noi ammettiamo la possibilità di essere assenti da un settore così cruciale. Eppure quando i GCR erano molto meno di oggi, in una situazione molto più dura e difficile (anni ’50 e ’60), Bandiera Rossa affrontava sistematicamente i temi della battaglia culturale. Non c’era film impegnato, romanzo o iniziativa culturale di un qualche rilievo per il movimento operaio che passasse inosservato (...)[42].

 

Il documento,  al di là del suo valore intrinseco, importa per la prima volta in Italia un dibattito e uno scontro internazionale. Prima di allora nessuno aveva sistematicamente attaccato le posizioni della Maggioranza Internazionale (TMI), senza rompere con essa. Ma il documento non solo accelera la sprovincializzazione del trotskismo italiano,  ma dimostra la capacità di alcuni quadri di abbozzare un programma che pur richiamandosi in generale all’opposizione interna al S.U. intende però plasmarlo sulla realtà italiana.

Nei mesi a venire lo scontro e la dialettica tra la maggioranza e la TMR-FMR diverrà sempre più vivace arrivando anche all’espulsione di alcuni militanti dell’opposizione interna. Il caso più clamoroso, quello di Vito Bisceglie[43], porterà alla nascita del Gruppo Rivoluzione Permanente di Torino.[44]

 Per quanto riguarda la risoluzione votata, la Conferenza ribadisce le linee interpretative sulla fase della lotta di classe via via elaborate dal ’68 in poi. Per quanto riguarda la questione della tendenza sindacale sollevata dal documento della TMR si afferma che essa “ non può essere il risultato di decisioni unilaterali o di proclamazioni astratte”[45] mentre vengono delineati gli assi su cui si dovrebbe muovere l’intervento tra gli studenti (e che gli varrà l’accusa della TMR di “sindacalismo studentesco”):

1. lotta contro la disoccupazione giovanile

2. lotta contro la selezione

3. lotta ai valori ideologici e ai contenuti culturali della borghesia

4. lotta per l’agibilità politica

5. lotta contro le carenze di infrastrutture scolastiche

6.      lotta contro i costi dello studio.

 

I GCR davanti alla tragedia cilena

 

Intanto nel settembre la crisi del Cile è precipitata. Dopo mesi di crisi istituzionale e sociale l’esercito del generale Pinochet ha rovesciato il governo di Unidad Popular. Il golpe è stato attuato in combutta tra i settori più reazionari della borghesia locale con la CIA. I partiti democratici sono messi fuori legge, decine di migliaia di militanti di sinistra vengono rapiti, assassinati, sono costretti all’esilio.

E’ una delle sconfitte più disastrose per il movimento operaio nella sua storia. L’emozione e la mobilitazione della sinistra italiana è estesa, sentita. Ma nel contempo in tutto il movimento internazionale è tempo di lezioni: perché un  movimento operaio così combattivo ha subíto una sconfitta così cruciale? Come vedremo è tanto più importante tale dibattito perché dagli avvenimenti del Cile il segretario del PCI Berlinguer trarrà delle lezioni “originali”.

I trotskisti delineano prima di tutta una contraddizione latente tra il progetto del governo “fronte-populista” e le aspettative e le dinamiche del movimento di massa:

 

Il programma di Unidad  Popular prospettava una azione riformatrice e modernizzatrice nel quadro del sistema capitalistico (...) Per questo erano incluse nella coalizione formazioni di origine borghese (...) Ma la vittoria elettorale e l’avvento di Allende alla presidenza venivano interpretate dalle larghe masse come una sconfitta di proporzioni storiche inflitta all’avversario. (...) ben presto si delineava la tendenza ad urtare contro il quadro del riformismo preconizzato da Allende (...) Così si giungeva progressivamente a una contrapposizione nitida delle forze antagoniste con l’oscillazione e divisione dei ceti piccolo-borghesi (...)[46].

 

Il S.U. sottolinea come

 

Gli avvenimenti cileni degli ultimi tre anni dimostrano quanto sia illusoria (…) la prospettiva di una fase democratica, antioligarchica e antimperialista in cui la borghesia o suoi settori settori importanti sarebbero interessati e alla cui realizzazione sarebbero interessati a contribuire[47].

 

La lezione fondamentale che viene da Santiago è l’ennesima riprova dell’illusorietà di un passaggio pacifico, senza rotture, al socialismo. L’inesistenza di strutture di tipo sovietico o consiliare e di un partito rivoluzionario credibile oltre che la questione della preparazione militare hanno tagliato le gambe al movimento operaio. Alle lezioni della Comune, o della Spagna del ’36-’37 o dell’Indonesia di solo qualche anno prima, si aggiunge la tragedia cilena.

In America Latina tramonta la “via pacifica”: la tragica ironia della sorte vuole che la ‘via pacifica’ cilena sia costata al proletariato latinoamericano molti più morti di quanti non se siano avuti in decine di paesi da parte dei fautori della lotta armata. (...)[48].

 

Di ben altro segno sono le lezioni che trae Enrico Berlinguer. In una serie di  tre articoli pubblicati su Rinascita tra la fine settembre e la metà di ottobre, Berlinguer proprio prendendo le mosse dal Cile delinea quella che verrà definita la strategia del “compromesso storico”. Di strategia, e non di tattica bisogna parlare, perché nelle intenzioni di Berlinguer l’incontro tra le “grandi forze socialiste e cattoliche della società italiana” non è  una semplice formula di governo ma rappresenta una tappa fondamentale per isolare le forze reazionarie presenti nella società italiana e gettare le basi per la transizione pacifica al socialismo. Berlinguer polemizza aspramente con chi a sinistra, come i GCR, ha visto negli avvenimenti cileni l’ennesima dimostrazione della fallimentarietà della via pacifica al socialismo.

 

Abbiamo sempre saputo e sappiamo che l’avanzata delle classi lavoratrici e della democrazia sarà contrastata con tutti i mezzi possibili dai gruppi sociali dominanti e dai loro apparati di potere. (...) Ma quale conclusione dovremmo trarre da questa consapevolezza? Forse quella proposta da certi sciagurati di abbandonare il terreno democratico e unitario per scegliere un’altra strategia fatta di fumisterie, ma della quale è comunque chiarissimo l’esito rapido e inevitabile di un isolamento dell’avanguardia e della sua sconfitta? (...) L’eventualità del ricorso alla violenza reazionaria  ‘non deve dunque portare - come ha affermato il compagno Longo - ad avere una dualità di prospettiva e di preparazione pratica (...)[49] (nostra sottolineatura).

 

Per Berlinguer tutta l’esperienza di lotta e di conquiste del movimento operaio italiano e del PCI stanno a dimostrare che una via pacifica al socialismo è possibile, oltre che auspicabile. Si tratta di riallacciare quindi il filo della riflessione togliattiana sulle peculiarità della storia italiana che aveva dato il via alla Svolta di Salerno e ai governi di unità nazionale del triennio 1945-’47 bruscamente interrotti dall’inizio della guerra fredda e della svolta filo-atlantica di De Gasperi. Ecco perché parlare di “originalità” nella svolta berlingueriana è eccessivo e scorretto. In fondo l’opposizione alla DC,  gli anni del frontismo, erano stati non una scelta ma una strada obbligata per il PCI.

Per Berlinguer la scelta dell’incontro tra cattolici e comunisti deriva non solo dalle peculiarità della storia nazionale ma dalla struttura di classe del paese, con una forte presenza di ceti medi, e dal complesso di figure sociali ed economiche come i giovani, le donne, le masse meridionali. In tanta complessità

 

(...) sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe di per sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia) questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51 per cento. (...)[50].

 

Che l’abbandono di qualsiasi velleità frontista in vece di una politica di vaste alleanze sociali non sia novità dell’ultima ora lo fa rilevare Livio Maitan in un articolo intitolato “La logica di Berlinguer”  pubblicato su Bandiera Rossa. mette in risalto acutamente come la “via pacifica al socialismo” assuma le caratteristiche non di una condizione peculiare ma divenga un totem ideologico. Quello che Berlinguer nega è l’inevitabilità di uno scontro frontale tra le due classi antagonistiche non “in questa o in quella fase specifica (il che potrebbe essere giusto) ma indefinitamente (il che è sbagliato e ancora prima del tutto irrealistico).”[51]

Per Maitan il corso degli avvenimenti del Cile è in gran parte indipendente dalle volontà del singolo riformatore, dell’Allende di turno, ma reso inevitabile dalla tendenza obiettiva delle classi fondamentali a entrare in conflitto aperto.

 

La logica di Berlinguer è esplicita se si vogliono evitare sbocchi drammatici, rotture, non basta l’unità delle sinistre (...) Detto in parole povere, bisogna rinunciare indefinitamente a porre la prospettiva di una lotta per il socialismo, per il rovesciamento non di questo o di quel governo DC, ma del regime capitalista in quanto tale. (...)[52].

 

 


 

[1] P. Ginsborg op. cit. p. 450

[2] I GCR apriranno un intervento continuativo alla FIAT e alla Nebiolo di Torino, alla Face Standard di Milano, alla Nuova Pignone di Firenze, all’Italsider di Napoli e di Taranto oltre che in piccole fabbriche bresciane e umbre.

[3]  Intervista dell’autore ad Antonio Caronia” del 10 settembre 1996.

[4] Bandiera Rossa n .4 15 maggio-15 giugno 1970 “Appoggio critico al Movimento Studentesco della Statale di Milano”

[5] Bandiera Rossa  n .4, ibidem.

[6] GCR “Bollettino Interno n 1 nuova serie” “Progetto di risoluzione per la Conferenza Nazionale” [Archivio Gambino-Verdoja”]

[7] Bandiera Rossa n .3 15 marzo -15 aprile “Rilanciata l’organizzazione dalle lotte operaie del ‘69”

[8] GCR “Bollettino Interno...” , cit.

[9] GCR “Bollettino Interno…” cit.

[10] A proposito delle vicende successive del lambertismo italiano vedi appendice B  sotto le voci Cellula Trotskista d’Italia e Gruppo Bolscevico Leninista.

[11] Intervista dell’autore a Franco Grisolia”, citata.

[12] Bandiera Rossa n 5 15 giugno - 15 luglio 1970 E. Pellegrini “Il ruolo dei fascisti negli attentati del 12 dicembre documentato da una controinchiesta”.

[13] Bandiera Rossa n. 8 15 novembre-15 dicembre 1970 ”Respingere l’offensiva del governo e dei padroni”

[14]Quarta Internazionale nuova serie n. 2 giugno 1971 “ERP: lotta armata e azioni di massa”

[15] “Una rettifica necessaria”. Contributo alla discussione precongressuale presentato dai compagni Fabrizio, Giulio, Sergio e Sirio del C.C. e del gruppo di Roma (senza data ma presumibilmente del febbraio-marzo 1971) [Archio Gambino-Verdoja].

[16] Si tratta di “Il prezzo dell’inazione” di E. Pellegrini del 10 aprile 1971 e di “Non è solo questione di inazione” di R. Massari del 25 aprile 1971 [Archivio Gambino-Verdoja].

[17] “Una rettifica necessaria”  cit.

[18] “Una rettifica necessaria”  cit.

[19] Bollettino Interno n 5 del 20 giugno 1971 “L’adattamento all’ambiente: malattia infantile del trotskismo italiano”. Intervento dei compagni Franco, Giorgio, Giulio, Sirio, del gruppo di Roma. Nello stesso documento si critica anche il tentativo di presentare in Italia (ma anche all’estero) la realtà delle varie sezioni dell’Internazionale in modo sovradimensionato. All’interno di questo dibattito si veda anche “Attivismo e politica” di G. Savelli [Archivio Gambino-Verdoja, Torino].

[20] Soviet  uscirà nel 1972 come mensile per soli 3 numeri.

[21]Vedi il resoconto su Bandiera Rossa n. 1 gennaio 1972 “La situazione politica e i compiti delle avanguardie al centro del dibattito dei comunisti rivoluzionari”.

[22] Quarta Internazionale nuova serie n .4  febbraio 1972 “Risoluzione della Conferenza nazionale dei GCR”

[23] Bandiera Rossa  n .2 5 aprile 1972 “Risoluzione del CC dei GCR del 19 marzo 1972”.

[24] Bandiera Rossa  n .1 20 marzo 1972 E. Pellegrini “Tre punti per una campagna elettorale rivoluzionaria”

[25] Bollettino Interno  dei GCR - IV Internazionale  nuova serie n 2  - maggio 1972 [Archivio Gambino-Verdoja].

[26] La campagna elettorale dei GCR viene svolta a Perugia, Venezia, La Spezia, Piacenza, Torino, Livorno, Ancona, Napoli, Genova, Taranto, Cesena, Verona, Trieste, Roma, Bari e Milano.

[27] Quarta Internazionale n. 5-6 giugno 1972 L. Maitan “Dopo il 7 maggio: i compiti dei comunisti rivoluzionari nella nuova fase politica”

[28] Bandiera Rossa n 7 5 giugno 1972 E. Pellegrini “Calabresi era chi era ma la sua morte giova a loro”.

[29] A proposito del calo nel numero di ore di sciopero su scala nazionale dopo il 1973 si veda “ Numero di ore perse  per conflitti di lavoro in Italia 1949-1986 nell’appendice statistica curata da G. Ghellini e P. Ginsborg acclusa in “Storia d’Italia...” op. cit. p. 602. Per ulteriori dati statistici  sulle statistiche degli scioperi aggiornate fino agli anni ’90 si veda Lotta Comunista n  274 giugno 1993 P. Davoli “Settenta anni di calcoli” 

[30] Per una organica presentazione delle proposte e della linea dei GCR sui rinnovi contrattuali vedi l’editoriale di Quarta Internazionale n 5 -6 giugno 1972 “Contratti ‘72: una lotta politica della classe operaia”.

[31] Vedi Bandiera Rossa n.8 1 maggio 1973 A. Moscato “Il dopocontratto”.

[32]Tale crisi appare invece colta nel progetto di tesi per la XVII Conferenza nazionale: “Quanto alla crisi dei gruppi dell’estrema sinistra, alla sua base è la sproporzione tra le potenzialità della situazione oggettiva  e le acquisizioni complessive del movimento (...)”  vedi “Progetti di tesi per la Conferenza Nazionale” maggio 1973 [Archivio Gambino-Verdoja, Torino]

[33] Quarta Internazionale n9 giugno 1973 E. Preo “I contratti di lavoro”

[34] In un colloquio avuto dall’autore con A. Caronia questi ha affermato che i GCR raggiunsero al massimo momento di ripresa organizzativa i 250-300 militanti. Altri militanti come V. Bisceglie hanno parlato di cifre pressappoco simili. Interviste citate.

[35] GCR  Bollettino Interno n  9 A. Moscato “Per un primo bilancio dello stato dell’organizzazione ( e della sua direzione) (1973).

[36] GCR ibidem.

[37] Il documento di Moscato mette anche in luce i problemi del funzionamento e della costruzione della direzione e del finanziamento, problemi che non sono solo organizzativi. (“Come è possibile chiedere a un compagno di rinunciare a un lavoro ben retribuito per fare un funzionario a 80-100.000 lire il mese, se le quote sono sganciate da un criterio progressivo, per cui un compagno con 300.000 il mese può cavarsela con 10 o 15.000 lire di quota?”) GCR Bollettino Interno n 9 cit.

[38]  La TMR si trasformerà in Frazione nel novembre del 1974 vedi GCR Bollettino interno n 36 (1974) [Archivio Gambino-Verdoja].

[39] GCR Bollettino Interno n. 18 Tendenza Marxista Rivoluzionaria “Per la costruzione del partito rivoluzionario(parte II)” (ottobre 1973) .

[40] GCR, ibidem p. 56

[41] GCR  Bollettino Interno n .18 ottobre 1973  “Per la costruzione del partito rivoluzionario (Parte I)” p. 40-41.

[42] GCR Bollettino Interno n.18  doc. cit. p. 41

[43] Vito Bisceglie, leader operaio alla Nebiolo di Torino, entra nel CC della FIOM nel 1970. Licenziato nel 1972 a seguito di una lotta particolarmente dura in fabbrica viene assunto come funzionario sindacale per seguire il lavoro del C.d.F. della Fiat Ferriere. La Quarta Internazionale valutata la incompatibilità di simile attività con la militanza rivoluzionaria gli concede sei mesi per trovarsi un’altra attività lavorativa. Dopo aver rifiutato il diktat, Bisceglie viene infine espulso dai GCR nel 1974 dando vita con una decina di altri militanti al Gruppo Rivoluzione Permanente di Torino. La FMR considererà questa espulsione come un sopruso vòlto a mettere in silenzio l’opposizione interna. Per una ricostruzione di questi avvenimenti vedi Intervista dell’autore a Vito Risceglie, citata.  

[44] Vedi il paragrafo dedicato a questo gruppo nel capitolo 6 di questo volume.

[45] Bandiera Rossa n 15 del 25 novembre 1973 “Lotte operaie e studentesche nella risoluzione della conferenza nazionale dei GCR”.

[46] Quarta Internazionale n 10-11 Novembre 1973  Risoluzione del Segretariato Unificato della Quarta Internazionale “Gli insegnamenti della tragedia cilena”.

[47] Quarta Internazionale n. 10-11 novembre 1973 “Gli insegnamenti della tragedia cilena”. Risoluzione del S.U. della Quarta Internazionale.

[48] Bandiera Rossa  n .9 del 10 ottobre 1973 “Cile: ancora una lezione drammatica”.

[49] E. Berlinguer “Riflessioni dopo i fatti del Cile” articoli pubblicati su Rinascita n 38-39-40 del 1973 ora in  AA.VV “I comunisti italiani e il Cile” p. 19-20 (Roma, 1973).

[50] E. Berlinguer , ibidem p. 36.

[51] Bandiera Rossa n. 14 1 novembre 1973 L. Maitan  “La logica di Berlinguer”.

[52] Bandiera Rossa, ibidem.

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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