Ultimo Aggiornamento :22-07-2003 : Last Release
Nei segni che confondono la borghesia, la nobilità e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione! - KARL MARX -
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capitolo 2

Il '68: l'esplosione del movimento, la crisi dei GCR

 

“Nostro padre si sporse dal davanzale. - Quando sarai stanco di star lì cambierai idea! - Gli gridò.

- Non cambierò mai idea, - fece mio fratello, dal ramo.

- Ti farò vedere io, appena scendi!

- E io non scenderò più! - E mantenne la parola.” (Italo Calvino)

 

 

Le radici e le peculiarità del ’68 italiano

 

Il ’68 italiano ebbe il record mondiale di durata e fu un fenomeno in larga misura imprevisto, come tutti gli avvenimenti che “sconvolgono il mondo”. Adriano Sofri, in un suo libro, ritornando al clima di quegli anni, ricorda come le riviste e gli istituti di ricerca sociologica, proprio negli anni precedenti il ’68, chiosassero la passività politica e culturale delle nuove generazioni, il loro conformismo e integrazione. Il fuoco bruciava sotto la cenere.

Sin dai primi anni ’60, si sarebbero potuti cogliere i segnali di una incipiente inquietudine sociale. L’Italia si era trasformata profondamente, a partire dagli anni ’50: l’industrializzazione del paese aveva fatto passi da gigante, milioni di contadini avevano abbandonato il lavoro rurale per trasferirsi nelle aree urbane. La massiccia immigrazione interna determinata dalla concentrazione del capitale e delle infrastrutture nel nord del paese[1] aveva costretto molti lavoratori a un penoso inserimento in anguste periferie urbane ma aveva, allo stesso tempo, incrinato irrimediabilmente  i vincoli sociali e l’immobilità (che pur era già stata scalfita) del mondo contadino.

Si era allargata anche la sfera del lavoro impiegatizio sia nell’industria che nella pubblica amministrazione, prodotto quest’ultimo dell’espansione della spesa pubblica e del welfare. L’alfabetizzazione e la scolarizzazione erano anch’esse cresciute: iniziava l’ingresso nelle università della piccola borghesia e di ristretti gruppi di proletari.

Il fenomeno di integrazione e sviluppo qui descritto, lungi dal determinare, come asseriva Marcuse, la cloroformizzazione della classe operaia produceva nuovi conflitti e una nuova radicalità. La riflessione e la ricerca di Panzieri e del gruppo dei Quaderni Rossi sulla condizione operaia  veniva estremizzandosi nella rivista Classe Operaia. Nel suo articolo, Lenin in Inghilterra, il direttore della rivista Mario Tronti, uno dei mentori dei futuri dirigenti di Potere Operaio  e di Lotta Continua, scriveva:

 

Abbiamo visto anche noi prima lo sviluppo capitalistico, poi le lotte operaie: E’ un errore: Occorre rovesciare il problema, cambiare il segno, ripartire dal principio: e il principio è la lotta di classe operaia. (...) Il punto di partenza del discorso nuovo ci dice che a livello nazionale e internazionale, l’attuale particolare situazione politica della classe operaia guida  e impone un  certo tipo di sviluppo del capitale (...)[2].

 

Se l’operaismo a partire dal ’69 giocherà un ruolo importante nella breve e intensa stagione della radicalizzazione dell’operaio massa, le analisi più acute hanno messo in rilievo altre peculiarità del ’68 italiano:

a) il carattere intimamente “modernizzatore” del movimento del ’68 per quanto riguarda i comportamenti e i rapporti sociali, le strutture culturali, i modelli didattici ed educativi. Si tratterebbe di una “rivoluzione culturale” che i maoisti di allora avrebbero potuto difficilmente immaginare. Il ’68 come prodotto, seppur imbrigliato in formule e bardature ideologiche sorpassate, dei profondi rivolgimenti introdotti nel paese che lo stavano trasformando in una “società affluente”[3].

b)                  l’importanza della presenza del PCI nella società italiana. Il PCI fu il più grande e dinamico partito comunista del mondo occidentale. Tale dinamicità permetterà sin dai primi anni ’70 di recuperare, soprattutto elettoralmente, la spinta del movimento, mentre le sue dimensioni condizionaneranno le coordinate ideologiche del movimento stesso. Il peso del maoismo (anche se nell’edizione meno folkloristica dopo il ’69 - ’70) permea tutta la nuova sinistra. Ciò permette di passata il recupero anche degli aspetti “leggendari” dello stalinismo di sinistra: la struttura “secchiana” del partito, l’antifascismo della “Volante Rossa”, ecc. E’ proprio questo sottoprodotto ideologico a tenere aperti, durante i primi anni ’70, canali di comunicazione e  reclutamento tra PCI e “Nuova Sinistra”. Tuttavia l’integrazione politica della classe operaia, l’interiorizzazione della democrazia politica già maturata in larga parte (seppur in ritardo rispetto agli altri paesi europei) stenta a trovare uno sbocco, in ragione dello schieramento con il blocco sovietico del principale partito operaio italiano.

 Il 1968 è principalmente l’anno degli studenti, delle agitazioni nelle università. Il virus della contestazione infetta gli atenei già nell’autunno del ’67 con le agitazioni alla facoltà di sociologia di Trento, per lungo tempo gioiello della DC di Piccoli, e con l’occupazione a Torino di Palazzo Campana. Il movimento parte da rivendicazioni settoriali e parasindacali, come l’inagibilità e il sovraffollamento delle strutture, per poi dilagare alla critica dei saperi, della informazione, della politica istituzionale, dei rapporti di forza politici planetari.

 Il forte peso della tradizione del movimento operaio italiano impedisce l’egemonia ideologica del movimento si coaguli in un anarchismo alla Cohn-Bendit o in influenze situazioniste ma non il carattere assembleare-plebiscitario e le spinte spontaneistiche. È un crescendo di rivendicazioni, di scoperte, di sperimentazione di nuove forme di organizzazione e propaganda, ma anche di nuova socializzazione.

I motivi esistenzialisti e di rottura dei canoni della vita quotidiana, tipici delle giovani generazioni, si fondono con l’attività politica e il protagonismo sociale: le occupazioni degli atenei creano le condizioni di una nuova socialità giovanile piena di atteggiamenti iconoclastici e comportamenti anticonformistici, che poi spesso proseguono in esperienze di vita comunitaria. Il contatto con il mondo operaio spezza, almeno parzialmente, le differenze di origine sociale.

Nell’occupazione di Palazzo Campana a Torino, già alla fine del ’67, viene criticata l’Università come strumento per veicolare l’ideologia della competitività individuale e della ricerca scientifica neutra, mentre a Milano la contestazione assume caratteristiche di massa con la formazione del gruppo del movimento studentesco della Cattolica, guidato da Mario Capanna.

In questo ultimo caso si assommano, alle questioni didattiche e di critica del sapere capitalistico, anche il travaglio di un mondo cattolico progressista e del dissenso che ha trovato nelle Lettere a una professoressa  di Don Milani un punto di riferimento importante.

Le prime settimane di lotta all’Università di Roma sfociano  nella battaglia di Valle Giulia, che segna la fine della verginità politica e “militare” del movimento studentesco.

Poi, nei mesi successivi, rapidamente, il movimento studentesco esce dal ghetto delle Università per manifestare contro l’intervento USA in Vietnam, per contestare “la prima” della Scala a Milano il 7 dicembre, per presentarsi davanti ai cancelli delle fabbriche in lotta.

 

Trotskisti e movimento studentesco

 

La Quarta Internazionale, a differenza dei “cugini” della sinistra comunista[4], l’altra corrente eretica del movimento comunista internazionale presente in Italia, coglie l’importanza della radicalizzazione studentesca. In Francia, il gruppo dei JCR (Jeunesse Communiste Revolutionaire),  intorno ad Alain Krivine, un ex dirigente della gioventù comunista, unificandosi con la vecchia sezione trotskista diretta da Pierre Frank[5], è tra i promotori delle mobilitazioni che dalla Sorbona dilagano in tutta la Francia. Ma anche negli USA e nel sud America i giovani trotskisti sono spesso tra i promotori delle agitazioni negli atenei  e nelle scuole.

In un documento della Quarta Internazionale[6], si delineano le coordinate su cui si deve muovere l’agitazione rivoluzionaria tra gli strati studenteschi:

 

A causa della decadenza del sistema capitalistico e della erosione delle conquiste democratiche, alcune delle quali risalgono a quasi due secoli, numerose lotte studentesche iniziano oggi sulle questioni più elementari, come il diritto alla libertà di parola. Assai diversamente  tuttavia esse tendono a portarsi oltre questo livello; ad uscire fuori dai campus, ad oltrepassare il quadro delle libertà democratiche quali furono concepite nei periodi più rivoluzionari del capitalismo in ascesa, ad investire il campo economico e a sollevare problemi che possono trovare una reale soluzione solo in un sistema socialista[7].

Allo stesso tempo si traccia una separazione tra le varie anime del movimento. Dopo aver tacciato lo spontaneismo di essere antidemocratico e infantile si punta l’attenzione sulle anime più “creative” e meno politicamente schierate del movimento giovanile:

La crisi generale della borghesia e gli aspetti più rivoltanti della società borghese, mentre hanno portato numerosi giovani ad iniziare la ricerca di soluzioni politiche collettive, hanno incitato altri, comunemente noti come i nomi di “hippies” o “beatniks”, a cercare mezzi individuali per conservare una libertà personale senza rovesciare il capitalismo[8].

 

Vengono inoltre indicate delle parole d’ordine su cui proseguire e allargare la mobilitazione: istruzione universitaria gratuita, salario studentesco, libertà di associazione studentesca, autonomia universitaria, rottura dei legami tra università ed esercito, abolizione della ricerca nell’interesse del grande capitale.

Come si vede tale documento si muove sulla base del dibattito reale che si sta sviluppando tra le avanguardie studentesche in tutto il mondo (le parole d’ordine sulla libertà di opinione e organizzazione riguardano principalmente quei paesi extra europei dove vigono dittature o regimi bonapartistici).

Nella relazione alla XII Conferenza dei GCR tenutasi nel marzo ’68, L. Maitan riflette sulle ragioni per cui nei secoli XIX e XX la gioventù studentesca è stata l’incubatrice di movimenti rivoluzionari ed anticonformistici:

La condizione studentesca non corrisponde per ragioni evidenti a una collocazione sociale definitiva. (...) Si tratta, innanzitutto, di una condizione transitoria da cui i giovani usciranno scegliendo o subendo inserimenti sociali diversi. In secondo luogo influisce l’origine sociale differenziata (con una maggioranza netta di studenti provenienti da famiglie piccolo-borghesi e con una percentuale ancora limitata, specie ai livelli superiori, di giovani di estrazione operaia). (...) Ma è proprio la mancanza di condizionamenti di classe univoci e decisivi ben più dell’estrazione sociale maggioritaria, che giustifica la caratterizzazione delle masse studentesche come forze piccolo-borghesi, naturalmente per gli strati che ci interessano, forze piccolo borghesi radicalizzate schierate all’opposizione contro il sistema[9].

 

Il movimento studentesco, non avendo referenti istituzionali e politici definiti, sotto l’influsso di fattori internazionali quali il prestigio della direzione del Partito Comunista Cinese e del Movimento di Liberazione Vietnamita, sfugge al controllo del PCI ( il ’68 sarà un anno di crisi profonda per la FGCI).

Il movimento si muove inizialmente su parole d’ordine paradossali quali Potere Studentesco, ma allo stesso tempo cerca alleati nella società. Maitan invita quindi a evitare due atteggiamenti, antitetici ma egualmente sbagliati, che si conducono a ridurre il movimento studentesco a un bacino di reclutamento politico o al tentativo di  farne un surrogato del movimento operaio.

 

 

La XII Conferenza Nazionale dei GCR.

 

Nel marzo del 1968 si tiene la XII Conferenza Nazionale dei GCR in cui si rendono esplicite le divergenze che porteranno nell’autunno alla dissoluzione dell’organizzazione.

Come abbiamo già avuto occasione di rilevare, non solo dirigenti e oppositori di vecchia data, come Libero Villone,  contestavano l’entrismo.

 Dall’inizio degli anni ’60 si erano moltiplicate le richieste di una pratica politica “più aperta”. Inoltre i segnali della radicalizzazione giovanile operaia, che si erano ripetuti a partire dal ’66 (e ancora di più nel ’67), avevano prodotto la tendenza ad operare fuori dai canali tradizionali del sindacato. Molti militanti avevano contatti e partecipavano a realtà di lotta locali e settoriali che sfuggivano al controllo del PCI e del sindacato. A Milano e Roma i GCR producevano giornalini di fabbrica o azienda.

Luigi Vinci (Riva di pseudonimo) che era uno dei principali animatori della tendenza trotskista a Milano - assieme a Massimo Gorla - aveva iniziato a sviluppare una certa attività in alcune aziende del milanese:

 

Avanguardia Operaia fu all’inizio la testata di un giornale operaio animato dai GCR, però formalmente non tale, e da compagni di fabbrica del PCI, che uscì, per qualche numero, in due diverse edizioni, una alla SIT-Siemens e l’altra nelle fabbriche, soprattutto vetrerie della Saint-Gobain, a Corsico, a pochi chilometri  da Milano, dove avevamo un piccolo valido gruppo di operai. Questo foglio uscì, se non ricordo male, nell’inverno del 1967 - ’68. Successivamente con la crisi dei GCR, e l’uscita da essi della quasi totalità del gruppo milanese, decidemmo di assumere il nome di quel foglio, costituendo quindi con tale nome un nuovo raggruppamento politico[10].

 

In città come Roma e Torino militanti dei GCR come Franco Russo e Massimo Negarville erano profondamente inseriti nel movimento studentesco, e cominciavano a sentire come una cappa asfissiante non solo il mantenimento della tessera del PCI o della FGCI ma anche il riferimento organizzativo al trotskismo.

Il documento, che apre il dibattito per la XII Conferenza, inizia  segnalando come “il PCI tramite il suo apparato di partito, le sue posizioni nei sindacati, le sue posizioni di potere locale, (…) conserva sempre una influenza maggioritaria rispetto a qualsiasi altra organizzazione o gruppo” e che “realisticamente non esistono elementi tali da autorizzare l’ipotesi di un radicale mutamento di questi rapporti di forza a breve o medio termine”. In linea con il documento sulla “Costruzione del partito rivoluzionario” di Sirio Di Giuliomaria, pubblicato in volume solo qualche mese prima si afferma che:

 

Uno spostamento qualitativo dei rapporti di forza tra la burocrazia e gli apparati da un lato e le tendenze o le organizzazioni d’avanguardia dall’altro non potrà verificarsi, in ultima analisi, che in connessione allo svilupparsi nel paese di una situazione oggettiva profondamente diversa, in cui conflitti di classe esplosivi a tutti i livelli sfalderanno progressivamente fino a farle scoppiare le attuali strutture burocratiche[11].

 

Malgrado ciò il documento precongressuale individua nell’impoverimento della dialettica interna al PCI, nella crisi della Federazione giovanile, nell’assommarsi delle misure coercitive contro gli oppositori interni, il restringersi degli spazi per una azione utile dei rivoluzionari all’interno del PCI, soprattutto dopo “la falsa partenza” dell’ opposizione ingraiana all’XI Congresso. Il limite di questa tendenza, con cui i GCR avevano finito per convergere in sede congressuale, venivano indicati nella: 1. “incapacità di Ingrao di giungere a una comprensione reale delle esigenze e delle tendenze di sviluppo di una lotta operaia con una prospettiva socialista”[12] e 2. “sua [di Ingrao] accettazione di concezioni e di disegni strategici rimasti nel quadro di un neoriformismo  solo parzialmente ed episodicamente differenziato da quello proprio del gruppo dirigente maggioritario”[13].

 

Al movimento studentesco che sta per esplodere si dedica un capitolo incolore (la relazione di Maitan alla Conferenza Nazionale su tale tema sarà molto puntuale) mentre alcuni paragrafi sono dedicati alla evoluzione dell’operaismo e principalmente della componente raccolta intorno alla rivista Classe Operaia. Vengono delineati così i processi di frammentazione e ricomposizione che questa area sta vivendo e che entro pochi mesi darà vita a una manciata di strutture organizzate tra cui le più importanti saranno Lotta Continua (originata dal Potere Operaio pisano principalmente) e Potere Operaio (Potere Operaio veneto-emiliano e parte del Movimento studentesco di Roma).

Per i GCR l’effervescenza di una area a sinistra del PCI rappresenta un “fenomeno positivo”, anche se spesso connotato da tendenze estremistiche:

 

(...) che sono caratterizzate, per esempio, dalla incomprensione o dal rifiuto esplicito dell’esigenza di un programma transitorio, dalla propensione ad atteggiamenti prevalentemente propagandistici, dalla ignoranza dei processi reali di maturazione e di accumulazione di forze, dal disprezzo - in taluni casi - per certi tipi di attività ritenuti troppo “tradizionali” e inevitabilmente “opportunistici”[14].

 

Tutto ciò porta i GCR a concludere che “ci troviamo ad agire in una situazione per molti versi mutata e suscettibile di sviluppi nuovi”. Nelle tendenze centrifughe che stanno emergendo nei GCR la questione dell’“entrismo” sembra voler essere lasciata in sospeso. Pur indicando la priorità di intervento per la fase successiva soprattutto all’esterno, verso le nuove avanguardie radicalizzate, la attività interna al PCI non viene abbandonata ma solo circoscritta:

 

(...) l’azione [entrista] nella fase attuale non deve essere subordinata a una dialettica interna attualmente asfittica e precaria e falsata completamente dal peso schiacciante degli apparati, ma deve partire dai problemi e dai processi reali che si delineano nella società. Di conseguenza tale lavoro dovrà essere strettamente connesso al lavoro svolto all’esterno[15].

 

Nella discussione precongressuale che si apre abbiamo ragione di ritenere (anche se mancano i documenti) che le linee fondamentali del documento sopraccitato vengano essenzialmente accettati dall’organizzazione, oppure vengano praticamente  disattese.

Del resto lo stesso dibattito alla Conferenza, che Villone definirà “la più brutta della storia dei GCR”, non sembra uscire, malgrado sottolineature e accenti diversi, dal canovaccio del documento precongressuale. Evidentemente, come sottolinea Giulio Savelli (detto Marchi) sostenuto anche da Vittorio Menichirio (Lucentini), il dibattito dei mesi precedenti tra “contrari e favorevoli alla svolta” ora si è spostato su “come attuare la svolta”. Savelli intravede quali sono gli approdi verso cui si muove la variegata area che vuole precipitosamente chiudere con l’esperienza entrista.

 

Secondo alcuni siamo in una fase di ascesa del movimento delle masse e bisogna trarne le conseguenze, che potrebbero anche essere, sul piano organizzativo, la diluizione del nostro movimento[16] (nostra sottolineatura).

 

 In tale situazione la relazione di Maitan cerca di costruire un punto di mediazione assi difficile.

Nel dibattito sulla relazione, i vecchi quadri della “Frazione ortodossa” Monfalcon e Villone non esprimono tanto la contrarietà a uscire dal PCI quanto un giudizio sul movimento studentesco, del tutto negativo:

 

Per quanto riguarda il movimento studentesco (...) si tratta di una espressione assai più della crisi della società capitalistica che di una ripresa della classe operaia. La stessa natura piccolo-borghese del movimento implica il pericolo di una involuzione nel senso del ribellismo di destra in caso di riflusso (naturalmente questa ipotesi negativa non vale per i quadri del movimento studentesco) (...)[17].

 

Altri dirigenti dei GCR come Edgardo Pellegrini (Simeoni) e Di Giuliomaria, che si ritroveranno all’opposizione rispetto alla tendenza di sciogliere la Quarta Internazionale in Italia, esprimono invece verso il movimento studentesco, un giudizio ben diverso.

 Di Giuliomaria dissente sul giudizio di Villone sul movimento studentesco, ma “ritiene anche erronee le affermazioni semplicistiche di coloro che dicono che il PCI non esiste più” mentre Pellegrini (Simeoni) sostiene che:

 

Sarebbe errato andare a ricercare gli operai nel PCI o nella CGIL, ma ciò non esclude che sussistano situazioni in cui ci siano possibilità interne. Non ci interessa l’ipotesi di spaccature verticali nel PCI: potranno anche verificarsi (per esempio tra Amendola e Ingrao) ma come concorrenza sul piano del riformismo. Il partito non uscirà dalla unione chirurgica tra gruppetti, ma dalla convergenza delle lotte e le lotte si daranno le strutture e le forme organizzative adeguate[18].

La maggioranza dei delegati compone una area di militanti che a partire dai movimenti che si susseguono hanno già tratto tutte le conseguenze sull’entrismo. L’apparato ideologico del trotskismo inizia ad apparire un inutile e pesante fardello anche se non si parla ancora apertamente di dissoluzione o scioglimento dell’organizzazione.

Luigi Vinci (Riva) e Massimo Gorla (Rivera), nei loro interventi puntano l’attenzione sulle esperienze compiute in alcune fabbriche, che si muovono fuori e autonomamente dalle organizzazioni tradizionali e sul ruolo propositivo giocato dal movimento studentesco. Sempre su queste posizioni, Illuminati (Bernieri) afferma che di fronte alla nuova realtà “è necessario riorientare i nostri quadri, operare una vera e propria rivoluzione mentale se non culturale”.

L’intervento di Flores D’ Arcais (Foscari), tra gli “uscitisti”, è uno di quelli  più di “rottura”:

 

Non dobbiamo agire come un partito o partitino né concepire il movimento  soprattutto come la sede di coordinamento degli interventi tattici dei compagni. Il movimento deve essere una sede di elaborazione teorica e politica (...) . Il patrimonio trotskista è ormai un patrimonio comune di tutti i rivoluzionari e la sua difesa non può essere la ragion d’essere dell’organizzazione[19].

 

Mineo e Vinci si dicono allarmati del consenso della proposta “uscitista”, la quale potrebbe nascondere un qualche “gattopardismo” dei GCR, ovvero il tentativo di tenere attraverso una continua mediazione l’organizzazione unita. Il tentativo sembra quello di emarginare e “far fuori” la vecchia guardia dei GCR come Sirio Di Giuliomaria, Libero Villone, Fausto  Monfalcon.

Sia Corvisieri (Danesi) sia Vinci (Riva) infine traggono conclusioni definitive sulla tenuta del PCI e del sindacato:

 

“(…)l’emanciparsi di settori operai tenderà a travolgere le strutture e il fattore determinante in questo senso non sarà lo stimolo di grossi settori di partiti tradizionali. (...)”[20].

afferma il primo, mentre il futuro dirigente di DP dice che in relazione ai rapporti tra partiti tradizionali e masse :

non c’è più il rapporto della milizia e della mobilitazione quotidiana c’è solo la generica influenza  e l’adesione elettorale[21].

 

Nella replica seguita al dibattito Maitan si impegna a non fare dell’organizzazione un feticcio,  mentre resta sul vago a proposito del definitivo abbandono della scelta entrista, limitandosi a dire “che oggi la priorità va all’azione in direzione delle nuove avanguardie”:

 

“Il giorno che emergesse in Italia una tendenza rivoluzionaria più ampia della nostra e in grado di dirigere il movimento di massa, applicheremmo criteri che crediamo validi  e non faremmo questioni di primogenitura e potremmo contribuire al successo di un tale movimento (...). Ma una situazione del genere non esiste. E’ vero che nessuno ha parlato in termini precisi di dissoluzione, ma forse questa era la logica di certe considerazioni”[22].

 

La Conferenza potrebbe anche chiudersi qui se Gorla non volesse puntualizzare le implicazioni della svolta proponendo di mettere ai voti una risoluzione in tal senso, per portare allo scoperto le differenze di indirizzo e far saltare il tentativo di mediazione di Maitan.
Nella risoluzione viene respinta definitivamente ogni possibilità di azione entrista, e al contempo si chiede che gli organismi dirigenti sappiano garantire l’applicazione concreta della svolta a tutti i livelli. Messa ai voti incontra solo l’opposizione di sette delegati e l’astensione di tre, che fa della scissione dell’organizzazione un fatto latente, larvato.

D’ora in poi le distanze delle singole componenti dei GCR si accentuano, le strutture organizzative  si sfilacciano:  l’8 settembre del trotskismo italiano si traduce non  in un “tutti a casa” ma in un “tutti nel movimento” a qualsiasi costo, a qualsiasi prezzo. Così, solo pochi mesi dopo, alcuni dei protagonisti di questa Conferenza si troveranno nei cortei a inneggiare al piccone di Mercader.

 

Il maggio francese e la primavera di Praga

 

Le elezioni della primavera del ’68 dopo lo scioglimento delle Camere non cambiano il quadro politico del paese. L’attenzione di questa fase è tutta rivolta agli avvenimenti del Centro Europa.

Nel maggio in un crescendo via via sempre più drammatico e sorprendente si moltiplicano e si estendono gli scioperi, le manifestazioni, le occupazioni delle università e delle fabbriche. Solo verso la fine del mese  De Gaulle riesce a riprendere in mano la situazione.

In quei giorni a Parigi, ha raccontato Oreste Scalzone, era possibile incontrare i più disparati personaggi della politica italiana che passeggiavano per il boulevardes scambiandosi interpretazioni sugli avvenimenti, cercando di attingere informazioni l’uno dall’altro: Franco Piperno, Jaroslav Novak, Marco Revelli, Lucio Magri, Enrico Berlinguer, Giuliano Ferrara.

E a Parigi per partecipare ad istanze internazionali e per seguire da vicino gli avvenimenti ci sono anche Gorla e Maitan. L’organizzazione trotskista Jeunesse Communiste Rèvolutionnaire è alla testa delle mobilitazioni studentesche, gli avvenimenti procedono a tale ritmo che è difficile fare previsioni che non vengano smentite nel giro di poche ore.

Per Maitan, che stende un opuscolino tra il 10 e il 18 giugno[23], proprio per trarre i primi bilanci di questa enorme mobilitazione, la situazione del maggio si presentava come oggettivamente rivoluzionaria e avrebbe potuto determinare perlomeno la caduta del regime, se non proprio il rovesciamento del capitalismo. Maitan si dimostra troppo ottimista: le “Lezioni del Maggio”, potremmo dire parafrasando Trotsky, nel pamphlet di Maitan sono attinenti e non prive di interesse. Maitan segnala :

1.        che dopo anni in cui si è parlato di integrazione della classe operaia, questa  è tornata a mobilitarsi ed avere un ruolo d’avanguardia,

2.        che quindi le contraddizioni fondamentali del capitalismo continuano a essere quelle individuate dal marxismo,

3.        Il ruolo progressivo giocato dagli studenti, che rappresentano un nuovo tipo di radicalizzazione giovanile,.

4.        che la funzione controrivoluzionaria delle burocrazie delle forze del movimento operaio tradizionale è confermata,

5.         che la mobilitazione francese ha nel contempo messo in luce i limiti dello  spontaneismo,

6.        che la mobilitazione francese ha mostrato vieppiù  la necessità di un internazionalismo non solo  propagandistico ma fattivo.

L’altro “laboratorio”, su cui si concentra l’interesse della politica italiana di quell’anno, sono gli eventi che si susseguono in modo incalzante in Cecoslovacchia, a partire dalla seconda metà dell’agosto.

Questa volta il PCI prende le distanze dall’azione dei sovietici, pur senza farsi adescare dall’amo cinese. Piuttosto conferma la necessità di una accelerazione verso il “policentrismo” del comunismo internazionale, preparando la stagione dell’“eurocomunismo”.

Per molti militanti dei GCR, già dubbiosi sulla strategia della Quarta Internazionale e sempre più entusiasti del corso cinese, l’estate praghese suona invece come definitiva conferma della necessità di superare il trotskismo. Di questo stato d’animo Silverio Corvisieri ha dato una vivida testimonianza:

 

I cinesi si affrettarono a condannare il socialimperialismo russo e io, per la prima volta, pensai che il pensiero di Mao era assai più convincente, più adeguato a spiegare la realtà, di quello di Trotsky. Nacque subito una accesa discussione con Samonà che restava invece attaccato alla più tradizionale polemica trotskiana[24].

 

In un bollettino interno interamente dedicato alla discussione avvenuta nel gruppo di Roma dei GCR sugli avvenimenti cecoslovacchi il 20 settembre,  Di Giuliomaria si riallaccia all’analisi che il Segretariato Unificato sta iniziando ad abbozzare sugli avvenimenti. Per Di Giuliomaria l’ascesa di Dubcek altro non è che

l’affermazione, nell’ambito della burocrazia, di un’ala “riformista” che ha cercato da un lato, di basarsi sulla pressione delle masse per eliminare l’ala conservatrice, dall’altro di controllare il processo di “democratizzazione”[25].

 

Secondo tale interpretazione l’intervento sovietico è volto non tanto a impedire la restaurazione capitalistica (questione che non si poneva) quanto a  bloccare i fenomeni di democratizzazione che in modo seppur confuso venivano avanti nella società cecoslovacca e che mettevano in pericolo l’esistenza stessa della burocrazia. La condanna dei cinesi dell’invasione parte da presupposti sbagliati in quanto mette sullo stesso piano USA e URSS. Per i cinesi,

 

la crisi cecoslovacca rappresenta la lotta tra due predoni imperialisti e il proletariato deve quindi assumere una posizione di boicottaggio verso ambedue le parti. I cinesi affermano (...) che nell’URSS sarebbe stato restaurato il capitalismo[26].

 

Il dibattito successivo che si sviluppa nei GCR è il caleidoscopio delle posizioni che si stanno cristallizzando nei GCR in relazione ai rapporti internazionali e al dibattito “sulla natura sociale dell’URSS”.

Berruti (Claudio di Toro), che interviene a sostegno delle tesi filo-cinesi (ormai maggioritarie tra i GCR), pur non negando la presenza di correnti di sinistra nel movimento cecoslovacco, afferma che “l’aspetto caratterizzante del processo di ‘liberalizzazione’ in Cecoslovacchia è stato quello di una consapevole tendenza alla restaurazione capitalistica”[27]. Due sono quindi i cardini su cui si deve basare la riflessione dopo la “primavera di Praga”:

1. la riconsiderazione della “natura sociale dell’URSS” in cui sarebbero presenti “i sintomi di una tendenza coerente al ritorno alla produzione capitalistica”

2. la valorizzazione della rivoluzione culturale e il ruolo della Cina nella lotta di classe internazionale (anche se vengono segnalati dei limiti nel persistente richiamo a Stalin e nella tendenza a creare “sezioni nazionali” dai  partitini “emmelle” presenti in Europa). Le stesse argomentazioni vengono riprese da A. Illuminati (Bernieri), che tra l’altro aggiunge come l’analisi di Trotsky della burocrazia fosse stata considerata dallo stesso dirigente dell’Armata Rossa come provvisoria e da aggiornare. Secondo Trotsky la Russia poteva tornare sulla strada del socialismo oppure retrocedere verso il capitalismo, fenomeno che per Bernieri si era realizzato in maniera inedita.

Così Benedetti, aderendo alle posizioni di Bernieri e Berruti, rifiuta la caratterizzazione del sistema economico sovietico come  “capitalismo di stato” ma è invece più incline a parlare di “società burocratico-manageriale”, riecheggiando così le analisi di Burnham[28] sulla rivoluzione dei tecnici.

 A tali posizioni si contrappone Di Giuliomaria, che si scaglia contro il latente opportunismo che starebbe dietro la volontà di allinearsi con le tesi in voga a Pechino:

 

Alcuni compagni dicono che se non mutiamo la nostra posizione sull’URSS rischiamo di tagliarci fuori da settori consistenti del movimento studentesco. (...) Questo ragionamento implica una concezione tattica di adattamento all’ambiente che ha costituito uno degli aspetti deleteri dell’entrismo (...)[29].

 

Nell’autunno del 1968 tra la maggioranza dei GCR, che vuole “tuffarsi nei movimenti” e abbraccia l’analisi maoista a proposito della situazione politica internazionale, e la minoranza che resta legata ai paradigmi dell’analisi trotskiana si arriva alla definitiva resa dei conti.

In un Comitato Centrale movimentato[30] la nuova maggioranza, a cui aderiscono tra gli altri Mineo, Gorla, Vinci, Illuminati, Corvisieri, propone con successo lo scioglimento dei GCR nel movimento e soprattutto il concentramento dell’attenzione sul lavoro verso le fabbriche dei gruppi di “Avanguardia Operaia” a Milano e “Iniziativa Operaia” a Roma. La minoranza con Maitan, Paolicchi, Di Giuliomaria e Villone rigetta la liquidazione e si ricostituisce come GCR.

Savelli (allora contrario allo scioglimento) ricorda:

 

Nell’autunno viene avanzata l’ipotesi di sciogliere i Gruppi Comunisti Rivoluzionari. (...) La maggioranza dei compagni si orienta per aderire a questa proposta: l’idea non è quella di sciogliere l’organizzazione per costituirne un altra, su principi simili, all’interno del movimento di massa che si era sviluppato nel corso dell’anno; ma liberarsi di tutti i fardelli ideologici e politici per meglio assimilarsi al movimento di massa (...)[31].

L’influenza decisiva del maoismo è segnalata da Corvisieri:

L’allineamento alle posizioni cinesi fu massiccio all’interno della nuova sinistra e anche la stragrande maggioranza dei quartainternazionalisti non ebbe esitazioni. Ne seguì in pratica l’uscita in massa dai “gruppi comunisti rivoluzionari” che , del resto si erano già sciolti nel movimento (...). Il gruppo milanese, cui andava tutta la mia fiducia per il successo avuto nell’organizzare alcuni nuclei di quadri operai e per  aver pesato in modo decisivo nel dichiarare superata l’ipotesi trotskista senza peraltro sbandarsi nel mao-spontaneismo imperante, cominciò allora ad orientarsi verso la fondazione di una nuova organizzazione, Avanguardia Operaia (...)[32].

 

In effetti la maggioranza non riesce a mantenersi compatta; ad Avanguardia Operaia non aderiscono Illuminati e Russo, che si orientano verso un maoismo ortodosso, mentre altri come Mineo prima fondano nel 1969 Il Circolo Lenin di Palermo[33] e poi confluiscono nell’esperienza del gruppo Il Manifesto.

Questi ultimi, al momento di strutturarsi in Circolo[34] ed abbandonare formalmente i GCR, hanno ricostruito una loro versione del dibattito che aveva portato alla scissione:

 

La causa di questa crisi è stata, innegabilmente, il ritardo nell’abbandono della tattica entrista (che era stato deciso soltanto nella conferenza nazionale dei GCR del marzo 1968). (...) L’organizzazione non era pronta, nella maggior parte delle sue sezioni, ad effettuare rapidamente una svolta tattica di tale ampiezza, ad inserirsi immediatamente e direttamente nel movimento. Anche se il centro dirigente mostrò la capacità di analizzare, quasi subito e in termini sostanzialmente esatti, le cause e le linee di tendenza del movimento, ciò non valse a impedire lo sbandamento dell’organizzazione e il successivo, inevitabile, insorgere di un’aspra polemica interna (...)[35].

 

Come abbiamo già segnalato, lo scontro tra le due tendenze si sposta, dalla necessità di rompere con l’entrismo, alla necessità, manifestata dalla maggioranza dei militanti, di sciogliere la sezione italiana della Quarta Internazionale nel movimento di massa.

Pur propendendo per la seconda soluzione, noi del gruppo di Palermo ritenevamo di pregiudiziale importanza il mantenimento dell’unità della corrente trotskista in Italia. Ma il successivo irrigidimento di entrambe le tendenze, ed il conseguente scadimento in termini settari del dibattito, rendendo inevitabile la scissione, ci costrinse a riesaminare tutte le nostre posizioni[36].

 

Di Giuliomaria e Savelli hanno adombrato il dubbio che dietro il ripudio della Quarta Internazionale di molti ci fosse “la sfrenata ambizione opportunistica di alcuni” che li portava ad accettare anche gli aspetti più deteriori del ‘68.

Livio Maitan  più sobriamente ha richiamato l’essenza politica che divideva la maggioranza e la minoranza:

 

Nel ’67 e nel ’68 c’era stato un ritardo da parte della nostra organizzazione nel suo insieme nel comprendere quelle che erano le forze che cominciavano a muoversi in rottura con il PCI o nel PSIUP. Noi non ignoravamo quello che avveniva, anzi, con molti di questi militanti lavoravamo insieme sia nel movimento studentesco che nei sindacati. Però non coglievamo il  fenomeno in tutta la sua portata. In quella divaricazione di posizioni che portò alla scissione c’era questo nostro limite, l’incomprensione della profondità dei processi in atto allora e da parte del gruppo che si andava raccogliendo attorno a Gorla  c’era l’idea che il PCI fosse ormai al collasso e in breve tempo sarebbe stato spazzato via. Noi sottovalutavamo l’ampiezza e la profondità del movimento mentre Gorla e gli altri “scissionisti” prendevano un abbaglio ancor più grosso: ci sono voluti altri 25 anni perché il PCI finisse! E ancora oggi c’è Rifondazione che apertamente fa riferimento a quella esperienza. Erano quindi giustificati i nostri timori:  si poteva pensare ad abbandonare l’attività entrista ma bisognava attuare il processo cautamente per non restare poi isolati. In realtà l’analisi che facevamo nel periodo entrista per cui le forze più dinamiche sarebbero venute fuori dal PCI è stata confermata. La nuova sinistra almeno nei primi anni viene da lì[37].

 

Altri ancora, come Villone, vedevano in questa crisi l’entrare in azione della pressione ideologica di movimenti estranei alla classe operaia, di cui l’approssimazione della preparazione dei militanti era solo un riflesso che li metteva alla mercé degli sbandamenti peggiori, fenomeni che la direzione di Maitan non aveva sufficientemente combattuto.

Ma per avere una analisi autocritica complessiva dell’esperienza entrista bisognerà attendere il 1972 quando L. Maitan, in un lungo saggio[38] dedicato alla questione del partito, riassumerà le ragioni scatenanti della crisi del ’68 nel ritardo dell’attuazione della fuoriuscita dal PCI in relazione alla rapidità della radicalizzazione, ma anche nel mancato lavoro di formazione dei quadri e dalla dimensione troppo “liberale” della strutturazione interna.

Tra coloro che lasciarono l’organizzazione, Gorla, ricollocando in un più ampio quadro gli avvenimenti interni ai GCR negli ultimi mesi del ’68, continua a ritenere che lo scioglimento dei GCR fosse inevitabile e corretto, in quanto era tutto il  quadro precedente in cui si era mossa la lotta di classe che stava entrando in crisi.

Si pensi all’America: prima c’è il movimento dei diritti civili e i Black Panthers, la Guerra del Vietnam e quindi una nuova politicizzazione che coinvolge grandi masse giovanili, che alimenta un  fenomeno contestativo che giunge in Europa.

 

Inoltre si mettono in moto enormi masse studentesche, si affermano nuovi modi di pensare e nuovi costumi, che avvicinando i giovani operai ai giovani studenti, rompono uno schema antico. Infine c’era altro aspetto della questione: incominciava allora la crisi del PCI, come rappresentante della ‘classe generale’. Si verificano in un breve lasso di tempo tutta una serie di categorie interpretative del reale di carattere politico e teorico che avevano animato la storia della sinistra comunista. Una storia determinata soprattutto dagli Stati operai e dal movimento operaio collegato a quegli stati.[39]

 

Gorla, oggi, ritiene che la crisi del movimento operaio e del marxismo, che si sconta nella paralisi degli anni ’80 e ’90, sia iniziata proprio con quelle trasformazioni epocali che venivano allo scoperto per la prima volta proprio nel ’68.

I futuri fondatori di AO (Avanguardia Operaia), come del resto Flores D’ Arcais, Illuminati e Mineo, erano arrivati alla conclusione che l’antistalinismo fosse stato acquisito geneticamente dal movimento, e quindi la volontà di mantenere in piedi una struttura organizzata come la Quarta Internazionale fosse del tutto perniciosa, impedendo di fatto il ricongiungimento del trotskismo con correnti “obbiettivamente di sinistra come il maoismo e il castrismo”[40].

 

I GCR alla fine del 1968 sono ridotti a ben poca cosa. Ormai, di fatto fuori dal PCI, hanno perso più di 3/4 dei circa 200 militanti su cui potevano contare su scala nazionale prima della “scissione silenziosa”. L’organizzazione interna è sfilacciata, se non totalmente paralizzata; molti gruppi di fatto non esistono più, sono rimasti nell’organizzazione i militanti di più vecchia data, ma anche i più demoralizzati, mentre si tenta ancora di recuperare quelli che hanno abbandonato l’organizzazione.

La sezione italiana, su cui negli anni precedenti si era concentrato l’attenzione del Segretariato Unificato, assieme ovviamente, ma in subordine, alla Francia, in vista della formazione di una organizzazione nazionale che superasse i limiti del piccolo gruppo di propaganda, era quella, invece, che subiva i maggiori contraccolpi della radicalizzazione studentesca. Pesava soprattutto il fatto che avevano abbandonato l’organizzazione proprio quei militanti che erano inseriti nei movimenti e collegati con i quadri operai radicalizzati.

Nel ’68 e negli anni a venire le organizzazioni trotskiste, non solo del S.U.[41], in molte  realtà nazionali, conobbero una crescita consistente divenendo, in alcuni casi, piccoli partiti con qualche influenza di massa, malgrado i loro quadri provenissero principalmente dalla gioventù studentesca.

La sezione italiana invece subì un crollo dal quale si riprese solo parzialmente negli anni successivi, restando per tutti gli anni ’70 una delle organizzazioni con un radicamento nazionale molto fragile.

 

 

Le peculiarità del ’69

 

Se il ’68 è stato identificato come l’anno degli studenti,  il ’69  dell’“autunno caldo” è sicuramente l’anno degli operai, dei consigli di fabbrica e degli scioperi selvaggi. Ed è durante quest’anno che si vanno strutturando quelle che saranno le organizzazioni della Nuova Sinistra. Tuttavia la formazione e la strutturazione delle principali organizzazioni in “Partito”[42] non è automatica né lineare (Potere Operaio si scioglie già nel 1973).

L’autunno del ’69 è preannunciato dalla rivolta radicale degli operai della FIAT di Torino, in primavera. La lotta, che inizia sotto gli auspici del sindacato, in un secondo tempo viene in alcune grandi fabbriche egemonizzata dagli “operai massa”, cui si sono venuti unendo dall’esterno gli studenti e alcuni “rivoluzionari professionali” come Sofri, giunto appositamente dalla Toscana. Gli scioperi si moltiplicano, la testata Lotta Continua inizia ad apparire nei volantini dell’“assemblea operai-studenti”. Le rivendicazioni, immediatamente comprensibili, (aumenti uguali per tutti, eliminazione del cottimo), non vengono recepite dall’accordo sindacale della fine di giugno. La risposta delle avanguardie della lotta, sfocia nella “battaglia di Corso Traiano”, che diverrà un po’ l’atto fondativo di Lotta Continua.

In autunno la mobilitazione operaia comincia con gli scioperi per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici e si estende rapidamente in tutti settori, in tutte le fabbriche. La formazione di Consigli di fabbrica, ma anche di CUB (Comitati Unitari di Base), sono la peculiare espressione di un riemergente attivismo operaio che era stato a lungo anestetizzato.

 I sindacati confederali lungi dal boicottare la lotta riusciranno per tutto il periodo a mantenerla nel quadro delle compatibilità. L’accordo del dicembre dello stesso anno portava a consistenti vantaggi per i lavoratori che ottenevano aumenti uguali per tutti, la diminuzione della settimana lavorativa, il diritto dei sindacati ad organizzare la propria attività in fabbrica e preannunciava quella riforma legislativa poi chiamata “Statuto dei lavoratori” dell’anno seguente. Benché i gruppi di estrema sinistra parlassero di “accordo-bidone”, questo recepiva le principali richieste della stragrande maggioranza di quel movimento che, lungi dall’essere “spontaneamente anticapitalista”, non era mai uscito dal quadro delle rivendicazioni tradeunionistiche, favorite anche dall’avvicinarsi della società italiana alla soglia della piena occupazione e dalla chiusura al ribasso della precedente tornata contrattuale.

Il ’69 rappresentò, in ultima analisi, una vittoria dei sindacati e segnò la ripresa del loro peso politico che si rafforzerà negli anni seguenti.

 

I GCR nel 1969

 

La XIII Conferenza nazionale dei GCR che si tiene nel marzo del 1969, a solo un anno di distanza dalla precedente, ha scopi più organizzativi che politici. Si tratta, come ha ricordato Maitan, di verificare “chi è rimasto e chi ci ha abbandonato, di segnare dei precisi confini organizzativi”[43]. Il resoconto di Bandiera Rossa della Conferenza è assai scarno: si afferma che vi hanno partecipato “circa quaranta compagni provenienti da dieci città d’Italia”[44]. Franco Grisolia che aderisce proprio in quella fase ai GCR, afferma che, probabilmente, i militanti dei GCR non superavano la cinquantina[45], mentre E. Pellegrini qualche anno dopo in un documento interno, scriverà che “a lavorare alla ricostruzione dei GCR furono una decina di compagni in tutto”[46].

In relazione alle tendenze centrifughe, che hanno portato all’esplosione dell’organizzazione dell’anno prima, non ci sono nel resoconto della Conferenza pubblicato in Bandiera Rossa tentativi di analisi, se non la riaffermazione che i gruppi formatisi dalla frammentazione dei GCR “oggettivamente hanno rappresentato un cedimento a tendenze spontaneistiche o localistiche”[47]. Ed effettivamente, in quel momento, se si eccettua il gonfiamento delle formazioni m-l, non è ancora cominciata l’espansione delle organizzazioni d’estrema sinistra.

La relazione di Maitan si concentra sulla situazione che si è venuta a creare negli ultimi dodici mesi, tenendo conto che l’usura della situazione italiana si combina con tensioni internazionali che portano a

 

(...) una situazione in cui i vari strati  e gruppi sociali non egemoni subiscono una spinta prepotente a uscire dai vecchi schemi, a rovesciare i vecchi tabù, ad infrangere tutte le compressioni a e muoversi “liberamente” secondo la logica dei loro interessi più diretti e delle loro più dirette aspirazioni. Di qui la tendenza al dilagare di movimenti spontanei nel senso che nessuna forza politica ne assume l’egemonia, né funge da catalizzatore generalizzante[48].

In una situazione così effervescente

(...) alcuni margini di concessioni esistono ed esiste soprattutto la necessità politica impellente per le classi conservatrici di fare questi tentativi[49].

 

Allo stesso tempo questi tentativi potrebbero dare risultati opposti a quelli cercati aumentando la fiducia dei lavoratori e degli studenti in lotta. La stessa ipotesi di gestire la crisi politica attraverso un inserimento del PCI al governo viene considerata dai GCR altamente improbabile, mentre la formazione di gruppi alla sua sinistra “non autorizza l’ipotesi di larghe spaccature verticali”[50] nelle organizzazioni tradizionali del movimento operaio. E in polemica indiretta con gli scissionisti, che avevano fatto già il “funerale” al PCI e ai sindacati, la relazione constata che non solo PCI e sindacati “esistono”, ma anche  che “dispongono di ampi margini di manovra”[51].

Le priorità su cui basare la ricostruzione dell’organizzazione, che mantiene un qualche radicamento a Roma e Torino, diventano i “gruppi d’intervento”[52] verso le fabbriche. Su questa base i GCR ricominceranno a tessere il filo della costruzione di un’organizzazione marxista rivoluzionaria in Italia[53].

 

Il IX Congresso Mondiale del Segretariato Unificato

 

Il Congresso Mondiale del Segretariato Unificato del 1969 si svolge in un momento di crescita complessiva dell’organizzazione su scala planetaria, sia dal punto di vista dell’estensione geografica (con la formazione di sezioni significative in Asia ed Africa), sia di quello della crescita delle singole sezioni nazionali. Ma le tesi precongressuali producono un dibattito tutt’altro che scontato, la cui importanza per  dimensione strategica e politica rimanda al dibattito del III Congresso Mondiale sulla “svolta pablista”.

I documenti congressuali affrontano questioni come “la nuova ascesa della rivoluzione mondiale”, “la rivoluzione culturale” in Cina  (presentata da Maitan), “il futuro immediato del lavoro dell’Internazionale verso la gioventù radicalizzata e operaia” e  “ le prospettive della rivoluzione latino-americana”[54].

Ma se prime tre risoluzioni, pur rispecchiando un ampio ventaglio di posizioni, vengono sostanzialmente accettate dalla stragrande maggioranza dell’organizzazione, l’ultima, la risoluzione sui compiti della Quarta Internazionale nel subcontinente latinoamericano, produce una profonda spaccatura nell’organizzazione (la risoluzione è approvata con circa il 30% dei voti contrari).

Questa risoluzione proclama che ‘la prospettiva fondamentale, la sola prospettiva realistica per l’America Latina, è quella di una lotta armata che potrebbe durare per molti anni. Ciò perché la preparazione tecnica non può essere concepita solamente come uno degli aspetti del lavoro rivoluzionario, ma come l’aspetto fondamentale su scala continentale (...)[55].

Si intende, concretamente, rimettere in discussione la concezione classica leninista della preparazione rivoluzionaria, che passa attraverso una lenta costruzione del partito coniugata all’ascesa e mobilitazione del movimento di massa principalmente urbano, per rimpiazzarla con una tattica guerrigliera “di lunga durata”. Joseph Hansen, storico dirigente del SWP americano, si oppone a questa linea a nome principalmente del suo partito, del leader contadino peruviano Hugo Blanco e della fazione del PRT (Partido Revolucionario de los Trabajadores) argentino guidata da Nauhel Moreno[56].

Hansen afferma non solo che la Quarta Internazionale si fa fagocitare dal mito guevarista che pervade la sinistra rivoluzionaria mondiale ma ammonisce che tale linea sarebbe un disastro per tutto il movimento, in quanto

 

(...) potrebbe essere difficilmente confinata all’America Latina o anche al mondo coloniale più in generale, in quanto le stesse tendenze ultrasinistre a cui ci si  adatta sono operative nei centri imperialisti”[57].

Questa opposizione si verrà raggruppando prima in tendenza, TLT (Tendenza Marxista Leninista) e poi in frazione[58],  FLT (Frazione Leninista Trotskista) tra la fine del 1972 e l’inizio del 1973, mentre anche la maggioranza si organizzerà in tendenza denominandosi TMI (Tendenza Maggioritaria Internazionale).

 

Il dibattito precongressuale in Italia su queste questioni non è particolarmente aspro e forse neppure si presagiscono le implicazioni e le conseguenze che ha la discussione sulla lotta armata in Bolivia o in Argentina. Sarà solo all’approssimarsi di un bilancio su tale tattica, durante il dibattito precongressuale mondiale del 1973-74, che tale dibattito inizierà a trovare proseliti in Italia e inaugurerà l’epoca delle scissioni.

 

La formazione del gruppo de Il Manifesto e i GCR

 

Il gruppo  di dirigenti nazionali e provinciali (Aldo Natoli, Massimo Caprara, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, ecc.), che viene radiato dal PCI dopo aver pubblicato dal mese di giugno del ‘69 il mensile Il Manifesto, non è di quelli che può passare inosservati. Questi quadri hanno condotto la battaglia al XI Congresso del PCI (ingraiani senza Ingrao) per il rinnovamento del partito e con gli avvenimenti del ’68 hanno approfondito il loro atteggiamento critico. Inoltre la loro radiazione dal partito è seguita da altre radiazioni e dimissioni di militanti comunisti in varie città d’Italia.

Il gruppo produce una inedita sintesi di  diverse culture politiche, che pur senza rompere con il togliattismo, si  collega alle elaborazioni della Scuola di Francoforte, senza mancare all’appuntamento con l’infatuazione maoista. Ne viene fuori così una interpretazione, ricca e confusa al tempo stesso, in cui si mischiano parole d’ordine riformiste con disquisizioni sulla “maturità del comunismo” e degli “obbiettivi prefiguranti”.

I GCR che, soprattutto nella federazione romana, negli anni precedenti sono stati a contatto con questi militanti, non possono non vedere con interesse l’evoluzione di una parte del gruppo dirigente del PCI. In un documento a circolazione interna, proprio a ridosso delle radiazioni, i GCR difendono il diritto di questi militanti a esprimersi liberamente, anche se ne  criticano  l’astrattezza intellettuale e i frequenti cedimenti opportunistici.

Già nel mese di dicembre è evidente che il fenomeno della dissidenza ingraiana che abbandona il partito è vasta abbastanza da preoccupare Botteghe Oscure anche perché i radiati, all’esterno del partito, trovano brodo di coltura e non l’isolamento. In quel momento la parabola e le prospettive del gruppo non sono ancora delineate, e quindi i GCR puntano a impostare un dibattito sulla questione delle questioni del partito rivoluzionario:

 

(...) i compagni de il Manifesto giudicano con una certa altezzosità tutti i gruppi della sinistra rivoluzionaria di cui mettono in luce soprattutto l’estrema frammentazione e lo imperversante settarismo (...)”[59].

Questi limiti, non negati dai GCR, vengono però ricondotti dai trotskisti italiani alla forbice tra condizioni obbiettive e soggettive della rivoluzione. Malgrado ciò

(...) se i gruppi e i sottogruppi sono innumerevoli, i filoni fondamentali si riducono, in fondo, a tre, cioè allo spontaneismo, al maoismo e al trotskismo (il castrismo è limitato alla America Latina) tre concezioni e movimenti che hanno tutta una parabola storica e una portata internazionale e che sono riemersi puntualmente in occasioni cruciali come il maggio ’68 in Francia[60].

 

A distanza di qualche mese, quando Il Manifesto comincia delineare in modo sistematico le sue opzioni strategiche nelle “Tesi sul comunismo”, i GCR risponderanno con una lunga critica pubblicata sotto forma di opuscolo.

Se il punto di partenza delle tesi, e cioè la necessità di arrivare a una omogeneizzazione delle forze critiche  che si sono sviluppate a sinistra del PCI, trova consenzienti i GCR, nel merito le differenze restano profonde.

I GCR respingono l’impostazione del Manifesto secondo cui l’involuzione più profonda del movimento comunista sarebbe avvenuta dopo lo stalinismo, in ciò conseguenti con il maoismo ortodosso, e il loro atteggiamento conciliante verso la politica dei Fronti Popolari. Infatti per gli estensori delle tesi il Fronte Popolare “non sarebbe riconducibile al riformismo, anche se con esso ha molti punti in comune”[61].

Inoltre i GCR non condividono la caratterizzazione dell’URSS come “capitalista di stato” (unite alle note apologetiche sulla costruzione del socialismo in Cina):

 

(...) la tesi 42 abbozza un’interpretazione in parte almeno ‘originale’. La restaurazione nell’URSS avverrebbe in virtù di una ‘annessione all’area del mercato imperialistico mondiale’ e di un ‘massiccio sviluppo degli scambi comportando “una sostanziale omogeneizzazione del tipo di sviluppo e del livello di produttività”[62].

 

Sulle questioni più di fondo i trotskisti italiani intravedono nelle argomentazioni del gruppo degli ingraiani una sottovalutazione dei ritmi della fase di transizione al comunismo e della preparazione rivoluzionaria. Nel primo caso Il Manifesto tende a far coincidere la possibilità storica del comunismo con la sua realizzabilità immediata e nel secondo caso a concedere spazio alla moda spontaneista, non tenendo conto che in qualsiasi rivoluzione viene a crearsi una fase di dualismo di poteri.

Invece, sulla concreta situazione italiana l’analisi dei GCR tende in larga parte a convergere con quella de Il Manifesto. Inoltre i GCR si trovano a concordare con il gruppo della Rossanda sull’impossibilità, in Italia, di non fare i conti sulla “questione comunista”: “senza una rottura feconda dell’organizzazione maggioritaria della classe”, senza la capacità di approfondire le contraddizioni nel grande partito di “Gramsci/Togliatti/Longo e Berlinguer” non è possibile poter pensare alla costruzione del partito rivoluzionario.

 

La chiusura dei contratti e Piazza Fontana

 

Il ’69 ha un finale convulso. Nel dicembre viene chiuso il contratto dei metalmeccanici, mettendo fine alla più difficile vertenza del dopoguerra, e sempre nello stesso mese scoppiano bombe a ripetizione (la più devastante è quella ovviamente alla Banca della Agricoltura di Milano), mentre Pino Pinelli, ferroviere anarchico, “vola” misteriosamente  dal quarto piano della questura.

Per quanto riguarda il contratto i GCR prendono le distanze dall’estremismo:

 

nel complesso ci pare difficile considerarlo semplicemente un bidone come tendono a fare i gruppi estremisti come Lotta Continua.

Infatti il nuovo contratto (...) si presenta pur sempre come una conquista importante (e galvanizzante) agli occhi di quelle vastissime masse operaie che non erano state ancora toccate dalle esperienza più avanzate di lotta del ’68 - ’69 (...)[63].

 

Allo stesso tempo nell’articolo viene segnalato come i risultati sono comunque inadeguati rispetto alle possibilità del momento, sia come disponibilità economica del capitalismo italiano, che come forza contrattuale degli operai stessi.

Che un biennio così turbolento abbia aperto delle lacerazioni e un  nuovo, più alto livello, di scontro, si comprende dalla cosiddetta “strategia della tensione”, che prende il via a Milano con la strage di Piazza Fontana e che proseguirà per qualche anno in tutta l’Italia.

I GCR in questa prima fase non sembrano cogliere la dimensione degli avvenimenti. Bandiera Rossa commenta la strage di Piazza Fontana e il “suicidio” di Pinelli con uno scialbo articolo di fondo titolato “Le manovre della destra falliranno se le masse non ripiegheranno” e una nota in seconda pagina sulla repressione contro l’estrema sinistra che, singolarmente, a Pinelli non fa neppure cenno di passata. Contro la repressione del movimento che i GCR vedono incipiente c’è l’invito a costruire il fronte unico.

Comunque la battaglia di controinformazione che lancerà da lì a poco Lotta Continua e le altre organizzazioni dell’estrema sinistra sulla “Strage di Stato” verrà ripresa e sostenuta, come vedremo, anche dai GCR.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 


 

[1] Tra il 1955 e il 1970 il saldo dei movimenti migratori interni per il sud Italia fu di 2.21.300 abitanti a negativo pari a circa il 7% della popolazione, mentre prendendo in esame solamente l’anno 1962 (uno degli anni con maggior tendenza migratoria) la percentuale aumenta al 12,2%. Fonte G. Galeotti I movimenti migratori interni in Italia. Analisi statistica e programmi di politica citato in S. Lanaro “Storia dell’Italia Repubblicana” (Venezia, 1992)

[2] Classe Operaia n° 1, 1964 “Lenin in Inghilterra”

[3] Per una stringata sintesi di tale interpretazione si veda G. Mammarella - Z. Ciffoletti “Il declino” (Milano, 1996).

[4]Il movimento bordighista rimase assente dalle mobilitazioni studentesche bollate immediatamente come piccolo borghesi.

[5] JCR “La rivoluzione in Francia” (Roma, 1968)

[6] Si tratta del documento sulla radicalizzazione delle nuove  generazioni su scala mondiale redatto in preparazione del IX Congresso della Quarta Internazionale  nel 1969 e pubblicato in Italia nel volume AA.VV. “Marxismo e movimento studentesco” (Roma, 1970)

[7] ibdem pag. 60

[8] ibdem pag. 49

[9] ibdem pag. 78

[10]  “Lettera di L. Vinci.....” cit.

[11] Bandiera Rossa n 1 1 gennaio 1968 “Situazione e tendenze del movimento operaio e orientamento dei comunisti rivoluzionari. Un documento di discussione per la XI Conferenza nazionale”.

[12] Bandiera Rossa  ibdem

[13] Bandiera Rossa  ibdem

[14] Bandiera Rossa  ibdem

[15] Bandiera Rossa ibdem

[16] Sintesi dell’intervento di Marchi (G. Savelli) alla XII Conferenza dei GCR in Bandiera Rossa, n 8 15 aprile 1968 “La svolta politica decisa dopo un  acceso dibattito”.

[17] Sintesi dell’intervento di L. Villone alla XII Conferenza Nazionale dei GCR in Bandiera Rossa cit..

[18] Sintesi dell’intervento di Simeoni (E. Pellegrini) alla XII Conferenza Nazionale dei GCR  cit.

[19] Sintesi dell’intervento di Foscari (P. Flores d’ Arcais) alla XII Conferenza Nazionale dei GCR  cit.

[20] Sintesi dell’intervento di Danesi  (S. Corvisieri) alla XII Conferenza Nazionale dei GCR  cit.

[21] Sintesi dell’intervento di Riva (L. Vinci) alla XII Conferenza Nazionale dei GCR.  cit.

[22] Replica di L. Maitan in Bandiera Rossa n 7 1 aprile 1968

[23] Si tratta di L. Maitan “L’esplosione rivoluzionaria in Francia” (Roma, 1968)

[24] S. Corvisieri ,op. cit. La illuminazione  di Corvisieri sulla via di Pechino è emblematica di come il maoismo venisse assunto in maniera del tutto acritica. Le considerazioni che portavano Pechino a scomunicare Mosca non furono mai di gran profondità teorica. Piuttosto, in filigrana, era leggibile lo scontro geopolitico e per l’egemonia sul movimento comunista tra Cina e URSS. 

[25] Bollettino interno “La questione cecoslovacca: alcuni elementi di analisi” [Archivio Gambino-Verdoja] 1968

[26] ibdem pag. 4

[27] ibdem  pag. 5

[28] James Burnham  dirigente del SWP negli anni ’30, abbandona l’organizzazione trotskista mentre sta scoppiando il secondo conflitto mondiale, dopo una violenta polemica con Trotsky a proposito della natura sociale dell’URSS. Spostatosi sempre più su posizioni di destra, Burnham inizia negli anni ’40 una prolifica attività come scrittore. In Italiano oltre alla “Rivoluzione dei tecnici” (Milano, 1946) sono stati tradotti “I difensori della libertà” (Milano, 1947), “La lotta per il mondo” (Milano, 1948), “L’inevitabile disfatta del comunismo” (Milano, 1953).

[29] Bollettino interno op. cit. pag. 7

[30] Su tale sessione del CC dei GCR non è stato possibile reperire alcun documento. E’ molto probabile che lo stato di dissoluzione organizzativa e la demoralizzazione abbiano portato a non compilare verbali della sessione. Che tale ipotesi abbia fondamento mi è stato confermato da diversi partecipanti.

[31]G. Savelli “Riforme e libertà” (Milano, 1996) pag. 222

[32] S. Corvisieri, op.cit.

[33] Oltre alla sezione locale dei GCR confluì nel “Lenin” anche il circolo “A. Labriola”. Nel Circolo Lenin militò anche C. Mineo oggi noto giornalista RAI.

[34] L’uscita dai GCR è del febbraio-marzo 1969

[35] “Il circolo Lenin di Palermo” ( Palermo, 1969) presso la Biblioteca comunale di Follonica su donazione di P. E. Fornaciari  pag. 7

[36] ibdem pag. 7

[37]  “Intervista dell’autore a  Livio  Maitan” (gennaio, 1996) inedita.

[38] L. Maitan “Verifica del leninismo in Italia (1968-1972)” in E. Mandel-L. Maitan “Il partito leninista” (Roma, 1972).

[39] Y. Colombo “Intervista a M. Gorla” intervista citata.

[40] Questa argomentazione è stata ripresa, praticamente senza variazioni, dal SWP (US) alla metà degli anni ’80 al momento di abbandonare il S.U. e avvicinarsi al castrismo.

[41] Non solo organizzazioni del Segretariato Unificato come la LCR francese e il SWP americano conobbero un significativo sviluppo durante il ’68 e gli anni seguenti ma anche organizzazioni  del C.I. come la SLL (Socialist Labour League) inglese di Gerry Healy, il POR (Partido Obrero Revolucionario) boliviano e l’OCI (Organisation Communiste Internationale)  francese o formazioni di altra provenienza come  Voix Ouvrierè (poi Lutte Ouvrière) francese e gli International Socialism inglesi. Si ha notizia della presenza perlomeno a Torino di gruppi italiani legati al C.I (vedi “La IV Internazionale e certi ‘trotskisti’” (Torino, ciclostilato 1968 - [Archivio Gambino-Verdoja]). Su tali gruppi c’è la testimonianza di F. Grisolia che nella intervista concessami parla di “entrismo dei lambertisti nella sezione parigina del PSIUP”.

[42] Il Manifesto  si struttura in PdUP per il comunismo (Partito d’Unita Proletaria per il comunismo) solo nel 1974, Lotta Continua ha il suo primo Congresso nazionale nel 1975, il Movimento Studentesco della Statale si trasforma in Movimento Lavoratori per il Socialismo nel 1976 mentre Avanguardia Operaia ancora nel 1972 non è che un gruppo locale.

[43] L. Maitan”, intervista citata.

[44] Bandiera Rossa n. 3 15 marzo 1969 “Dibattito e nuovi organismi direttivi”. Le città erano Torino, Milano, Venezia, Verona, Bari, Taranto, Genova, Livorno, Napoli e Roma.

[45] Intervista dell’autore a F. Grisolia” (ottobre 1995-gennaio 1996).

[46] Documento interno E.Pellegrini “Il prezzo dell’inazione” 10 aprile 1971

[47] Bandiera Rossa n .3 art. cit.

[48] Bandiera Rossa n .3 15 marzo 1969 “I trotskisti italiani hanno definito i loro orientamenti”.

[49] Bandiera Rossa n. 3 ibdem.

[50] Bandiera Rossa n .3 ibdem.

[51] Bandiera Rossa n. 3 ibdem.

[52] I gruppi presenti nel ’69 sono concentrati a Roma, Frosinone, Bari e Torino vedi “Iniziativa Operaia” bollettino n 2, 1969 [Archivio Gambino-Verdoja]

[53] In un inedito manoscritto di Paolo E. Fornaciari  che potremmo definire una sorta di “lineamenti per una storia dei GCR” si afferma che: “In tutta la fase della ricostruzione a partire da livelli elementari, quale fu quella del 1969-1970, i GCR si trovarono a confrontarsi con compiti talmente enormi, che avrebbero spazzato via qualsiasi organizzazione che non avesse una saldezza ideologica più che consistente” pag. 24-25 anche se poi che la ricostituzione dei GCR fu il possibile solo perché continuava “l’alta marea del movimento”.

[54] Vedi Quatrième Internationale maggio 1969

[55] R. Alexander  “International Trotskyism” ( Durham-London 1991) pag. 750 (nostra traduzione)

[56] Non casualmente si trattava di due forze che erano rientrate nella Quarta Internazionale solo nel Congresso di riunificazione del 1963.

[57] R. Alexander op. cit. pag. 752.

[58] Seguendo i canoni in uso nel Partito Bolscevico fino al 1921, nell’Internazionale trotskista è possibile formare tendenze e frazioni organizzate quando una minoranza dell’organizzazione non condivide le scelte della maggioranza. Questa ha il diritto di presentare le sue istanze in tutte le sedi competenti e di produrre anche documenti a circolazione interna pur mantenendo la disciplina esterna, In realtà il funzionamento federalistico del S.U. ha portato spesso in sezioni nazionali dove esistevano posizioni divergenti alla formazioni di due formazioni politiche indipendenti tra loro e concorrenti ma entrambe riconosciute dall’Internazionale (sezioni ufficiali e simpatizzanti).

[59]Bandiera Rossa n 1 gennaio 1970 “Il manifesto di fronte a una svolta decisiva”

[60]Bandiera Rossa, ibdem

[61]Gruppi Comunisti Rivoluzionari “Risposta alle tesi del Manifesto” (Roma, 1970) pag. 13

[62]GCR, ibdem pag. 19.

[63] Bandiera Rossa n 11 gennaio 1970 “I nuovi contratti sono inadeguati  ma la coscienza operaia esce rafforzata”

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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