“Nostro padre si sporse dal davanzale. - Quando sarai stanco di star lì
cambierai idea! - Gli gridò.
- Non cambierò mai idea, - fece mio fratello, dal ramo.
- Ti farò vedere io, appena scendi!
- E io non scenderò più! - E mantenne la parola.” (Italo Calvino)
Le radici e le peculiarità del ’68 italiano
Il ’68 italiano ebbe il record mondiale di durata e fu un fenomeno in larga
misura imprevisto, come tutti gli avvenimenti che “sconvolgono il mondo”.
Adriano Sofri, in un suo libro, ritornando al clima di quegli anni, ricorda come
le riviste e gli istituti di ricerca sociologica, proprio negli anni precedenti
il ’68, chiosassero la passività politica e culturale delle nuove generazioni,
il loro conformismo e integrazione. Il fuoco bruciava sotto la cenere.
Sin dai primi anni ’60, si sarebbero potuti cogliere i segnali di una incipiente
inquietudine sociale. L’Italia si era trasformata profondamente, a partire dagli
anni ’50: l’industrializzazione del paese aveva fatto passi da gigante, milioni
di contadini avevano abbandonato il lavoro rurale per trasferirsi nelle aree
urbane. La massiccia immigrazione interna determinata dalla concentrazione del
capitale e delle infrastrutture nel nord del paese[1]
aveva costretto molti lavoratori a un penoso inserimento in anguste periferie
urbane ma aveva, allo stesso tempo, incrinato irrimediabilmente i vincoli
sociali e l’immobilità (che pur era già stata scalfita) del mondo contadino.
Si era allargata anche la sfera del lavoro impiegatizio sia nell’industria che
nella pubblica amministrazione, prodotto quest’ultimo dell’espansione della
spesa pubblica e del welfare. L’alfabetizzazione e la scolarizzazione erano
anch’esse cresciute: iniziava l’ingresso nelle università della piccola
borghesia e di ristretti gruppi di proletari.
Il fenomeno di integrazione e sviluppo qui descritto, lungi dal
determinare, come asseriva Marcuse, la cloroformizzazione della classe operaia
produceva nuovi conflitti e una nuova radicalità. La riflessione e la ricerca di
Panzieri e del gruppo dei Quaderni Rossi sulla condizione operaia
veniva estremizzandosi nella rivista Classe Operaia. Nel suo articolo,
Lenin in Inghilterra, il direttore della rivista Mario Tronti, uno dei
mentori dei futuri dirigenti di Potere Operaio e di Lotta Continua,
scriveva:
Abbiamo visto anche noi prima lo sviluppo
capitalistico, poi le lotte operaie: E’ un errore: Occorre rovesciare il
problema, cambiare il segno, ripartire dal principio: e il principio è la lotta
di classe operaia. (...) Il punto di partenza del discorso nuovo ci dice che a
livello nazionale e internazionale, l’attuale particolare situazione politica
della classe operaia guida e impone un certo tipo di sviluppo del capitale
(...)[2].
Se l’operaismo a partire dal ’69 giocherà un ruolo importante nella breve e
intensa stagione della radicalizzazione dell’operaio massa, le analisi
più acute hanno messo in rilievo altre peculiarità del ’68 italiano:
a) il
carattere intimamente “modernizzatore” del movimento del ’68 per quanto riguarda
i comportamenti e i rapporti sociali, le strutture culturali, i modelli
didattici ed educativi. Si tratterebbe di una “rivoluzione culturale” che i
maoisti di allora avrebbero potuto difficilmente immaginare. Il ’68 come
prodotto, seppur imbrigliato in formule e bardature ideologiche sorpassate, dei
profondi rivolgimenti introdotti nel paese che lo stavano trasformando in una
“società affluente”[3].
b)
l’importanza della presenza del PCI nella società italiana. Il PCI fu il
più grande e dinamico partito comunista del mondo occidentale. Tale dinamicità
permetterà sin dai primi anni ’70 di recuperare, soprattutto elettoralmente, la
spinta del movimento, mentre le sue dimensioni condizionaneranno le coordinate
ideologiche del movimento stesso. Il peso del maoismo (anche se nell’edizione
meno folkloristica dopo il ’69 - ’70) permea tutta la nuova sinistra. Ciò
permette di passata il recupero anche degli aspetti “leggendari” dello
stalinismo di sinistra: la struttura “secchiana” del partito, l’antifascismo
della “Volante Rossa”, ecc. E’ proprio questo sottoprodotto ideologico a tenere
aperti, durante i primi anni ’70, canali di comunicazione e reclutamento tra
PCI e “Nuova Sinistra”. Tuttavia l’integrazione politica della classe
operaia, l’interiorizzazione della democrazia politica già maturata in larga
parte (seppur in ritardo rispetto agli altri paesi europei) stenta a trovare uno
sbocco, in ragione dello schieramento con il blocco sovietico del principale
partito operaio italiano.
Il 1968 è principalmente l’anno degli studenti, delle agitazioni nelle
università. Il virus della contestazione infetta gli atenei già nell’autunno del
’67 con le agitazioni alla facoltà di sociologia di Trento, per lungo tempo
gioiello della DC di Piccoli, e con l’occupazione a Torino di Palazzo Campana.
Il movimento parte da rivendicazioni settoriali e parasindacali, come
l’inagibilità e il sovraffollamento delle strutture, per poi dilagare alla
critica dei saperi, della informazione, della politica istituzionale, dei
rapporti di forza politici planetari.
Il forte peso della tradizione del movimento operaio italiano impedisce
l’egemonia ideologica del movimento si coaguli in un anarchismo alla Cohn-Bendit
o in influenze situazioniste ma non il carattere assembleare-plebiscitario e le
spinte spontaneistiche. È un crescendo di rivendicazioni, di scoperte, di
sperimentazione di nuove forme di organizzazione e propaganda, ma anche di nuova
socializzazione.
I motivi esistenzialisti e di rottura dei canoni della vita quotidiana, tipici
delle giovani generazioni, si fondono con l’attività politica e il protagonismo
sociale: le occupazioni degli atenei creano le condizioni di una nuova socialità
giovanile piena di atteggiamenti iconoclastici e comportamenti
anticonformistici, che poi spesso proseguono in esperienze di vita comunitaria.
Il contatto con il mondo operaio spezza, almeno parzialmente, le differenze di
origine sociale.
Nell’occupazione di Palazzo Campana a Torino, già alla fine del ’67, viene
criticata l’Università come strumento per veicolare l’ideologia della
competitività individuale e della ricerca scientifica neutra, mentre a Milano la
contestazione assume caratteristiche di massa con la formazione del gruppo del
movimento studentesco della Cattolica, guidato da Mario Capanna.
In questo ultimo caso si assommano, alle questioni didattiche e di critica del
sapere capitalistico, anche il travaglio di un mondo cattolico progressista e
del dissenso che ha trovato nelle Lettere a una professoressa di Don
Milani un punto di riferimento importante.
Le prime settimane di lotta all’Università di Roma sfociano nella battaglia di
Valle Giulia, che segna la fine della verginità politica e “militare” del
movimento studentesco.
Poi, nei mesi successivi, rapidamente, il movimento studentesco esce dal ghetto
delle Università per manifestare contro l’intervento USA in Vietnam, per
contestare “la prima” della Scala a Milano il 7 dicembre, per presentarsi
davanti ai cancelli delle fabbriche in lotta.
Trotskisti e movimento studentesco
La Quarta Internazionale, a differenza dei “cugini” della sinistra
comunista[4],
l’altra corrente eretica del movimento comunista internazionale presente in
Italia, coglie l’importanza della radicalizzazione studentesca. In Francia, il
gruppo dei JCR (Jeunesse Communiste Revolutionaire), intorno ad Alain
Krivine, un ex dirigente della gioventù comunista, unificandosi con la vecchia
sezione trotskista diretta da Pierre Frank[5],
è tra i promotori delle mobilitazioni che dalla Sorbona dilagano in tutta la
Francia. Ma anche negli USA e nel sud America i giovani trotskisti sono spesso
tra i promotori delle agitazioni negli atenei e nelle scuole.
In un documento della Quarta Internazionale[6],
si delineano le coordinate su cui si deve muovere l’agitazione rivoluzionaria
tra gli strati studenteschi:
A causa della decadenza del sistema capitalistico
e della erosione delle conquiste democratiche, alcune delle quali risalgono a
quasi due secoli, numerose lotte studentesche iniziano oggi sulle questioni più
elementari, come il diritto alla libertà di parola. Assai diversamente tuttavia
esse tendono a portarsi oltre questo livello; ad uscire fuori dai campus, ad
oltrepassare il quadro delle libertà democratiche quali furono concepite nei
periodi più rivoluzionari del capitalismo in ascesa, ad investire il campo
economico e a sollevare problemi che possono trovare una reale soluzione solo in
un sistema socialista[7].
Allo stesso tempo si traccia una separazione tra le varie anime del movimento.
Dopo aver tacciato lo spontaneismo di essere antidemocratico e infantile si
punta l’attenzione sulle anime più “creative” e meno politicamente schierate del
movimento giovanile:
La crisi generale della borghesia e gli aspetti
più rivoltanti della società borghese, mentre hanno portato numerosi giovani ad
iniziare la ricerca di soluzioni politiche collettive, hanno incitato altri,
comunemente noti come i nomi di “hippies” o “beatniks”, a cercare mezzi
individuali per conservare una libertà personale senza rovesciare il capitalismo[8].
Vengono inoltre indicate delle parole d’ordine su cui proseguire e allargare la
mobilitazione: istruzione universitaria gratuita, salario studentesco, libertà
di associazione studentesca, autonomia universitaria, rottura dei legami tra
università ed esercito, abolizione della ricerca nell’interesse del grande
capitale.
Come si vede tale documento si muove sulla base del dibattito reale che si sta
sviluppando tra le avanguardie studentesche in tutto il mondo (le parole
d’ordine sulla libertà di opinione e organizzazione riguardano principalmente
quei paesi extra europei dove vigono dittature o regimi bonapartistici).
Nella relazione alla XII Conferenza dei GCR tenutasi nel marzo ’68, L. Maitan
riflette sulle ragioni per cui nei secoli XIX e XX la gioventù studentesca è
stata l’incubatrice di movimenti rivoluzionari ed anticonformistici:
La condizione studentesca non corrisponde per
ragioni evidenti a una collocazione sociale definitiva. (...) Si tratta,
innanzitutto, di una condizione transitoria da cui i giovani usciranno
scegliendo o subendo inserimenti sociali diversi. In secondo luogo influisce
l’origine sociale differenziata (con una maggioranza netta di studenti
provenienti da famiglie piccolo-borghesi e con una percentuale ancora limitata,
specie ai livelli superiori, di giovani di estrazione operaia). (...) Ma è
proprio la mancanza di condizionamenti di classe univoci e decisivi ben più
dell’estrazione sociale maggioritaria, che giustifica la caratterizzazione delle
masse studentesche come forze piccolo-borghesi, naturalmente per gli strati che
ci interessano, forze piccolo borghesi radicalizzate schierate all’opposizione
contro il sistema[9].
Il movimento studentesco, non avendo referenti
istituzionali e politici definiti, sotto l’influsso di fattori internazionali
quali il prestigio della direzione del Partito Comunista Cinese e del Movimento
di Liberazione Vietnamita, sfugge al controllo del PCI ( il ’68 sarà un anno di
crisi profonda per la FGCI).
Il movimento si muove inizialmente su parole d’ordine paradossali quali
Potere Studentesco, ma allo stesso tempo cerca alleati nella società. Maitan
invita quindi a evitare due atteggiamenti, antitetici ma egualmente sbagliati,
che si conducono a ridurre il movimento studentesco a un bacino di reclutamento
politico o al tentativo di farne un surrogato del movimento operaio.
La XII Conferenza Nazionale dei GCR.
Nel marzo del 1968 si tiene la XII Conferenza Nazionale dei GCR in cui si
rendono esplicite le divergenze che porteranno nell’autunno alla dissoluzione
dell’organizzazione.
Come abbiamo già avuto occasione di rilevare, non solo dirigenti e oppositori di
vecchia data, come Libero Villone, contestavano l’entrismo.
Dall’inizio degli anni ’60 si erano moltiplicate le richieste di una pratica
politica “più aperta”. Inoltre i segnali della radicalizzazione giovanile
operaia, che si erano ripetuti a partire dal ’66 (e ancora di più nel ’67),
avevano prodotto la tendenza ad operare fuori dai canali tradizionali del
sindacato. Molti militanti avevano contatti e partecipavano a realtà di lotta
locali e settoriali che sfuggivano al controllo del PCI e del sindacato. A
Milano e Roma i GCR producevano giornalini di fabbrica o azienda.
Luigi Vinci (Riva di pseudonimo) che era uno dei principali animatori della
tendenza trotskista a Milano - assieme a Massimo Gorla - aveva iniziato a
sviluppare una certa attività in alcune aziende del milanese:
Avanguardia Operaia fu all’inizio la testata di
un giornale operaio animato dai GCR, però formalmente non tale, e da compagni di
fabbrica del PCI, che uscì, per qualche numero, in due diverse edizioni, una
alla SIT-Siemens e l’altra nelle fabbriche, soprattutto vetrerie della
Saint-Gobain, a Corsico, a pochi chilometri da Milano, dove avevamo un piccolo
valido gruppo di operai. Questo foglio uscì, se non ricordo male, nell’inverno
del 1967 - ’68. Successivamente con la crisi dei GCR, e l’uscita da essi della
quasi totalità del gruppo milanese, decidemmo di assumere il nome di quel
foglio, costituendo quindi con tale nome un nuovo raggruppamento politico[10].
In città come Roma e Torino militanti dei GCR come Franco Russo e Massimo
Negarville erano profondamente inseriti nel movimento studentesco, e
cominciavano a sentire come una cappa asfissiante non solo il mantenimento della
tessera del PCI o della FGCI ma anche il riferimento organizzativo al trotskismo.
Il documento, che apre il dibattito per la XII Conferenza, inizia segnalando
come “il PCI tramite il suo apparato di partito, le sue posizioni nei sindacati,
le sue posizioni di potere locale, (…) conserva sempre una influenza
maggioritaria rispetto a qualsiasi altra organizzazione o gruppo” e che
“realisticamente non esistono elementi tali da autorizzare l’ipotesi di un
radicale mutamento di questi rapporti di forza a breve o medio termine”. In
linea con il documento sulla “Costruzione del partito rivoluzionario” di Sirio
Di Giuliomaria, pubblicato in volume solo qualche mese prima si afferma che:
Uno spostamento qualitativo dei rapporti di forza
tra la burocrazia e gli apparati da un lato e le tendenze o le organizzazioni
d’avanguardia dall’altro non potrà verificarsi, in ultima analisi, che in
connessione allo svilupparsi nel paese di una situazione oggettiva profondamente
diversa, in cui conflitti di classe esplosivi a tutti i livelli sfalderanno
progressivamente fino a farle scoppiare le attuali strutture burocratiche[11].
Malgrado ciò il documento precongressuale individua nell’impoverimento della
dialettica interna al PCI, nella crisi della Federazione giovanile,
nell’assommarsi delle misure coercitive contro gli oppositori interni, il
restringersi degli spazi per una azione utile dei rivoluzionari all’interno del
PCI, soprattutto dopo “la falsa partenza” dell’ opposizione ingraiana all’XI
Congresso. Il limite di questa tendenza, con cui i GCR avevano finito per
convergere in sede congressuale, venivano indicati nella: 1. “incapacità di
Ingrao di giungere a una comprensione reale delle esigenze e delle tendenze di
sviluppo di una lotta operaia con una prospettiva socialista”[12]
e 2. “sua [di Ingrao] accettazione di concezioni e di disegni strategici rimasti
nel quadro di un neoriformismo solo parzialmente ed episodicamente
differenziato da quello proprio del gruppo dirigente maggioritario”[13].
Al movimento studentesco che sta per esplodere si dedica un capitolo incolore
(la relazione di Maitan alla Conferenza Nazionale su tale tema sarà molto
puntuale) mentre alcuni paragrafi sono dedicati alla evoluzione dell’operaismo e
principalmente della componente raccolta intorno alla rivista Classe Operaia.
Vengono delineati così i processi di frammentazione e ricomposizione che questa
area sta vivendo e che entro pochi mesi darà vita a una manciata di strutture
organizzate tra cui le più importanti saranno Lotta Continua (originata
dal Potere Operaio pisano principalmente) e Potere Operaio
(Potere Operaio veneto-emiliano e parte del Movimento studentesco di
Roma).
Per i GCR l’effervescenza di una area a sinistra del PCI rappresenta un
“fenomeno positivo”, anche se spesso connotato da tendenze estremistiche:
(...) che sono caratterizzate, per esempio, dalla
incomprensione o dal rifiuto esplicito dell’esigenza di un programma
transitorio, dalla propensione ad atteggiamenti prevalentemente propagandistici,
dalla ignoranza dei processi reali di maturazione e di accumulazione di forze,
dal disprezzo - in taluni casi - per certi tipi di attività ritenuti troppo
“tradizionali” e inevitabilmente “opportunistici”[14].
Tutto ciò porta i GCR a concludere che “ci troviamo ad agire in una situazione
per molti versi mutata e suscettibile di sviluppi nuovi”. Nelle tendenze
centrifughe che stanno emergendo nei GCR la questione dell’“entrismo” sembra
voler essere lasciata in sospeso. Pur indicando la priorità di intervento per la
fase successiva soprattutto all’esterno, verso le nuove avanguardie
radicalizzate, la attività interna al PCI non viene abbandonata ma solo
circoscritta:
(...) l’azione [entrista]
nella fase attuale non deve essere subordinata a una dialettica interna
attualmente asfittica e precaria e falsata completamente dal peso schiacciante
degli apparati, ma deve partire dai problemi e dai processi reali che si
delineano nella società. Di conseguenza tale lavoro dovrà essere strettamente
connesso al lavoro svolto all’esterno[15].
Nella discussione precongressuale che si apre abbiamo ragione di ritenere (anche
se mancano i documenti) che le linee fondamentali del documento sopraccitato
vengano essenzialmente accettati dall’organizzazione, oppure vengano
praticamente disattese.
Del resto lo stesso dibattito alla Conferenza, che Villone definirà “la più
brutta della storia dei GCR”, non sembra uscire, malgrado sottolineature e
accenti diversi, dal canovaccio del documento precongressuale. Evidentemente,
come sottolinea Giulio Savelli (detto Marchi) sostenuto anche da Vittorio
Menichirio (Lucentini), il dibattito dei mesi precedenti tra “contrari e
favorevoli alla svolta” ora si è spostato su “come attuare la svolta”. Savelli
intravede quali sono gli approdi verso cui si muove la variegata area che vuole
precipitosamente chiudere con l’esperienza entrista.
Secondo alcuni siamo in una fase di ascesa del
movimento delle masse e bisogna trarne le conseguenze, che potrebbero anche
essere, sul piano organizzativo, la diluizione del nostro movimento[16]
(nostra sottolineatura).
In tale situazione la relazione di Maitan cerca di costruire un punto di
mediazione assi difficile.
Nel dibattito sulla relazione, i vecchi quadri della “Frazione ortodossa”
Monfalcon e Villone non esprimono tanto la contrarietà a uscire dal PCI quanto
un giudizio sul movimento studentesco, del tutto negativo:
Per quanto riguarda il movimento studentesco
(...) si tratta di una espressione assai più della crisi della società
capitalistica che di una ripresa della classe operaia. La stessa natura
piccolo-borghese del movimento implica il pericolo di una involuzione nel senso
del ribellismo di destra in caso di riflusso (naturalmente questa ipotesi
negativa non vale per i quadri del movimento studentesco) (...)[17].
Altri dirigenti dei GCR come Edgardo Pellegrini (Simeoni) e Di Giuliomaria, che
si ritroveranno all’opposizione rispetto alla tendenza di sciogliere la
Quarta Internazionale in Italia, esprimono invece verso il movimento
studentesco, un giudizio ben diverso.
Di Giuliomaria dissente sul giudizio di Villone sul movimento studentesco, ma
“ritiene anche erronee le affermazioni semplicistiche di coloro che dicono che
il PCI non esiste più” mentre Pellegrini (Simeoni) sostiene che:
Sarebbe errato andare a ricercare gli operai nel
PCI o nella CGIL, ma ciò non esclude che sussistano situazioni in cui ci siano
possibilità interne. Non ci interessa l’ipotesi di spaccature verticali nel PCI:
potranno anche verificarsi (per esempio tra Amendola e Ingrao) ma come
concorrenza sul piano del riformismo. Il partito non uscirà dalla unione
chirurgica tra gruppetti, ma dalla convergenza delle lotte e le lotte si daranno
le strutture e le forme organizzative adeguate[18].
La maggioranza dei delegati compone una area di
militanti che a partire dai movimenti che si susseguono hanno già tratto tutte
le conseguenze sull’entrismo. L’apparato ideologico del trotskismo inizia ad
apparire un inutile e pesante fardello anche se non si parla ancora apertamente
di dissoluzione o scioglimento dell’organizzazione.
Luigi Vinci (Riva) e Massimo Gorla (Rivera), nei loro interventi puntano
l’attenzione sulle esperienze compiute in alcune fabbriche, che si muovono fuori
e autonomamente dalle organizzazioni tradizionali e sul ruolo propositivo
giocato dal movimento studentesco. Sempre su queste posizioni, Illuminati (Bernieri)
afferma che di fronte alla nuova realtà “è necessario riorientare i nostri
quadri, operare una vera e propria rivoluzione mentale se non culturale”.
L’intervento di Flores D’ Arcais (Foscari), tra gli “uscitisti”, è uno di quelli
più di “rottura”:
Non dobbiamo agire come un partito o partitino né
concepire il movimento soprattutto come la sede di coordinamento degli
interventi tattici dei compagni. Il movimento deve essere una sede di
elaborazione teorica e politica (...) . Il patrimonio trotskista è ormai un
patrimonio comune di tutti i rivoluzionari e la sua difesa non può essere la
ragion d’essere dell’organizzazione[19].
Mineo e Vinci si dicono allarmati del consenso della proposta “uscitista”, la
quale potrebbe nascondere un qualche “gattopardismo” dei GCR, ovvero il
tentativo di tenere attraverso una continua mediazione l’organizzazione unita.
Il tentativo sembra quello di emarginare e “far fuori” la vecchia guardia dei
GCR come Sirio Di Giuliomaria, Libero Villone, Fausto Monfalcon.
Sia Corvisieri (Danesi) sia Vinci (Riva) infine traggono conclusioni definitive
sulla tenuta del PCI e del sindacato:
“(…)l’emanciparsi di settori operai tenderà a
travolgere le strutture e il fattore determinante in questo senso non sarà lo
stimolo di grossi settori di partiti tradizionali. (...)”[20].
afferma il primo, mentre il futuro dirigente di
DP dice che in relazione ai rapporti tra partiti tradizionali e masse :
non c’è più il rapporto della milizia e della
mobilitazione quotidiana c’è solo la generica influenza e l’adesione elettorale[21].
Nella replica seguita al dibattito Maitan si
impegna a non fare dell’organizzazione un feticcio, mentre resta sul vago a
proposito del definitivo abbandono della scelta entrista, limitandosi a dire
“che oggi la priorità va all’azione in direzione delle nuove avanguardie”:
“Il giorno che emergesse in Italia una tendenza
rivoluzionaria più ampia della nostra e in grado di dirigere il movimento di
massa, applicheremmo criteri che crediamo validi e non faremmo questioni di
primogenitura e potremmo contribuire al successo di un tale movimento (...). Ma
una situazione del genere non esiste. E’ vero che nessuno ha parlato in termini
precisi di dissoluzione, ma forse questa era la logica di certe considerazioni”[22].
La Conferenza potrebbe anche chiudersi qui se Gorla non volesse puntualizzare le
implicazioni della svolta proponendo di mettere ai voti una risoluzione in tal
senso, per portare allo scoperto le differenze di indirizzo e far saltare il
tentativo di mediazione di Maitan.
Nella risoluzione viene respinta definitivamente ogni possibilità di azione
entrista, e al contempo si chiede che gli organismi dirigenti sappiano garantire
l’applicazione concreta della svolta a tutti i livelli. Messa ai voti incontra
solo l’opposizione di sette delegati e l’astensione di tre, che fa della
scissione dell’organizzazione un fatto latente, larvato.
D’ora in poi le distanze delle singole componenti dei GCR si accentuano, le
strutture organizzative si sfilacciano: l’8 settembre del trotskismo italiano
si traduce non in un “tutti a casa” ma in un “tutti nel movimento” a qualsiasi
costo, a qualsiasi prezzo. Così, solo pochi mesi dopo, alcuni dei protagonisti
di questa Conferenza si troveranno nei cortei a inneggiare al piccone di
Mercader.
Il maggio francese e la primavera di Praga
Le elezioni della primavera del ’68 dopo lo scioglimento delle Camere non
cambiano il quadro politico del paese. L’attenzione di questa fase è tutta
rivolta agli avvenimenti del Centro Europa.
Nel maggio in un crescendo via via sempre più drammatico e sorprendente si
moltiplicano e si estendono gli scioperi, le manifestazioni, le occupazioni
delle università e delle fabbriche. Solo verso la fine del mese De Gaulle
riesce a riprendere in mano la situazione.
In quei giorni a Parigi, ha raccontato Oreste Scalzone, era possibile incontrare
i più disparati personaggi della politica italiana che passeggiavano per il
boulevardes scambiandosi interpretazioni sugli avvenimenti, cercando di
attingere informazioni l’uno dall’altro: Franco Piperno, Jaroslav Novak, Marco
Revelli, Lucio Magri, Enrico Berlinguer, Giuliano Ferrara.
E a Parigi per partecipare ad istanze internazionali e per seguire da vicino gli
avvenimenti ci sono anche Gorla e Maitan. L’organizzazione trotskista
Jeunesse Communiste Rèvolutionnaire è alla testa delle mobilitazioni
studentesche, gli avvenimenti procedono a tale ritmo che è difficile fare
previsioni che non vengano smentite nel giro di poche ore.
Per Maitan, che stende un opuscolino tra il 10 e il 18 giugno[23],
proprio per trarre i primi bilanci di questa enorme mobilitazione, la situazione
del maggio si presentava come oggettivamente rivoluzionaria e avrebbe potuto
determinare perlomeno la caduta del regime, se non proprio il rovesciamento del
capitalismo. Maitan si dimostra troppo ottimista: le “Lezioni del Maggio”,
potremmo dire parafrasando Trotsky, nel pamphlet di Maitan sono attinenti e non
prive di interesse. Maitan segnala :
1.
che dopo anni in cui si è parlato di integrazione della classe operaia,
questa è tornata a mobilitarsi ed avere un ruolo d’avanguardia,
2.
che quindi le contraddizioni fondamentali del capitalismo continuano a
essere quelle individuate dal marxismo,
3.
Il ruolo progressivo giocato dagli studenti, che rappresentano un nuovo
tipo di radicalizzazione giovanile,.
4.
che la funzione controrivoluzionaria delle burocrazie delle forze del
movimento operaio tradizionale è confermata,
5.
che la mobilitazione francese ha nel contempo messo in luce i limiti
dello spontaneismo,
6.
che la mobilitazione francese ha mostrato vieppiù la necessità di un
internazionalismo non solo propagandistico ma fattivo.
L’altro “laboratorio”, su cui si concentra l’interesse della politica italiana
di quell’anno, sono gli eventi che si susseguono in modo incalzante in
Cecoslovacchia, a partire dalla seconda metà dell’agosto.
Questa volta il PCI prende le distanze dall’azione dei sovietici, pur senza
farsi adescare dall’amo cinese. Piuttosto conferma la necessità di una
accelerazione verso il “policentrismo” del comunismo internazionale, preparando
la stagione dell’“eurocomunismo”.
Per molti militanti dei GCR, già dubbiosi sulla strategia della Quarta
Internazionale e sempre più entusiasti del corso cinese, l’estate praghese
suona invece come definitiva conferma della necessità di superare il trotskismo.
Di questo stato d’animo Silverio Corvisieri ha dato una vivida testimonianza:
I cinesi si affrettarono a condannare il
socialimperialismo russo e io, per la prima volta, pensai che il pensiero di Mao
era assai più convincente, più adeguato a spiegare la realtà, di quello di
Trotsky. Nacque subito una accesa discussione con Samonà che restava invece
attaccato alla più tradizionale polemica trotskiana[24].
In un bollettino interno interamente dedicato
alla discussione avvenuta nel gruppo di Roma dei GCR sugli avvenimenti
cecoslovacchi il 20 settembre, Di Giuliomaria si riallaccia all’analisi che il
Segretariato Unificato sta iniziando ad abbozzare sugli avvenimenti. Per
Di Giuliomaria l’ascesa di Dubcek altro non è che
l’affermazione, nell’ambito della burocrazia, di un’ala “riformista” che ha
cercato da un lato, di basarsi sulla pressione delle masse per eliminare l’ala
conservatrice, dall’altro di controllare il processo di
“democratizzazione”[25].
Secondo tale interpretazione l’intervento sovietico è volto non tanto a impedire
la restaurazione capitalistica (questione che non si poneva) quanto a bloccare
i fenomeni di democratizzazione che in modo seppur confuso venivano
avanti nella società cecoslovacca e che mettevano in pericolo l’esistenza stessa
della burocrazia. La condanna dei cinesi dell’invasione parte da presupposti
sbagliati in quanto mette sullo stesso piano USA e URSS. Per i cinesi,
la crisi cecoslovacca rappresenta la lotta tra due predoni imperialisti e il
proletariato deve quindi assumere una posizione di boicottaggio verso ambedue le
parti. I cinesi affermano (...) che nell’URSS sarebbe stato restaurato il
capitalismo[26].
Il dibattito successivo che si sviluppa nei GCR
è il caleidoscopio delle posizioni che si stanno cristallizzando nei GCR in
relazione ai rapporti internazionali e al dibattito “sulla natura sociale
dell’URSS”.
Berruti (Claudio di Toro), che interviene a sostegno delle tesi filo-cinesi
(ormai maggioritarie tra i GCR), pur non negando la presenza di correnti di
sinistra nel movimento cecoslovacco, afferma che “l’aspetto caratterizzante del
processo di ‘liberalizzazione’ in Cecoslovacchia è stato quello di una
consapevole tendenza alla restaurazione capitalistica”[27].
Due sono quindi i cardini su cui si deve basare la riflessione dopo la
“primavera di Praga”:
1. la riconsiderazione della “natura sociale dell’URSS” in cui sarebbero
presenti “i sintomi di una tendenza coerente al ritorno alla produzione
capitalistica”
2. la valorizzazione della rivoluzione culturale e il ruolo della Cina nella
lotta di classe internazionale (anche se vengono segnalati dei limiti nel
persistente richiamo a Stalin e nella tendenza a creare “sezioni nazionali” dai
partitini “emmelle” presenti in Europa). Le stesse argomentazioni vengono
riprese da A. Illuminati (Bernieri), che tra l’altro aggiunge come l’analisi di
Trotsky della burocrazia fosse stata considerata dallo stesso dirigente
dell’Armata Rossa come provvisoria e da aggiornare. Secondo Trotsky la Russia
poteva tornare sulla strada del socialismo oppure retrocedere verso il
capitalismo, fenomeno che per Bernieri si era realizzato in maniera inedita.
Così Benedetti, aderendo alle posizioni di Bernieri e Berruti, rifiuta la
caratterizzazione del sistema economico sovietico come “capitalismo di stato”
ma è invece più incline a parlare di “società burocratico-manageriale”,
riecheggiando così le analisi di Burnham[28]
sulla rivoluzione dei tecnici.
A tali posizioni si contrappone Di Giuliomaria, che si scaglia contro il
latente opportunismo che starebbe dietro la volontà di allinearsi con le tesi in
voga a Pechino:
Alcuni compagni dicono che se non mutiamo la
nostra posizione sull’URSS rischiamo di tagliarci fuori da settori consistenti
del movimento studentesco. (...) Questo ragionamento implica una concezione
tattica di adattamento all’ambiente che ha costituito uno degli aspetti deleteri
dell’entrismo (...)[29].
Nell’autunno del 1968 tra la maggioranza dei GCR, che vuole “tuffarsi nei
movimenti” e abbraccia l’analisi maoista a proposito della situazione politica
internazionale, e la minoranza che resta legata ai paradigmi dell’analisi
trotskiana si arriva alla definitiva resa dei conti.
In un Comitato Centrale movimentato[30]
la nuova maggioranza, a cui aderiscono tra gli altri Mineo, Gorla, Vinci,
Illuminati, Corvisieri, propone con successo lo scioglimento dei GCR nel
movimento e soprattutto il concentramento dell’attenzione sul lavoro verso le
fabbriche dei gruppi di “Avanguardia Operaia” a Milano e “Iniziativa Operaia” a
Roma. La minoranza con Maitan, Paolicchi, Di Giuliomaria e Villone rigetta la
liquidazione e si ricostituisce come GCR.
Savelli (allora contrario allo scioglimento) ricorda:
Nell’autunno viene avanzata l’ipotesi di
sciogliere i Gruppi Comunisti Rivoluzionari. (...) La maggioranza dei compagni
si orienta per aderire a questa proposta: l’idea non è quella di sciogliere
l’organizzazione per costituirne un altra, su principi simili, all’interno del
movimento di massa che si era sviluppato nel corso dell’anno; ma liberarsi di
tutti i fardelli ideologici e politici per meglio assimilarsi al movimento di
massa (...)[31].
L’influenza decisiva del maoismo è segnalata da
Corvisieri:
L’allineamento alle posizioni cinesi fu massiccio
all’interno della nuova sinistra e anche la stragrande maggioranza dei
quartainternazionalisti non ebbe esitazioni. Ne seguì in pratica l’uscita in
massa dai “gruppi comunisti rivoluzionari” che , del resto si erano già sciolti
nel movimento (...). Il gruppo milanese, cui andava tutta la mia fiducia per il
successo avuto nell’organizzare alcuni nuclei di quadri operai e per aver
pesato in modo decisivo nel dichiarare superata l’ipotesi trotskista senza
peraltro sbandarsi nel mao-spontaneismo imperante, cominciò allora ad orientarsi
verso la fondazione di una nuova organizzazione, Avanguardia Operaia (...)[32].
In effetti la maggioranza non riesce a mantenersi compatta; ad Avanguardia
Operaia non aderiscono Illuminati e Russo, che si orientano verso un maoismo
ortodosso, mentre altri come Mineo prima fondano nel 1969 Il Circolo Lenin di
Palermo[33]
e poi confluiscono nell’esperienza del gruppo Il Manifesto.
Questi ultimi, al momento di strutturarsi in Circolo[34]
ed abbandonare formalmente i GCR, hanno ricostruito una loro versione del
dibattito che aveva portato alla scissione:
La causa di questa crisi è stata, innegabilmente,
il ritardo nell’abbandono della tattica entrista (che era stato deciso soltanto
nella conferenza nazionale dei GCR del marzo 1968). (...) L’organizzazione non
era pronta, nella maggior parte delle sue sezioni, ad effettuare rapidamente una
svolta tattica di tale ampiezza, ad inserirsi immediatamente e direttamente nel
movimento. Anche se il centro dirigente mostrò la capacità di analizzare, quasi
subito e in termini sostanzialmente esatti, le cause e le linee di tendenza del
movimento, ciò non valse a impedire lo sbandamento dell’organizzazione e il
successivo, inevitabile, insorgere di un’aspra polemica interna (...)[35].
Come abbiamo già segnalato, lo scontro tra le
due tendenze si sposta, dalla necessità di rompere con l’entrismo, alla
necessità, manifestata dalla maggioranza dei militanti, di sciogliere la sezione
italiana della Quarta Internazionale nel movimento di massa.
Pur propendendo per la seconda soluzione, noi del
gruppo di Palermo ritenevamo di pregiudiziale importanza il mantenimento
dell’unità della corrente trotskista in Italia. Ma il successivo irrigidimento
di entrambe le tendenze, ed il conseguente scadimento in termini settari del
dibattito, rendendo inevitabile la scissione, ci costrinse a riesaminare tutte
le nostre posizioni[36].
Di Giuliomaria e Savelli hanno adombrato il dubbio che dietro il ripudio della
Quarta Internazionale di molti ci fosse “la sfrenata ambizione
opportunistica di alcuni” che li portava ad accettare anche gli aspetti più
deteriori del ‘68.
Livio
Maitan più sobriamente ha richiamato l’essenza politica che divideva la
maggioranza e la minoranza:
Nel ’67 e nel ’68 c’era stato un ritardo da parte
della nostra organizzazione nel suo insieme nel comprendere quelle che erano le
forze che cominciavano a muoversi in rottura con il PCI o nel PSIUP. Noi non
ignoravamo quello che avveniva, anzi, con molti di questi militanti lavoravamo
insieme sia nel movimento studentesco che nei sindacati. Però non coglievamo il
fenomeno in tutta la sua portata. In quella divaricazione di posizioni che portò
alla scissione c’era questo nostro limite, l’incomprensione della profondità dei
processi in atto allora e da parte del gruppo che si andava raccogliendo attorno
a Gorla c’era l’idea che il PCI fosse ormai al collasso e in breve tempo
sarebbe stato spazzato via. Noi sottovalutavamo l’ampiezza e la profondità del
movimento mentre Gorla e gli altri “scissionisti” prendevano un abbaglio ancor
più grosso: ci sono voluti altri 25 anni perché il PCI finisse! E ancora oggi
c’è Rifondazione che apertamente fa riferimento a quella esperienza. Erano
quindi giustificati i nostri timori: si poteva pensare ad abbandonare
l’attività entrista ma bisognava attuare il processo cautamente per non restare
poi isolati. In realtà l’analisi che facevamo nel periodo entrista per cui le
forze più dinamiche sarebbero venute fuori dal PCI è stata confermata. La nuova
sinistra almeno nei primi anni viene da lì[37].
Altri ancora, come Villone, vedevano in questa crisi l’entrare in azione della
pressione ideologica di movimenti estranei alla classe operaia, di cui
l’approssimazione della preparazione dei militanti era solo un riflesso che li
metteva alla mercé degli sbandamenti peggiori, fenomeni che la direzione di
Maitan non aveva sufficientemente combattuto.
Ma per avere una analisi autocritica complessiva dell’esperienza entrista
bisognerà attendere il 1972 quando L. Maitan, in un lungo saggio[38]
dedicato alla questione del partito, riassumerà le ragioni scatenanti della
crisi del ’68 nel ritardo dell’attuazione della fuoriuscita dal PCI in relazione
alla rapidità della radicalizzazione, ma anche nel mancato lavoro di formazione
dei quadri e dalla dimensione troppo “liberale” della strutturazione interna.
Tra coloro che lasciarono l’organizzazione, Gorla, ricollocando in un più ampio
quadro gli avvenimenti interni ai GCR negli ultimi mesi del ’68, continua a
ritenere che lo scioglimento dei GCR fosse inevitabile e corretto, in quanto era
tutto il quadro precedente in cui si era mossa la lotta di classe che stava
entrando in crisi.
Si pensi
all’America: prima c’è il movimento dei diritti civili e i Black Panthers, la
Guerra del Vietnam e quindi una nuova politicizzazione che coinvolge grandi
masse giovanili, che alimenta un fenomeno contestativo che giunge in Europa.
Inoltre si mettono in moto enormi masse
studentesche, si affermano nuovi modi di pensare e nuovi costumi, che
avvicinando i giovani operai ai giovani studenti, rompono uno schema antico.
Infine c’era altro aspetto della questione: incominciava allora la crisi del
PCI, come rappresentante della ‘classe generale’. Si verificano in un breve
lasso di tempo tutta una serie di categorie interpretative del reale di
carattere politico e teorico che avevano animato la storia della sinistra
comunista. Una storia determinata soprattutto dagli Stati operai e dal movimento
operaio collegato a quegli stati.[39]
Gorla, oggi, ritiene che la crisi del movimento operaio e del marxismo, che si
sconta nella paralisi degli anni ’80 e ’90, sia iniziata proprio con quelle
trasformazioni epocali che venivano allo scoperto per la prima volta proprio nel
’68.
I futuri fondatori di AO (Avanguardia Operaia), come del resto Flores D’
Arcais, Illuminati e Mineo, erano arrivati alla conclusione che l’antistalinismo
fosse stato acquisito geneticamente dal movimento, e quindi la volontà di
mantenere in piedi una struttura organizzata come la Quarta Internazionale
fosse del tutto perniciosa, impedendo di fatto il ricongiungimento del
trotskismo con correnti “obbiettivamente di sinistra come il maoismo e il
castrismo”[40].
I GCR alla fine del 1968 sono ridotti a ben poca cosa. Ormai, di fatto fuori dal
PCI, hanno perso più di 3/4 dei circa 200 militanti su cui potevano contare su
scala nazionale prima della “scissione silenziosa”. L’organizzazione interna è
sfilacciata, se non totalmente paralizzata; molti gruppi di fatto non esistono
più, sono rimasti nell’organizzazione i militanti di più vecchia data, ma anche
i più demoralizzati, mentre si tenta ancora di recuperare quelli che hanno
abbandonato l’organizzazione.
La sezione italiana, su cui negli anni precedenti si era concentrato
l’attenzione del Segretariato Unificato, assieme ovviamente, ma in
subordine, alla Francia, in vista della formazione di una organizzazione
nazionale che superasse i limiti del piccolo gruppo di propaganda, era quella,
invece, che subiva i maggiori contraccolpi della radicalizzazione studentesca.
Pesava soprattutto il fatto che avevano abbandonato l’organizzazione proprio
quei militanti che erano inseriti nei movimenti e collegati con i quadri operai
radicalizzati.
Nel ’68 e negli anni a venire le organizzazioni trotskiste, non solo del S.U.[41],
in molte realtà nazionali, conobbero una crescita consistente divenendo, in
alcuni casi, piccoli partiti con qualche influenza di massa, malgrado i loro
quadri provenissero principalmente dalla gioventù studentesca.
La sezione italiana invece subì un crollo dal quale si riprese solo parzialmente
negli anni successivi, restando per tutti gli anni ’70 una delle organizzazioni
con un radicamento nazionale molto fragile.
Le peculiarità del ’69
Se il ’68 è stato identificato come l’anno degli studenti, il ’69
dell’“autunno caldo” è sicuramente l’anno degli operai, dei consigli di fabbrica
e degli scioperi selvaggi. Ed è durante quest’anno che si vanno strutturando
quelle che saranno le organizzazioni della Nuova Sinistra. Tuttavia la
formazione e la strutturazione delle principali organizzazioni in “Partito”[42]
non è automatica né lineare (Potere Operaio si scioglie già nel 1973).
L’autunno del ’69 è preannunciato dalla rivolta radicale degli operai della FIAT
di Torino, in primavera. La lotta, che inizia sotto gli auspici del sindacato,
in un secondo tempo viene in alcune grandi fabbriche egemonizzata dagli “operai
massa”, cui si sono venuti unendo dall’esterno gli studenti e alcuni
“rivoluzionari professionali” come Sofri, giunto appositamente dalla Toscana.
Gli scioperi si moltiplicano, la testata Lotta Continua inizia ad
apparire nei volantini dell’“assemblea operai-studenti”. Le rivendicazioni,
immediatamente comprensibili, (aumenti uguali per tutti, eliminazione del
cottimo), non vengono recepite dall’accordo sindacale della fine di giugno. La
risposta delle avanguardie della lotta, sfocia nella “battaglia di Corso Traiano”,
che diverrà un po’ l’atto fondativo di Lotta Continua.
In autunno la mobilitazione operaia comincia con gli scioperi per il rinnovo del
contratto dei metalmeccanici e si estende rapidamente in tutti settori, in tutte
le fabbriche. La formazione di Consigli di fabbrica, ma anche di CUB (Comitati
Unitari di Base), sono la peculiare espressione di un riemergente attivismo
operaio che era stato a lungo anestetizzato.
I sindacati confederali lungi dal boicottare la lotta riusciranno per tutto il
periodo a mantenerla nel quadro delle compatibilità. L’accordo del dicembre
dello stesso anno portava a consistenti vantaggi per i lavoratori che ottenevano
aumenti uguali per tutti, la diminuzione della settimana lavorativa, il diritto
dei sindacati ad organizzare la propria attività in fabbrica e preannunciava
quella riforma legislativa poi chiamata “Statuto dei lavoratori” dell’anno
seguente. Benché i gruppi di estrema sinistra parlassero di “accordo-bidone”,
questo recepiva le principali richieste della stragrande maggioranza di quel
movimento che, lungi dall’essere “spontaneamente anticapitalista”, non era mai
uscito dal quadro delle rivendicazioni tradeunionistiche, favorite anche
dall’avvicinarsi della società italiana alla soglia della piena occupazione e
dalla chiusura al ribasso della precedente tornata contrattuale.
Il ’69 rappresentò, in ultima analisi, una vittoria dei sindacati e segnò la
ripresa del loro peso politico che si rafforzerà negli anni seguenti.
I GCR nel 1969
La XIII Conferenza nazionale dei GCR che si tiene nel marzo del 1969, a solo un
anno di distanza dalla precedente, ha scopi più organizzativi che politici. Si
tratta, come ha ricordato Maitan, di verificare “chi è rimasto e chi ci ha
abbandonato, di segnare dei precisi confini organizzativi”[43].
Il resoconto di Bandiera Rossa della Conferenza è assai scarno: si
afferma che vi hanno partecipato “circa quaranta compagni provenienti da dieci
città d’Italia”[44].
Franco Grisolia che aderisce proprio in quella fase ai GCR, afferma che,
probabilmente, i militanti dei GCR non superavano la cinquantina[45],
mentre E. Pellegrini qualche anno dopo in un documento interno, scriverà che “a
lavorare alla ricostruzione dei GCR furono una decina di compagni in tutto”[46].
In relazione alle tendenze centrifughe, che hanno portato all’esplosione
dell’organizzazione dell’anno prima, non ci sono nel resoconto della Conferenza
pubblicato in Bandiera Rossa tentativi di analisi, se non la
riaffermazione che i gruppi formatisi dalla frammentazione dei GCR
“oggettivamente hanno rappresentato un cedimento a tendenze spontaneistiche o
localistiche”[47].
Ed effettivamente, in quel momento, se si eccettua il gonfiamento delle
formazioni m-l, non è ancora cominciata l’espansione delle organizzazioni
d’estrema sinistra.
La relazione di Maitan si concentra sulla situazione che si è venuta a creare
negli ultimi dodici mesi, tenendo conto che l’usura della situazione italiana si
combina con tensioni internazionali che portano a
(...) una situazione in cui i vari strati e
gruppi sociali non egemoni subiscono una spinta prepotente a uscire dai vecchi
schemi, a rovesciare i vecchi tabù, ad infrangere tutte le compressioni a e
muoversi “liberamente” secondo la logica dei loro interessi più diretti e delle
loro più dirette aspirazioni. Di qui la tendenza al dilagare di movimenti
spontanei nel senso che nessuna forza politica ne assume l’egemonia, né funge da
catalizzatore generalizzante[48].
In una situazione così effervescente
(...) alcuni margini di concessioni esistono ed
esiste soprattutto la necessità politica impellente per le classi conservatrici
di fare questi tentativi[49].
Allo stesso tempo questi tentativi potrebbero dare risultati opposti a quelli
cercati aumentando la fiducia dei lavoratori e degli studenti in lotta. La
stessa ipotesi di gestire la crisi politica attraverso un inserimento del PCI al
governo viene considerata dai GCR altamente improbabile, mentre la formazione di
gruppi alla sua sinistra “non autorizza l’ipotesi di larghe spaccature
verticali”[50]
nelle organizzazioni tradizionali del movimento operaio. E in polemica indiretta
con gli scissionisti, che avevano fatto già il “funerale” al PCI e ai sindacati,
la relazione constata che non solo PCI e sindacati “esistono”, ma anche che
“dispongono di ampi margini di manovra”[51].
Le priorità su cui basare la ricostruzione dell’organizzazione, che mantiene un
qualche radicamento a Roma e Torino, diventano i “gruppi d’intervento”[52]
verso le fabbriche. Su questa base i GCR ricominceranno a tessere il filo della
costruzione di un’organizzazione marxista rivoluzionaria in Italia[53].
Il IX Congresso Mondiale del Segretariato Unificato
Il Congresso Mondiale del Segretariato Unificato del 1969 si svolge in un
momento di crescita complessiva dell’organizzazione su scala planetaria, sia dal
punto di vista dell’estensione geografica (con la formazione di sezioni
significative in Asia ed Africa), sia di quello della crescita delle singole
sezioni nazionali. Ma le tesi precongressuali producono un dibattito tutt’altro
che scontato, la cui importanza per dimensione strategica e politica rimanda al
dibattito del III Congresso Mondiale sulla “svolta pablista”.
I documenti congressuali affrontano questioni come “la nuova ascesa della
rivoluzione mondiale”, “la rivoluzione culturale” in Cina (presentata da Maitan),
“il futuro immediato del lavoro dell’Internazionale verso la gioventù
radicalizzata e operaia” e “ le prospettive della rivoluzione latino-americana”[54].
Ma se prime tre risoluzioni, pur rispecchiando un ampio ventaglio di posizioni,
vengono sostanzialmente accettate dalla stragrande maggioranza
dell’organizzazione, l’ultima, la risoluzione sui compiti della Quarta
Internazionale nel subcontinente latinoamericano, produce una profonda
spaccatura nell’organizzazione (la risoluzione è approvata con circa il 30% dei
voti contrari).
Questa risoluzione proclama che ‘la prospettiva
fondamentale, la sola prospettiva realistica per l’America Latina, è quella di
una lotta armata che potrebbe durare per molti anni. Ciò perché la preparazione
tecnica non può essere concepita solamente come uno degli aspetti del lavoro
rivoluzionario, ma come l’aspetto fondamentale su scala continentale (...)[55].
Si intende, concretamente, rimettere in discussione la concezione classica
leninista della preparazione rivoluzionaria, che passa attraverso una lenta
costruzione del partito coniugata all’ascesa e mobilitazione del movimento di
massa principalmente urbano, per rimpiazzarla con una tattica guerrigliera “di
lunga durata”. Joseph Hansen, storico dirigente del SWP americano, si oppone a
questa linea a nome principalmente del suo partito, del leader contadino
peruviano Hugo Blanco e della fazione del PRT (Partido Revolucionario de los
Trabajadores) argentino guidata da Nauhel Moreno[56].
Hansen afferma non solo che la Quarta Internazionale si fa fagocitare dal
mito guevarista che pervade la sinistra rivoluzionaria mondiale ma ammonisce che
tale linea sarebbe un disastro per tutto il movimento, in quanto
(...) potrebbe essere difficilmente confinata
all’America Latina o anche al mondo coloniale più in generale, in quanto le
stesse tendenze ultrasinistre a cui ci si adatta sono operative nei centri
imperialisti”[57].
Questa opposizione si verrà raggruppando prima in tendenza, TLT (Tendenza
Marxista Leninista) e poi in frazione[58],
FLT (Frazione Leninista Trotskista) tra la fine del 1972 e l’inizio del
1973, mentre anche la maggioranza si organizzerà in tendenza denominandosi TMI (Tendenza
Maggioritaria Internazionale).
Il dibattito precongressuale in Italia su queste questioni non è particolarmente
aspro e forse neppure si presagiscono le implicazioni e le conseguenze che ha la
discussione sulla lotta armata in Bolivia o in Argentina. Sarà solo
all’approssimarsi di un bilancio su tale tattica, durante il dibattito
precongressuale mondiale del 1973-74, che tale dibattito inizierà a trovare
proseliti in Italia e inaugurerà l’epoca delle scissioni.
La formazione del gruppo de Il Manifesto e i GCR
Il gruppo di dirigenti nazionali e provinciali (Aldo Natoli, Massimo Caprara,
Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, ecc.), che viene radiato dal PCI
dopo aver pubblicato dal mese di giugno del ‘69 il mensile Il Manifesto,
non è di quelli che può passare inosservati. Questi quadri hanno condotto la
battaglia al XI Congresso del PCI (ingraiani senza Ingrao) per il rinnovamento
del partito e con gli avvenimenti del ’68 hanno approfondito il loro
atteggiamento critico. Inoltre la loro radiazione dal partito è seguita da altre
radiazioni e dimissioni di militanti comunisti in varie città d’Italia.
Il gruppo produce una inedita sintesi di diverse culture politiche, che pur
senza rompere con il togliattismo, si collega alle elaborazioni della Scuola di
Francoforte, senza mancare all’appuntamento con l’infatuazione maoista. Ne viene
fuori così una interpretazione, ricca e confusa al tempo stesso, in cui si
mischiano parole d’ordine riformiste con disquisizioni sulla “maturità del
comunismo” e degli “obbiettivi prefiguranti”.
I GCR che, soprattutto nella federazione romana, negli anni precedenti sono
stati a contatto con questi militanti, non possono non vedere con interesse
l’evoluzione di una parte del gruppo dirigente del PCI. In un documento a
circolazione interna, proprio a ridosso delle radiazioni, i GCR difendono il
diritto di questi militanti a esprimersi liberamente, anche se ne criticano
l’astrattezza intellettuale e i frequenti cedimenti opportunistici.
Già nel mese di dicembre è evidente che il fenomeno della dissidenza ingraiana
che abbandona il partito è vasta abbastanza da preoccupare Botteghe Oscure anche
perché i radiati, all’esterno del partito, trovano brodo di coltura e non
l’isolamento. In quel momento la parabola e le prospettive del gruppo non sono
ancora delineate, e quindi i GCR puntano a impostare un dibattito sulla
questione delle questioni del partito rivoluzionario:
(...) i compagni de il Manifesto giudicano con
una certa altezzosità tutti i gruppi della sinistra rivoluzionaria di cui
mettono in luce soprattutto l’estrema frammentazione e lo imperversante
settarismo (...)”[59].
Questi limiti, non negati dai GCR, vengono però ricondotti dai trotskisti
italiani alla forbice tra condizioni obbiettive e soggettive della rivoluzione.
Malgrado ciò
(...) se i gruppi e i sottogruppi sono
innumerevoli, i filoni fondamentali si riducono, in fondo, a tre, cioè allo
spontaneismo, al maoismo e al trotskismo (il castrismo è limitato alla America
Latina) tre concezioni e movimenti che hanno tutta una parabola storica e una
portata internazionale e che sono riemersi puntualmente in occasioni cruciali
come il maggio ’68 in Francia[60].
A distanza di qualche mese, quando Il Manifesto comincia delineare in
modo sistematico le sue opzioni strategiche nelle “Tesi sul comunismo”, i GCR
risponderanno con una lunga critica pubblicata sotto forma di opuscolo.
Se il punto di partenza delle tesi, e cioè la necessità di arrivare a una
omogeneizzazione delle forze critiche che si sono sviluppate a sinistra del
PCI, trova consenzienti i GCR, nel merito le differenze restano profonde.
I GCR respingono l’impostazione del Manifesto secondo cui l’involuzione
più profonda del movimento comunista sarebbe avvenuta dopo lo stalinismo,
in ciò conseguenti con il maoismo ortodosso, e il loro atteggiamento conciliante
verso la politica dei Fronti Popolari. Infatti per gli estensori delle tesi il
Fronte Popolare “non sarebbe riconducibile al riformismo, anche se con esso ha
molti punti in comune”[61].
Inoltre i GCR non condividono la caratterizzazione dell’URSS come “capitalista
di stato” (unite alle note apologetiche sulla costruzione del socialismo in
Cina):
(...) la tesi 42 abbozza un’interpretazione in
parte almeno ‘originale’. La restaurazione nell’URSS avverrebbe in virtù di una
‘annessione all’area del mercato imperialistico mondiale’ e di un ‘massiccio
sviluppo degli scambi comportando “una sostanziale omogeneizzazione del tipo di
sviluppo e del livello di produttività”[62].
Sulle questioni più di fondo i trotskisti italiani intravedono nelle
argomentazioni del gruppo degli ingraiani una sottovalutazione dei ritmi della
fase di transizione al comunismo e della preparazione rivoluzionaria. Nel primo
caso Il Manifesto tende a far coincidere la possibilità storica del
comunismo con la sua realizzabilità immediata e nel secondo caso a concedere
spazio alla moda spontaneista, non tenendo conto che in qualsiasi rivoluzione
viene a crearsi una fase di dualismo di poteri.
Invece, sulla concreta situazione italiana l’analisi dei GCR tende in larga
parte a convergere con quella de Il Manifesto. Inoltre i GCR si trovano a
concordare con il gruppo della Rossanda sull’impossibilità, in Italia, di non
fare i conti sulla “questione comunista”: “senza una rottura feconda
dell’organizzazione maggioritaria della classe”, senza la capacità di
approfondire le contraddizioni nel grande partito di “Gramsci/Togliatti/Longo e
Berlinguer” non è possibile poter pensare alla costruzione del partito
rivoluzionario.
La chiusura dei contratti e Piazza Fontana
Il ’69 ha un finale convulso. Nel dicembre viene chiuso il contratto dei
metalmeccanici, mettendo fine alla più difficile vertenza del dopoguerra, e
sempre nello stesso mese scoppiano bombe a ripetizione (la più devastante è
quella ovviamente alla Banca della Agricoltura di Milano), mentre Pino Pinelli,
ferroviere anarchico, “vola” misteriosamente dal quarto piano della questura.
Per quanto riguarda il contratto i GCR prendono le distanze dall’estremismo:
nel complesso ci pare difficile considerarlo
semplicemente un bidone come tendono a fare i gruppi estremisti come Lotta
Continua.
Infatti il nuovo contratto (...) si presenta pur
sempre come una conquista importante (e galvanizzante) agli occhi di quelle
vastissime masse operaie che non erano state ancora toccate dalle esperienza più
avanzate di lotta del ’68 - ’69 (...)[63].
Allo stesso tempo nell’articolo viene segnalato
come i risultati sono comunque inadeguati rispetto alle possibilità del momento,
sia come disponibilità economica del capitalismo italiano, che come forza
contrattuale degli operai stessi.
Che un biennio così turbolento abbia aperto delle lacerazioni e un nuovo, più
alto livello, di scontro, si comprende dalla cosiddetta “strategia della
tensione”, che prende il via a Milano con la strage di Piazza Fontana e che
proseguirà per qualche anno in tutta l’Italia.
I GCR in questa prima fase non sembrano cogliere la dimensione degli
avvenimenti. Bandiera Rossa commenta la strage di Piazza Fontana e il
“suicidio” di Pinelli con uno scialbo articolo di fondo titolato “Le manovre
della destra falliranno se le masse non ripiegheranno” e una nota in seconda
pagina sulla repressione contro l’estrema sinistra che, singolarmente, a Pinelli
non fa neppure cenno di passata. Contro la repressione del movimento che i GCR
vedono incipiente c’è l’invito a costruire il fronte unico.
Comunque la battaglia di controinformazione che lancerà da lì a poco Lotta
Continua e le altre organizzazioni dell’estrema sinistra sulla “Strage di
Stato” verrà ripresa e sostenuta, come vedremo, anche dai GCR.
[1]
Tra il 1955 e il 1970 il saldo dei movimenti migratori interni per il sud
Italia fu di 2.21.300 abitanti a negativo pari a circa il 7% della
popolazione, mentre prendendo in esame solamente l’anno 1962 (uno degli anni
con maggior tendenza migratoria) la percentuale aumenta al 12,2%. Fonte G.
Galeotti I movimenti migratori interni in Italia. Analisi statistica e
programmi di politica citato in S. Lanaro “Storia dell’Italia
Repubblicana” (Venezia, 1992)
[2]
Classe Operaia n° 1, 1964 “Lenin in Inghilterra”
[3]
Per una stringata sintesi di tale interpretazione si veda G. Mammarella - Z.
Ciffoletti “Il declino” (Milano, 1996).
[4]Il
movimento bordighista rimase assente dalle mobilitazioni studentesche
bollate immediatamente come piccolo borghesi.
[5]
JCR “La rivoluzione in Francia” (Roma, 1968)
[6]
Si tratta del documento sulla radicalizzazione delle nuove generazioni su
scala mondiale redatto in preparazione del IX Congresso della Quarta
Internazionale nel 1969 e pubblicato in Italia nel volume AA.VV.
“Marxismo e movimento studentesco” (Roma, 1970)
[10]
“Lettera di L. Vinci.....” cit.
[11]
Bandiera Rossa n 1 1 gennaio 1968 “Situazione e tendenze del
movimento operaio e orientamento dei comunisti rivoluzionari. Un documento
di discussione per la XI Conferenza nazionale”.
[12]
Bandiera Rossa ibdem
[13]
Bandiera Rossa ibdem
[14]
Bandiera Rossa ibdem
[15]
Bandiera Rossa ibdem
[16]
Sintesi dell’intervento di Marchi (G. Savelli) alla XII Conferenza dei GCR
in Bandiera Rossa, n 8 15 aprile 1968 “La svolta politica decisa dopo
un acceso dibattito”.
[17]
Sintesi dell’intervento di L. Villone alla XII Conferenza Nazionale dei GCR
in Bandiera Rossa cit..
[18]
Sintesi dell’intervento di Simeoni (E. Pellegrini) alla XII Conferenza
Nazionale dei GCR cit.
[19]
Sintesi dell’intervento di Foscari (P. Flores d’ Arcais) alla XII Conferenza
Nazionale dei GCR cit.
[20]
Sintesi dell’intervento di Danesi (S. Corvisieri) alla XII Conferenza
Nazionale dei GCR cit.
[21]
Sintesi dell’intervento di Riva (L. Vinci) alla XII Conferenza Nazionale dei
GCR. cit.
[22]
Replica di L. Maitan in Bandiera Rossa n 7 1 aprile 1968
[23]
Si tratta di L. Maitan “L’esplosione rivoluzionaria in Francia” (Roma, 1968)
[24]
S. Corvisieri ,op. cit. La illuminazione di Corvisieri sulla via
di Pechino è emblematica di come il maoismo venisse assunto in maniera
del tutto acritica. Le considerazioni che portavano Pechino a scomunicare
Mosca non furono mai di gran profondità teorica. Piuttosto, in filigrana,
era leggibile lo scontro geopolitico e per l’egemonia sul movimento
comunista tra Cina e URSS.
[25]
Bollettino interno “La questione cecoslovacca: alcuni elementi di analisi”
[Archivio Gambino-Verdoja] 1968
[28]
James Burnham dirigente del SWP negli anni ’30, abbandona l’organizzazione
trotskista mentre sta scoppiando il secondo conflitto mondiale, dopo una
violenta polemica con Trotsky a proposito della natura sociale dell’URSS.
Spostatosi sempre più su posizioni di destra, Burnham inizia negli anni ’40
una prolifica attività come scrittore. In Italiano oltre alla “Rivoluzione
dei tecnici” (Milano, 1946) sono stati tradotti “I difensori della libertà”
(Milano, 1947), “La lotta per il mondo” (Milano, 1948), “L’inevitabile
disfatta del comunismo” (Milano, 1953).
[29]
Bollettino interno op. cit. pag. 7
[30]
Su tale sessione del CC dei GCR non è stato possibile reperire alcun
documento. E’ molto probabile che lo stato di dissoluzione organizzativa e
la demoralizzazione abbiano portato a non compilare verbali della sessione.
Che tale ipotesi abbia fondamento mi è stato confermato da diversi
partecipanti.
[31]G.
Savelli “Riforme e libertà” (Milano, 1996) pag. 222
[32]
S. Corvisieri, op.cit.
[33]
Oltre alla sezione locale dei GCR confluì nel “Lenin” anche il circolo “A.
Labriola”. Nel Circolo Lenin militò anche C. Mineo oggi noto giornalista
RAI.
[34]
L’uscita dai GCR è del febbraio-marzo 1969
[35]
“Il circolo Lenin di Palermo” ( Palermo, 1969) presso la Biblioteca comunale
di Follonica su donazione di P. E. Fornaciari pag. 7
[37]
“Intervista dell’autore a Livio Maitan” (gennaio, 1996) inedita.
[38]
L. Maitan “Verifica del leninismo in Italia (1968-1972)” in E. Mandel-L.
Maitan “Il partito leninista” (Roma, 1972).
[39]
Y. Colombo “Intervista a M. Gorla” intervista citata.
[40]
Questa argomentazione è stata ripresa, praticamente senza variazioni, dal
SWP (US) alla metà degli anni ’80 al momento di abbandonare il S.U. e
avvicinarsi al castrismo.
[41]
Non solo organizzazioni del Segretariato Unificato come la LCR
francese e il SWP americano conobbero un significativo sviluppo durante il
’68 e gli anni seguenti ma anche organizzazioni del C.I. come la SLL (Socialist
Labour League) inglese di Gerry Healy, il POR (Partido Obrero
Revolucionario) boliviano e l’OCI (Organisation Communiste
Internationale) francese o formazioni di altra provenienza come
Voix Ouvrierè (poi Lutte Ouvrière) francese e gli
International Socialism inglesi. Si ha notizia della presenza perlomeno
a Torino di gruppi italiani legati al C.I (vedi “La IV Internazionale e
certi ‘trotskisti’” (Torino, ciclostilato 1968 - [Archivio Gambino-Verdoja]).
Su tali gruppi c’è la testimonianza di F. Grisolia che nella intervista
concessami parla di “entrismo dei lambertisti nella sezione parigina del
PSIUP”.
[42]
Il Manifesto si struttura in PdUP per il comunismo (Partito
d’Unita Proletaria per il comunismo) solo nel 1974, Lotta Continua
ha il suo primo Congresso nazionale nel 1975, il Movimento
Studentesco della Statale si trasforma in Movimento Lavoratori per il
Socialismo nel 1976 mentre Avanguardia Operaia ancora nel 1972
non è che un gruppo locale.
[43]
L. Maitan”, intervista citata.
[44]
Bandiera Rossa n. 3 15 marzo 1969 “Dibattito e nuovi organismi
direttivi”. Le città erano Torino, Milano, Venezia, Verona, Bari, Taranto,
Genova, Livorno, Napoli e Roma.
[45]
Intervista dell’autore a F. Grisolia” (ottobre 1995-gennaio 1996).
[46]
Documento interno E.Pellegrini “Il prezzo dell’inazione” 10 aprile 1971
[47]
Bandiera Rossa n .3 art. cit.
[48]
Bandiera Rossa n .3 15 marzo 1969 “I trotskisti italiani hanno
definito i loro orientamenti”.
[49]
Bandiera Rossa n. 3 ibdem.
[50]
Bandiera Rossa n .3 ibdem.
[51]
Bandiera Rossa n. 3 ibdem.
[52]
I gruppi presenti nel ’69 sono concentrati a Roma, Frosinone, Bari e Torino
vedi “Iniziativa Operaia” bollettino n 2, 1969 [Archivio Gambino-Verdoja]
[53]
In un inedito manoscritto di Paolo E. Fornaciari che potremmo definire una
sorta di “lineamenti per una storia dei GCR” si afferma che: “In tutta la
fase della ricostruzione a partire da livelli elementari, quale fu quella
del 1969-1970, i GCR si trovarono a confrontarsi con compiti talmente
enormi, che avrebbero spazzato via qualsiasi organizzazione che non avesse
una saldezza ideologica più che consistente” pag. 24-25 anche se poi che la
ricostituzione dei GCR fu il possibile solo perché continuava “l’alta marea
del movimento”.
[54]
Vedi Quatrième Internationale maggio 1969
[55]
R. Alexander “International Trotskyism” ( Durham-London 1991) pag. 750
(nostra traduzione)
[56]
Non casualmente si trattava di due forze che erano rientrate nella Quarta
Internazionale solo nel Congresso di riunificazione del 1963.
[57]
R. Alexander op. cit. pag. 752.
[58]
Seguendo i canoni in uso nel Partito Bolscevico fino al 1921,
nell’Internazionale trotskista è possibile formare tendenze e frazioni
organizzate quando una minoranza dell’organizzazione non condivide le scelte
della maggioranza. Questa ha il diritto di presentare le sue istanze in
tutte le sedi competenti e di produrre anche documenti a circolazione
interna pur mantenendo la disciplina esterna, In realtà il funzionamento
federalistico del S.U. ha portato spesso in sezioni nazionali dove
esistevano posizioni divergenti alla formazioni di due formazioni politiche
indipendenti tra loro e concorrenti ma entrambe riconosciute
dall’Internazionale (sezioni ufficiali e simpatizzanti).
[59]Bandiera
Rossa n 1 gennaio 1970 “Il
manifesto di fronte a una svolta decisiva”
[60]Bandiera
Rossa, ibdem
[61]Gruppi
Comunisti Rivoluzionari “Risposta
alle tesi del Manifesto” (Roma, 1970) pag. 13
[63]
Bandiera Rossa n 11 gennaio 1970 “I nuovi contratti sono inadeguati
ma la coscienza operaia esce rafforzata”
|