IL TROTSKISMO IN ITALIA (1943-1967)
“Amo il mio secolo perché è la patria che
possiedo nel tempo.” (Lev Trotsky)
I primi passi
Quando il trotskismo
italiano inizia ad operare politicamente nella penisola occupata dagli alleati e
dai nazisti, ha già una piccola ma burrascosa storia alle sue spalle. I primi
piccoli gruppi trotskisti italiani sono sorti nell’esilio francese soprattutto
dall’impulso di tre dirigenti del CC del PCI (Tresso, Ravazzoli e Leonetti) in
opposizione alla svolta del “terzo periodo” impressa dall’Internazionale
Comunista a partire dal 1929. La Nuova Opposizione Internazionale
(NOI), durante la sua breve esistenza, è dilaniata da divisioni politiche e
problemi di diversa natura[i]
e già alla metà degli anni ’30 è di fatto sciolta.
Alfonso Leonetti, sempre più
dubbioso sulla rottura definitiva con lo stalinismo, finirà per combattere la
Resistenza nelle fila del PC Francese. Nel PCI rientrerà, dopo un lungo
purgatorio ma con il beneplacito di Togliatti, nel ’62. Ravazzoli e Bavassano,
invece, approfondendo i motivi del loro dissenso, rompono con il marxismo
rivoluzionario aderendo al PSI, dopo una fugace passaggio attraverso
Giustizia e Libertà. Solo Tresso e un altro manipolo di militanti
continueranno a rimanere trotskisti, aderendo alle sezioni trotskiste francesi
più o meno ufficiali. Tresso avrà anche il destino più tragico, ma purtroppo non
insolito per un dirigente trotskista dell’epoca: sarà eliminato nel 1944 dagli
stalinisti francesi, dopo essere passato per le prigioni del regime di Vichy.
Al doppio appuntamento del
25 luglio e dell’8 settembre 1943, quindi, i militanti italiani che hanno
mantenuto le consegne di Trotsky sono una manciata. Tra questi c’è sicuramente
Nicola Di Bartolomeo. Divenuto trotskista in esilio (dopo essere stato
bordighista) non ha mai legato con il gruppo dei “tre”[ii].
Combattente in Spagna prima nelle fila del POUM (Partido Obrero de
Unificaciòn Marxista) e poi nel gruppo Le Soviet da lui stesso
promosso, si trova in confino alle isole Tremiti quando crolla il Regime
fascista[iii].
Tornato in libertà, con i
compagni del confino organizza un piccolo gruppo trotskista, che agisce nel Sud
Italia all’interno del Partito Socialista, mentre è in prima persona coinvolto
nella ricostruzione e organizzazione della CGL in Campania.
Nel frattempo entra in
contatto con un marine di stanza a Napoli militante del Workers’ Party[iv]
e quindi con altri soldati trotskisti dell’esercito alleato. Sono questi a
segnalargli di aver visto in Puglia dei manifesti inneggianti alla Quarta
Internazionale[v].
In realtà il POC (Partito Operaio Comunista), diretto da Romeo Mangano,
che ha diffuso quei manifesti, è un piccolo partito con un discreto radicamento
regionale, molto più affine alle posizioni classiche della Sinistra Comunista
Italiana che al trotskismo. Di Bartolomeo finirà per realizzare con questa
organizzazione un’affrettata unificazione all’inizio del 1945, che darà vita al
POC (Bolscevico-Leninista) sezione ufficiale della Quarta Internazionale
in Italia.
L’inizio di un chiarimento
tra il Segretariato Internazionale della Quarta Internazionale e i
militanti pugliesi (che rappresentano la stragrande maggioranza del POC (b-l),
cui nel frattempo aveva aderito Libero Villone[vi]
proveniente dalla esperienza della Frazione dei Socialisti e Comunisti
Italiani con Amadeo Bordiga) avverrà solo a partire dal 1947, quando un
gruppo di giovani militanti socialisti aderenti alla corrente di Iniziativa
Socialista entra in contatto con la Quarta Internazionale.
Nell’aprile 1947 Livio
Maitan si recò a Parigi in qualità di delegato della FGS al Congresso
dell’omonima federazione del partito socialista francese (SFIO). Fu in quella
occasione che, in un piccolo caffè del centro parigino, egli incontrò un
militante della sezione francese dell’Internazionale trotskista, Ernest Mandel[vii].
Livio Maitan, veneziano,
classe 1923, rappresenta la continuità non solo del trotskismo in Italia ma
anche nel mondo (assieme, per molto tempo, proprio ad Ernest Mandel, scomparso
da qualche anno). Minuto e solitario un po’ come la corrente che incarna, autore
di numerosi saggi sui più svariati temi politici, traduttore delle principali
opere di Trotsky apparse in Italia, ottimo conferenziere per incisività e
capacità di sintesi, ha vissuto tutto il travaglio di questi cinquanta anni di
trotskismo italiano come parte in causa, sempre prima di tutto come militante.
Quando aderisce alla “Quarta” ha alle spalle, prima dell’attività nel PSI, le
agitazioni studentesche contro il fascismo e una lettura che lo ha entusiasmato:
La mia vita l’autobiografia del fondatore dell’Armata Rossa.[viii]
Il gruppo di giovani
dirigenti socialisti, oltre a Maitan, che simpatizza per la Quarta
Internazionale, è formato da Ruggero Mura, Giorgio Ruffolo, Giuseppina
Verdoja (che aderiranno al trotskismo), Gaetano Arfè e Rino Formica futuri
dirigenti del PSI. Essi hanno partecipato perfino alla scissione di Palazzo
Barberini in nome di una malintesa e illusoria scelta “autonomista”[ix];
ora le scelte sempre più filo-atlantiche della direzione di Saragat li spingono
a cercare un’alternativa organizzativa.
Ma è solo nel 1948, con il
II Congresso della Quarta Internazionale, che il POC viene espulso e il
Segretariato Internazionale dà l’impulso alla uscita della rivista “4°
Internazionale”, fulcro della riorganizzazione della sezione italiana.
Confluiscono in tale esperienza la
minoranza del POC di derivazione ortodossamente trotskista (Villone, Nardini,
Bellamio) e i giovani socialisti che hanno rotto con il Partito Socialista
dei Lavoratori Italiani (denominazione del futuro PSDI).
Il nucleo di “4°
Internazionale”, estremamente debole, sarà costretto ad essere solo un
commentatore della nuova fase politica che si apre in Italia dopo la rottura
dell’Unità Nazionale e le elezioni del 18 aprile 1948.
E, in uno dei primi numeri,
il giornale del neonato gruppo trotskista inizia a fare un bilancio della
esperienza fatta dal movimento operaio nel periodo postbellico:
La conclusione che “4°
Internazionale” ne trae è che il proletariato è stato sconfitto non perché abbia
troppo osato, bensì perché le direzioni dei partiti socialista e comunista hanno
deviato la forza operaia incanalandola su obiettivi minimi, riformisti e
legalisti, concedendo in tale modo tempo e spazio alla ricostruzione del sistema
di alleanze della borghesia fino alla riconquista delle posizioni che essa aveva
perduto[x].
La formazione dei Gruppi Comunisti
Rivoluzionari
Il II Congresso Mondiale
della Quarta Internazionale era stato un congresso sostanzialmente di
transizione[xi].
Si attendevano ancora sviluppi rivoluzionari sia nell’occidente capitalistico
sia nell’URSS staliniana, mentre i paesi dell’Est europeo sotto il controllo
sovietico venivano caratterizzati, eccezion fatta per lo stato multinazionale di
Tito, ancora come “capitalisti”. La rottura tra URSS e Jugoslavia arriverà poco
dopo il Congresso trotskista e il Segretariato Internazionale si schiererà senza
esitazioni, seppur criticamente, con la seconda.
La costituzione ufficiale
della prima organizzazione ortodossamente trotskista in Italia avviene infine
nel gennaio 1949 con la I Conferenza dei Gruppi Comunisti
Rivoluzionari, denominazione che sarà conservata fino al 1979[xii].
La nascita di questa
organizzazione politica è il frutto della raccolta di gruppi con diversa
formazione politico-culturale. Oltre a quelli che arrivano direttamente dal POC
e dalla gioventù socialista, di cui abbiamo già fatto cenno, animano il nuovo
partito un nucleo di militanti provenienti dal disciolto Partito d’Azione,
tra cui si distinguono Leone Iraci e Bruno Orsini e un gruppetto di militanti
già del PCI milanese, guidati da Franco Villani. Questi ultimi hanno rotto con
il PCI dopo l’attentato a Togliatti nel luglio del 1948. Sono tra i pochi quadri
del PCI che non vivono le pistolettate di Pallante e gli avvenimenti successivi
semplicemente come tramonto dell’ipotesi rivoluzionaria, ma piuttosto come
necessità, ancora più impellente, di trovare un’alternativa organizzata alla
deriva riformista del PCI.
In questa Conferenza si
decide la formazione di un’organizzazione indipendente,che avrà come organo il
quindicinale Bandiera Rossa, respingendo le proposte di “entrismo” nel
PSI fatte dal gruppo milanese di Villani[xiii].
L’obiettivo più prossimo
della nuova organizzazione è quello di raggruppare i militanti d’avanguardia
dentro e fuori i partiti operai. Necessiteranno solo pochi mesi per capire come
tale compito risulti improbo per la “fragile barchetta” dei GCR.
Le nostre idee e la
nostra terminologia - scrive dieci anni dopo un militante trotskista - erano
note solo a pochissimi e da pochissimi erano comprese. Le nostre analisi
dell’URSS (...), la nostra concezione dello stalinismo, le nostre critiche alla
burocratizzazione, ecc., quando non venivano accolte come contrabbando
dell’avversario, erano considerate stravaganze intellettuali[xiv].
Il giornale ha una tiratura
dell’ordine delle mille-duemila copie con una diffusione approssimativa, e
svolge quindi un opera di chiarimento, anche se spesso intelligente e dinamica,
in un raggio assai limitato.
Del resto i mezzi finanziari
sono scarsi e i quadri politici di estrazione prevalentemente piccolo-borghese.
L’attività politica dei GCR
si riduce a ben poco. I GCR partecipano ai comitati di solidarietà con la
rivoluzione jugoslava, costituendo anche brigate di lavoro assieme a militanti
socialisti di sinistra ed ex-stalinisti, e nello stesso periodo allacciano
rapporti con un settore “di sinistra” della Federazione Anarchica Italiana
(FAI). Tale tendenza, che nel 1951 fonderà i Gruppi Anarchici di
Agitazione Proletaria (GAAP), è raggruppata intorno a Pier Carlo Masini,
Lorenzo Parodi, Arrigo Cervetto e, pur orientandosi rapidamente verso il
marxismo, dà un giudizio sull’URSS assai più severo dei GCR.
Nell’agosto del 1950 si
tiene la II Conferenza Nazionale dei GCR. La relazione introduttiva riafferma
nella sostanza la validità di tutta l’analisi trotskiana mentre
per quanto riguarda la
prospettiva della costruzione del Partito Rivoluzionario Maitan riteneva che la
situazione fosse oggettivamente favorevole in quanto non erano venuti meno tre
elementi determinanti che spingevano in tale direzione: una situazione di crisi
della società borghese, la persistente combattività delle masse popolari e la
crisi dei partiti tradizionali della sinistra[xv].
A questa analisi ottimistica
delle prospettive politiche si contrapponeva Libero Villone che diverrà, fino
alla sua morte avvenuta nel 1970, un tenace oppositore della linea politica
della maggioranza dei GCR[xvi].
Nel suo intervento alla Conferenza di fondazione stigmatizza le illusioni
contenute nella relazione affermando che:
(…) Ogni marxista sa
benissimo che il fatto che la classe operaia limiti la sua lotta sul piano
economico costituisce di per sé un segno eloquente di regresso del movimento
proletario (...) Nuovi conflitti ci saranno, ma non potranno essere tappe per la
ripresa rivoluzionaria[xvii].
Villone afferma inoltre, respingendo
anche l’ipostatizzazione della tattica del “fronte unico”, che la ripresa del
movimento rivoluzionario sarebbe avvenuta solo con il crollo del mito dell’URSS
tra le masse dei lavoratori.
La “svolta pablista”
Al volgere degli anni ’50 è
ormai evidente che le previsioni di Trotsky sulla fuoriuscita rivoluzionaria
dalla II Guerra Mondiale erano risultate fallaci o comunque non si erano
realizzate. Nei paesi capitalistici occidentali la radicalizzazione operaia si
era dimostrata effimera mentre il moloch dello stalinismo, lungi dal crollare,
si era esteso su gran parte del centro Europa. In questo quadro la Quarta
Internazionale ha l’esigenza di una profonda riflessione e revisione
strategica. A questa esigenza risponde a suo modo Pablo (pseudonimo di Michel
Raptis), il principale dirigente della Quarta Internazionale postbellica,
con un’analisi di cui tutte le conseguenze sarebbero state tratte nel giro di un
biennio (1951-1953).
Secondo il dirigente greco,
la situazione internazionale permaneva rivoluzionaria. L’imperialismo americano
continuava a dibattersi in grandi difficoltà, in quanto l’assimilazione dei
Paesi dell’Est, ora definiti dalla Quarta Internazionale come “stati
operai deformati”[xviii],
e la vittoria della rivoluzione cinese sottraevano vaste aree geografiche al
mercato capitalistico provocando una riduzione dei suoi ritmi di sviluppo. Il
capitalismo americano era quindi costretto a riorientarsi verso la produzione
bellica, che stimolava la politica di scontro frontale con l’URSS.
Pablo e la maggioranza del
gruppo dirigente della Quarta Internazionale, partendo da
una tale analisi, non potevano che trarre conclusioni ottimistiche sui rapporti
di forza internazionali tra le classi.
Rotti gli argini, infatti,
l’analisi di Pablo sfociava in una previsione che avrebbe fatto molto discutere
tutto il movimento trotskista: il mondo sarebbe presto ripiombato in una nuova
guerra mondiale, che avrebbe visto opposte questa volta le forze
dell’imperialismo da una parte e l’URSS e i suoi alleati dall’altra. Anche se
questa guerra non era imminentissima, in quanto l’imperialismo comprendeva che i
rapporti di forza volgevano a favore dell’URSS, i trotskisti si dovevano
preparare ad intervenirvi. Come? Stando naturalmente al fianco degli stati
operai, ma anche entrando nelle fila dei partiti comunisti, laddove essi
avessero un certo radicamento sociale. Si trattava di quello che sarebbe stato
poi definito “entrismo sui generis”[xix].
Tale variante dell’entrismo si differenziava da quella attuata dai trotskisti
negli anni ’30, non solo perché prevedeva l’ingresso clandestino nei PC, ma
soprattutto perché si pronosticava che i partiti stalinisti, nella fase che si
apriva, avrebbero giocato un ruolo relativamente progressivo destinato a
durare nel tempo. Così si esprimeva Pablo in un articolo destinato a
divenire celebre:
(...) nel periodo storico
della transizione dal capitalismo al socialismo saremo testimoni non del sorgere
di stati operai normali, bensì di stati operai più o meno degenerati, vale a
dire di stati con forti deformazioni burocratiche che potranno raggiungere il
livello di una totale espropriazione politica del proletariato (...) in tutto un
periodo storico della rivoluzione più tortuoso e più complesso di quanto
previdero i nostri maestri, si avranno degli stati operai non saranno normali ma
necessariamente abbastanza deformati[xx]
Gli oppositori a tale
svolta, che in un primo tempo si concentrarono soprattutto nella sezione
francese, contestavano non tanto le previsioni di Pablo, quanto il suo
allineamento organizzativo, di fatto, alla direzione del Cremlino, che rimandava
sine die il problema della costruzione di un’alternativa rivoluzionaria
ad un futuro imprecisato. Al contrario di quanto era andato dicendo
instancabilmente Trotsky, nell’analisi del Segretariato Internazionale,
che gli oppositori bollavano come “revisionista”[xxi],
la burocrazia finiva per svolgere un ruolo “progressivo” e quindi non
oggettivamente opposto agli interessi storici del proletariato.
Nel 1953 gli “antipablisti”
si orienteranno verso una scissione internazionale, che darà vita al Comitato
Internazionale della Quarta Internazionale (CI)
[xxii].
In Italia, la nuova
strategia è sancita dalla III Conferenza Nazionale Straordinaria dei GCR del
luglio 1951 (anche se la tattica entrista nel PCI sarà adottata alcuni mesi
dopo).
L’analisi della fase
politica italiana continua a rimanere improntata ad un certo ottimismo. Maitan,che
è diventato intanto uno dei principali dirigenti del Segretariato e ha
contribuito all’elaborazione della “svolta”, nel documento preparato per la
Conferenza afferma che si andava:
a) verso
un periodo di accentuata tensione sociale, che potrebbe aprire prospettive
rivoluzionarie; b) le masse sono disposte alla lotta sino all’abbattimento del
nemico di classe; c) l’avanguardia rivoluzionaria in Italia è ancora nella
stragrande maggioranza organizzata nel PCI. Di conseguenza i GCR debbono
impostare una politica rivoluzionaria che, insistendo instancabilmente sul
carattere rivoluzionario di questo periodo e sul fine del rovesciamento della
borghesia capitalistica, risponda contemporaneamente alle preoccupazioni
quotidiane, anche minime delle masse comuniste”[xxiii].
Organizzativamente la
“svolta” significò il tesseramento della stragrande maggioranza dei militanti
dei GCR al PCI in incognito[xxiv],
mentre un piccolo nucleo formato da Villani, Villone, Maitan, Ruffolo, Di
Giuliomaria, Cascone e alcuni altri rimasero fuori dal PCI per continuare
l’azione indipendente che si risolse perlopiù nella pubblicazione e nella
diffusione del quindicinale Bandiera Rossa.
Anche in Italia, seppur
fortemente minoritari, ci furono degli oppositori alla “svolta pablista”. Libero
Villone e Rado (pseudonimo di Fausto Monfalcon) aderirono al Comitato
Internazionale costituendo la “Frazione Trotskista” durante un Congresso del
gennaio 1954[xxv].
Ma, a differenza delle altre sezioni del C.I., non ravvisarono la necessità di
rompere organizzativamente con i GCR attraverso una scissione. La frazione, del
resto, avrà vita breve: dal 1956 non si hanno più notizie della sua attività,
anche se Libero Villone resterà su posizioni fortemente critiche.
La tattica entrista per
tutti anni ’50 dà risultati mediocri. Le ridotte dimensioni dell’organizzazione,
la sua composizione prevalentemente piccolo-borghese, i problemi finanziari sono
ostacoli spesso insormontabili per i GCR. Inoltre la capacità di recupero del
dissenso da parte del PCI e del sindacato resta ampia. Come ha ricordato F.
Villani:
Era molto
difficile realizzare risultati sul piano della crescita organizzativa. Il PCI
anche e quando montava la lotta di classe aveva grandi capacità di recupero e
repressione delle spinte a sinistra. La nostra era una attività da certosini
dentro il PCI perché non esprimevamo il nostro dissenso, aspettavamo che le cose
maturassero[xxvi].
I GCR per tutta questa
fase, operando clandestinamente e grande cautela, cercano soprattutto di
reclutare il “quadro intermedio” del PCI, e cioè un militante in grado di
comprendere il dibattito sulla natura sociale dell’URSS e della burocrazia ma
che, allo stesso tempo, per sua collocazione, senta le pressioni della base.
La destalinizzazione e il movimento di
“Azione comunista”
Il “Rapporto Chruscëv” al XX
Congresso del PCUS del 1956 è pubblicato per la prima volta sul New York
Times e ripreso nel giro di poche ore dalle agenzie di tutto il mondo. In
Italia il PCI mantiene nei primissimi giorni dopo la sua pubblicazione un
imbarazzato silenzio. È proprio un militante trotskista veneto, Giorgio Modolo,
a dare l’occasione a Togliatti per intervenire sullo scottante argomento.
Il 12
giugno del 1956 Giorgio Modolo, che si definisce ‘compagno di base’, scrive da
Venezia al capo del PCI. Quel che gli preme acclarare è semplice e si traduce in
una richiesta: se il rapporto segreto è vero, pubblicatelo; se è apocrifo,
denunziate l’infame montatura’[xxvii].
Togliatti,
nella sostanza, conferma il contenuto del “rapporto” e più tardi, nella famosa
intervista a Nuovi Argomenti, si spinge sino a parlare di “elementi di
degenerazione” insiti nel sistema sovietico, anche se poi questi spunti
d’analisi non saranno ripresi nel dibattito del PCI.
Nell’ottobre dello stesso
anno all’insurrezione ungherese il PCI risponde con meno savoir faire. Su
L’Unità diretta da Pietro Ingrao torna il vecchio linguaggio calunnioso
dello stalinismo: si plaude alla pronta repressione dei carri armati sovietici,
il popolo ungherese insorto è descritto come una massa di delinquenti comuni
manovrati da agenti controrivoluzionari. Tuttavia anche questa volta il gruppo
dirigente del PCI riesce a parare il colpo; i casi di abbandono del partito,
anche se massicci, avvengono soprattutto dalle file degli intellettuali verso il
partito di Nenni.
I GCR sono, sin dal primo
momento, a fianco degli insorti, in cui vedono riflessa la rinascita del
soggetto della “rivoluzione politica”: la classe operaia di fabbrica organizzata
in Consigli operai.
(...)
dopo un’insurrezione così vasta, dopo una lotta così generosa, più che legittima
è la nostra incrollabile fiducia nelle masse, che non solo si sono gettate
impetuosamente nella mischia, ma hanno saputo esprimere rivendicazioni così
avanzate. Costituiscano subito i Consigli di fabbrica gli operai ungheresi!
Esigano la determinazione dei minimi e dei massimi salariali! Esigano la
distruzione completa della polizia politica, la costituzione di milizie
proletarie! Non tollerino la presenza delle truppe sovietiche nel paese sotto
alcun pretesto![xxviii]
Più complessivamente i
documenti del Segretariato della Quarta Internazionale vedono in questi
avvenimenti (sempre nel 1956 ci furono sommosse operaie anche in Polonia)
l’inizio della crisi finale dello stalinismo.[xxix]
Da questo punto di vista l’ascesa del khruscëvismo è interpretata come il
tentativo estremo della burocrazia di riformare il sistema che, dopo
l’accelerazione della industrializzazione, ha prodotto ampi strati di lavoratori
sovietici qualificati e alfabetizzati. Crollando il vecchio sistema del terrore,
per i trotskisti, si sarebbe aperta in URSS la possibilità di “rigenerazione
dello stato operaio”.
In Italia, come già
accennato, il PCI sostanzialmente regge all’impatto della destalinizzazione.
L’unica fuoriuscita “a sinistra” di militanti del PCI avviene con la formazione
del gruppo di Azione Comunista. Fondato da personaggi come Giulio Seniga
(che era stato segretario di Secchia e aveva abbandonato il partito nel 1954
portando via soldi e documenti riservati) come Bruno Fortichiari (uno dei
fondatori del PCd’I a Livorno 1921) o ex-capi partigiani come Luciano Raimondi,
il gruppo di Azione Comunista, dopo un breve tentativo frazionistico nel
PCI, esce allo scoperto pubblicando nel giugno ’56 l’omonimo giornale.
Poi, sulla spinta degli
avvenimenti di quell’anno, Azione Comunista forma un raggruppamento con i
GCR, il Partito Comunista Internazionalista (PC Int.) di Onorato Damen e
i GAAP di cui abbiamo già accennato. Il raggruppamento, che si denomina
Movimento della Sinistra Comunista, tiene durante l’autunno una serie di
iniziative pubbliche che raccolgono un discreto successo.
Ma le differenze tra le
forze promotrici restano ampie su una molteplicità di questioni (tattica
elettorale e sindacale, giudizio sulla natura sociale dell’URSS, ecc.) e ben
presto GCR e Pc.Int. si ritirano dal raggruppamento. Il giornale Azione
Comunista proseguirà le pubblicazioni fino al 1965[xxx].
Gli avvenimenti, che
mettevano in subbuglio gli “stati operai”, avevano dato una nuova linfa
all’organo dei GCR, Bandiera Rossa. Molti militanti comunisti, che si
avventurano ad acquistarlo, trovano sulle sue colonne, oltre ad interessanti
reportages dall’estero coperti dalle sezioni della “Quarta”, soprattutto
ricostruzioni e dibattiti sulla storia del movimento operaio, spesso utili e
accattivanti.
Una delle principali
“operazioni” politico-culturali operata da Bandiera Rossa in quel periodo
- soprattutto attraverso la penna di Maitan - è quella della ricostruzione del
pensiero e dell’azione di Antonio Gramsci in una nuova chiave interpretativa.
Non senza qualche forzatura, che poi diverrà vulgata nel trotskismo
italiano degli anni ’70[xxxi],
si cerca di attribuire al dirigente sardo una sorta di “trotskismo inconscio”
che emergerebbe nella battaglia per emarginare la direzione di Bordiga (di cui
Maitan dà un giudizio fortemente negativo) alla metà degli anni ’20 e poi
durante il dissenso sulla politica “socialfascista” dell’Internazionale
Comunista nei primi anni ’30.
Tuttavia, anche se il
rinnovato interesse verso il trotskismo italiano durante tutta la fase della
“destalinizzazione” continuò a crescere, il fulcro dell’analisi internazionale,
da cui era sorta l’opzione strategica di Pablo, si stava dimostrando errato.
Mentre la politica della “distensione” faceva tramontare ogni ipotesi di III
Guerra Mondiale, almeno così come era stata prevista dalla Quarta
Internazionale, a posteriori l’analisi di Pablo non poteva che apparire
meccanicistica e semplicistica anche solo quando era volta a spiegare, non la
dinamica del mercato mondiale, ma più semplicemente la “guerra fredda”.
Invece di stagnare e tendere
verso un confronto bellico con l’URSS, il sistema capitalistico aveva iniziato
proprio nel periodo postbellico, sulla piattaforma finanziaria creata dagli
accordi di “Bretton Woods” e dal “Piano Marshall”, il più lungo periodo di
espansione economica della sua storia (i cosiddetti “gloriosi trenta”). Inoltre
la decolonizzazione, lungi dall’essere solo un fattore di destabilizzazione
internazionale, era diventato il volano per una ristrutturazione delle relazioni
tra potenze imperialistiche: le vecchie colonie francesi e inglesi erano passate
in molti casi sotto l’egida dell’imperialismo statunitense, ampliando
notevolmente le dimensioni del mercato mondiale.
I trotskisti italiani, in
questa fase, lungi dal ripudiare la tattica entrista, ne forniscono una nuova
interpretazione. L’entrismo non è più legato alla eventualità di un conflitto
mondiale, ma diviene metodo, per certi versi universale, per costruire un
partito rivoluzionario in paesi in cui stalinisti e socialdemocratici mantengono
l’egemonia del movimento operaio organizzato. Non si tratta tanto di farsi
illusioni sulla rigenerazione di questi partiti quanto di ricongiungersi
all’avanguardia reale, nell’attesa che nuovi eventi portino attraverso una
scissione alla formazione di un partito rivoluzionario indipendente.
Se una messa a punto tattica
diviene non più procrastinabile per i GCR, allo stesso tempo la leggerezza con
cui si mettono da parte le vecchie ipotesi pabliste, le basi strategiche su cui
si erano basati molti anni di sforzo militante, non può che avere delle
conseguenze su molti quadri dei GCR.
Alcuni militanti torinesi
come Carlo Ottino si indirizzano verso un le idee del socialismo democratico,
seppur con venature luxemburghiane, virando quindi la loro attenzione dal PCI al
PSI, altri come Iraci sono più radicali. Già critico verso l’entrismo, l’ex
dirigente azionista, arriva alla conclusione che:
I Gruppi Comunisti
Rivoluzionari, sezione italiana della IV Internazionale, non nascondono più
i loro sforzi per farsi riconoscere dal togliattismo quale lealissima
opposizione costituzionale, o meglio neanche opposizione ma gruppo di
fiancheggiatori che solo chiedono solo l’onore di collaborare con una critica
“costruttiva” e che del resto, anche quando questo diritto sia loro apertamente
negato, non protestano troppo e soprattutto evitano di prestarsi a “provocazioni
anticomuniste” (…) Neanche al feticismo astronautico, ultima trovata del cinico
qualunquismo kruscioviano del periodo della reazione contro il XX Congresso, il
movimento trotskista italiano ha voluto negare il suo omaggio (…)[xxxii].
Altri dirigenti dei GCR come
Mura, Ruffolo e Cascone, nello scorcio a cavallo tra i ’50 e i ’60, abbandonano
delusi la militanza trotskista; come del resto fa lo stesso F. Villani, dopo
aver ravvisato una tendenza dell’organizzazione a coprire i suoi limiti teorici
esasperando l’attivismo e il volontarismo.[xxxiii]
I GCR negli anni ’60
Nello stesso tempo affluisce
dal PCI verso i GCR una nuova leva di militanti (soprattutto a Roma e Milano)
che saranno la chiave di volta del rafforzamento organizzativo dei GCR per tutti
gli anni Sessanta fino al ’68.
Questi nuovi quadri
trotskisti sono il prodotto delle inquietudini che si addensano in tutta la
sinistra. Inquietudini derivate non solo da inediti scenari internazionali
determinati dalla crisi cino-sovietica o dalle rivoluzioni castrista e algerina,
ma anche dal rinnovato protagonismo di una nuova generazione operaia, che come
dimostravano le giornate del luglio 1960, gli scioperi degli elettromeccanici,
gli scontri di Piazza Statuto, tendeva a travalicare i limiti della lotta
imposti da PCI e sindacato.
Le prime perplessità sul PCI
che poi lo porteranno al trotskismo, per Vito Bisceglie, allora un giovane
militante della FGCI di Torino, si materializzano proprio con gli scontri di
Piazza Statuto:
Il PCI
aveva cercato di evitare l’assalto alla sede della UIL (tanto è vero che il
giorno dopo ci furono dei comunicati vergognosi della Federazione torinese del
PCI e della Camera del Lavoro allora diretta da Garavini) ma era stato
scavalcato dalla rabbia della base. Questo a eccezione di un pezzo di FGCI.
Tanto è vero che tra i seicento fermati ed arrestati ci sarà quasi tutto il
gruppo dirigente della FGCI torinese. Il giorno dopo L’Unità parlerà di
“teppisti in piazza” (allora era di moda bollare ogni reazione giovanile come
teppistica tenendo conto che in Francia allora era il periodo dei Blousons
noirs, queste correnti di incazzatura di periferia) ma anche ‘di
provocazione fascista’. E’ proprio in questo periodo che nella FGCI torinese si
forma la “tendenza di sinistra”[xxxiv].
Per i giovani dirigenti
della federazione romana, come Augusto Illuminati (membro anche del CC del PCI),
Pio Marconi, Edgardo Pellegrini (che lavora come giornalista a Paese Sera),
Paolo Samonà, Paolo Flores D’ Arcais e Silverio Corvisieri, tale crogiolo di
avvenimenti si coniuga alla scoperta dell’opera trotskiana, alla spinta alla
ribellione e al rifiuto del conformismo.
In genere provenienti
dalla piccola borghesia sentivamo di far parte di una avanguardia, di qualcosa
di nuovo che stava per diffondersi nel nostro paese (...). Per tutti gli anni
’50 una cappa di piombo aveva soffocato la società italiana. A soffrirne erano
stati soprattutto i giovani costretti a vivere in un clima intollerante,
provinciale, che proponeva come unico ideale quello della integrazione
piccolo-borghese. (...) Non a caso i nostri miti giovanili furono il Marlon
Brando tenero e ribelle , dietro la maschera del bullo indifferente, di Fronte
del porto e il James Dean , ancora più pervaso da irrefrenabile inquietudine, da
senso dell’attesa di eventi straordinari e da rifiuto della routine quotidiana
(...)[xxxv].
Sempre a Roma nel 1962, per
iniziativa di due militanti dei GCR, Giulio Savelli e Paolo Samonà, viene
aperta la libreria Terzo Mondo (e in seguito anche la casa editrice
Samonà e Savelli). Sistemata a due passi dal Quirinale e di fronte alla sede
del Partito Radicale, affluiscono alla nuova libreria eretici della
sinistra di varia estrazione. Lì possono trovare non solo gli scritti di Trotsky
in italiano e in francese e Bandiera Rossa ma anche gli scritti sul
“neocapitalismo” di Sweezy e le invettive in pamphlet dei primi piccoli gruppi
filo-cinesi.
Alla Terzo mondo
inizia a fare capolino anche un dirigente del PCI, Silvio Paolicchi[xxxvi],
Presidente della potente Lega delle Cooperative.
Paolicchi è anche membro del
CC del Partito e sta arrivando al trotskismo attraverso un percorso particolare,
tutto intellettuale. Ha visitato più volte l’URSS con delegazioni ufficiali del
partito e ha potuto rendersi conto dello iato che separa il mito dalla realtà[xxxvii].
L’URSS non è poi quel “paradiso dei lavoratori” che L’Unità e
Rinascita descrivono. Incominciano per il dirigente toscano i primi dubbi,
le prime discussioni, le prime letture proibite. Nel salone di Botteghe Oscure
in cui si tengono le sessioni del CC, negli interventi di Paolicchi si sente
risuonare per la prima volta la parola stalinismo. Entrato a far parte dei GCR
con lo pseudonimo di Puntoni verrà radiato dal partito nel 1966 assieme a
Illuminati e licenziato in tronco dal partito.
A Milano l’attività dei GCR,
pur senza conquistare importanti posizioni a livello di gruppo dirigente del PCI
e della FGCI come a Roma, (“una forte presenza a Nuova Generazione, sette
posti nel CC della FGCI, tre nella direzione, (...) la federazione romana che
ebbe tre segretari trotskisti di seguito [A. Illuminati, P. Marconi, Anna De
Clementi]”, oltre a due membri del CC dei Partito) si radica sempre più nella
prima metà degli anni ’60.
Massimo Gorla, già dirigente della FGS a
Milano con Bettino Craxi nella prima metà degli anni ‘50, viene reclutato ai GCR
e all’entrismo nel PCI da Villani, e diviene rapidamente uno dei militanti
trotskisti più dinamici e attivi.
L’entrismo milanese ci
porta a una situazione in cui esiste una tendenza di sinistra d’ispirazione
trotskista, di cui molti non sono formalmente membri dei GCR, nell’ambito della
quale ci sono una decina di sezioni in cui i membri della sinistra o sono
segretari o comunque appartengono al direttivo. C’è tutta la segreteria
provinciale della FGCI, una decina di persone nel comitato federale del PCI, la
maggioranza del Comitato federale della FGCI. A questo livello il problema
diventa politico, non è più un problema di schermaglie ideologiche[xxxviii].
Nel giro di pochi anni si
aggiungono a Gorla, Luigi Vinci, Emilio Agazzi a Pavia, Aldo Brandirali, Lupetti
e Todeschini (nomi), che fonderanno nel 1966 il giornale giovanile
Falcemartello.
L’entrismo degli anni ’60,
soprattutto tra i giovani, assume caratteristiche diverse da quello precedente.
La preparazione ideologica e teorica dei nuovi militanti è spesso sommaria,
basta un atteggiamento critico verso la “burocrazia” del PCI e un accordo di
massima sulle posizioni antistaliniste per entrare a far parte della “Quarta”.
La conoscenza del patrimonio trotskiano è generica, annegata in un richiamo
generale alla esperienza del marxismo rivoluzionario[xxxix].
Questa situazione si viene a
creare perché l’insorgere di istanze critiche nel Partito, soprattutto nei
giovani militanti, trova solo nella Quarta Internazionale, se si eccettua
l’area ingraiana, una sponda organizzata.
Notevole diviene anche il
fenomeno “d’area”; un termine con cui si identificano i militanti del PCI che
semplicemente simpatizzano per le idee della Quarta Internazionale. Pian
piano, l’incertezza dei confini organizzativi e la fluttuazione della area
militante, rendono i GCR permeabili a ogni suggestione politica, che del resto
fa capolino anche nel gruppo dirigente internazionale.
Resta problematico
verificare con precisione se e quanto il gruppo dirigente nazionale del PCI e
della FGCI fossero a conoscenza dell’entrismo trotskista. Basandoci su varie
testimonianze possiamo oggi dare una risposta sostanzialmente positiva. Il PCI
sicuramente arrivò a “controllare” gli spostamenti e le attività dei quadri e
dei dirigenti più in vista, in odore di frazionismo. In una certa fase, inoltre,
la formazione di una ala “sinistra” nell’organizzazione giovanile poteva
risultare, paradossalmente, utile al fine di contenere una dissidenza che
avrebbe potuto anche rompere gli argini organizzativi[xl].
Tuttavia, in questo campo, si entra facilmente nell’alveo delle illazioni e
delle ricostruzioni di parte. Una attività “sotterranea” di dissidenza
organizzata nel PCI e nella FGCI può darsi che sia stata per qualche periodo
tollerata, ma sempre tenuta sotto controllo.
Proprio nel 1962 si consuma
la prima vera scissione trotskista del dopoguerra. Un gruppo di militanti,
soprattutto romani, passa con il Bureau Latino Americano dell’argentino
Juan Posadas che aveva abbandonato la Quarta Internazionale pochi mesi
prima, dopo esserne stato uno dei principali dirigenti in America Latina. Pietro
Leone, che era stato il principale animatore di una battaglia contro l’entrismo
a Roma, fonda il Partito Comunista Rivoluzionario d’Italia (Trotskista)
che sopravviverà almeno fino all’inizio degli anni ’90 come sezione italiana
dell’Internazionale “posadista”[xli].
Nel VII Congresso della IV
Internazionale del 1963, che vede rientrare nell’organizzazione mondiale una
buona parte delle forze che avevano costituito il Comitato Internazionale[xlii],
determinato soprattutto dalla evoluzione della rivoluzione cubana in senso
filo-russo, vengono discusse principalmente le prospettive della rivoluzione
coloniale e della Unione Sovietica in relazione ai conflitti nel movimento
comunista (che si sono andati accentuando) e allo sviluppo industriale interno.
Proprio le divergenze su tali temi porteranno all’abbandono di Pablo della
Quarta Internazionale nel 1965, che fonderà in seguito la Tendenza
Marxista Rivoluzionaria (TMR)[xliii].
La ormai innegabile
espansione capitalistica del secondo dopoguerra viene spiegata dai dirigenti
della “Quarta” prima di tutto in relazione a fattori soggettivi:
Il
fallimento di una ondata rivoluzionaria in un paese imperialista conduce
eventualmente ad una forma di stabilizzazione economica sia pur relativa e
temporanea e persino ad una nuova espansione economica che procrastina
inevitabilmente per qualche tempo nuovi sviluppi rivoluzionari: la congiunzione
dell’ indietreggiamento politico della classe operaia ( o anche la sua
demoralizzazione) con un elevato tenore di vita essendo sfavorevole ad ogni
tentativo rivoluzionario immediato[xliv].
Sono
di quegli anni le teorizzazioni terzomondiste di Baran e Sweezy, i quali di
fronte allo accresciuto benessere delle masse nei paesi capitalisticamente
avanzati “escludono ogni possibilità d’una lotta proletaria per il potere in
Occidente” e affermano che “la sola forza rivoluzionaria che possa abbattere
l’imperialismo nei paesi capitalistici è la rivoluzione coloniale”. La Quarta
Internazionale respinge tali teorie puntando l’attenzione su come
l’aumento del tenore di vita delle masse è stato ottenuto:
Dal punto di vista teorico
è di per sé evidente che l’atteggiamento dei lavoratori dipende da una
combinazione di fattori, tra i quali il livello assoluto del tenore di vita è
soltanto una delle molte componenti. C’è un’immensa differenza se un alto
livello di vita è stato ottenuto come risultato di lotte operaie, e perciò
appare come una serie di conquiste da difendere, o se questo alto livello di
vita appare ai lavoratori come un ‘dono’ di un gruppo di padroni benevoli”[xlv].
Il
dibattito sul “neocapitalismo” diventa sempre di più importante anche in
Italia, a partire dalla seconda metà degli anni ’50. Il boom economico
americano, basato soprattutto sulla produzione automobilistica e i beni di
consumo durevoli, attraversa l’Atlantico e sbarca sulla nostra penisola. Gli
elettrodomestici e l’automobile diventavano i simboli della penetrazione dei
modelli ideologici e culturali delle classi medie.
In Italia il fenomeno assume
forme particolari, perché il “miracolo economico” fu basato prima di tutto sul
basso costo del lavoro e sull’aggravamento della forbice della crescita
economica tra Nord e Sud Italia (con relativa massiccia emigrazione interna).
Il boom economico ha quindi
due facce. L’espansione dei consumi privati, anche fra i proletari, non può
nascondere condizioni di lavoro disagiate e bassi salari, aggravati dal trauma
dell’emigrazione e dell’abbandono delle tradizioni rurali che necessariamente
essa comporta.
Lo studio, l’inchiesta sulla
nuova condizione operaia diviene il cavallo di battaglia di un gruppo di
militanti, raccolti nella rivista Quaderni Rossi (QR) dal socialista
dissidente Rainero Panzieri. Tale lavoro, che produrrà non solo una nuova
metodologia di ricerca ma anche i riferimenti culturali di gran parte del gruppo
dirigente della futura “Nuova Sinistra”, viene attentamente seguito dai GCR
sulle pagine di Bandiera Rossa in quel periodo, sia con contributi
critici sulla trasformazione della condizione operaia che con tavole rotonde con
gli animatori dei Quaderni. In Via Bligny al numero 10, nella sede il gruppo
torinese dei Quaderni Rossi, partecipano spesso alle riunioni anche
militanti dei GCR. La famosa “Inchiesta alla FIAT” è, per esempio, uno dei
prodotti di questa collaborazione tra il gruppo dei QR e i trotskisti
torinesi.
Panzieri stesso non
dissimula la sua simpatia per Trotsky e per il marxismo antistalinista al punto
che, quando già questi si è già trasferito a Torino:
io [P.
Samonà] e A. Illuminati - entrambi militanti dei GCR - ci recammo da lui,
all’Hotel Inghilterra dove alloggiava, (...) gli proponemmo l’iscrizione ai GCR.
Rifiutò con garbo e cortesia: disse che condivideva molte delle analisi dei
trotskisti, ma che politicamente aveva in mente un progetto diverso da quello
ipotizzato dalla Quarta Internazionale. Era giunto alla conclusione che
occorresse cominciare da capo, dalle leghe operaie come era avvenuto cent’anni
prima[xlvi].
Per molti versi anche la stessa nascita
del centrosinistra è leggibile come tentativo, tutto interno al sistema, di dare
risposte alle trasformazioni profonde che stanno avvenendo nel paese. Al di là
delle illusioni lombardiane sul “riformismo rivoluzionario” che sarebbe dovuto
entrare in rotta di collisione con “la sovrastruttura capitalistica”,
“l’apertura a sinistra” fu sponsorizzata da ampi settori del capitalismo
nordista e statale, che vedevano la necessità di aprire una stagione
riformistica basata sul ruolo decisivo del capitalismo di stato.
A distanza di un anno e
mezzo dal varo del primo governo di centrosinistra, nel luglio 1965, si tiene
la X Conferenza Nazionale dei GCR. La risoluzione politica della Conferenza
dedica tanta parte proprio all’analisi della nuova stagione politica italiana
determinatasi con l’ingresso del PSI nel governo. Viene sottolineato come il
tentativo lombardiano di inserire nel programma di governo delle “riforme di
struttura” sia fallito ma che le motivazioni più reali che sono alla base della
formazione della nuova coalizioni restino per il momento intatte:
(...) è
necessario ricordare che la confluenza di interessi e di motivi verificatisi a
partire dal ’60 -’61 tra importanti settori della borghesia e del partito
socialista (...) non implicava ovviamente una perfetta identificazione. Una
confluenza ci poteva essere nello sforzo di assicurare uno sviluppo economico
continuato senza squilibri gravi, nel limitare se non nell’eliminare del tutto
posizioni di rendita, nell’aggiornare certi rapporti nelle campagne, nel
razionalizzare la distribuzione, nell’introdurre qualche riforma tipo
nazionalizzazione dell’energia elettrica, nell’incrementare tutta una serie di
consumi e nell’introdurre elementi di “pianificazione”. (...) Sul piano più
propriamente politico, esisteva un interesse comune a una riduzione
dell’influenza di massa dei comunisti[xlvii].
Tale Conferenza, anche nella
composizione del nuovo Comitato Centrale dei GCR, fotografa un momento
particolarmente felice e vivace nella vita dei GCR. Entrano a far parte o sono
riconfermati nel CC Silvio Paolicchi e Augusto Illuminati, dirigenti di primo
piano del PCI, si sancisce l’unificazione con la formazione Sinistra
Comunista di Palermo con l’ingresso nel CC di Mario Mineo, mentre anche
l’estensione territoriale e il radicamento risultano maggiori. Un esempio
ulteriore del buon momento dei GCR è ben rappresentato dall’adesione, sempre nel
1965, di un gruppo di militanti espulsi dal PCI di Campobello di Mazara in
Sicilia guidati dall’operaio Gaspare Bono. Lo stesso Gaspare Bono che resterà
trotskista nella buona come nella cattiva stella fino alla morte, avvenuta
recentemente, ha raccontato nella sua biografia il primo, modesto ma
emozionante, incontro con il trotskismo:
Prima di
venire il compagno Maitan, per farsi riconoscere da parte nostra non appena
arrivato alla stazione ci aveva descritto come vestiva e cosa teneva sotto
braccio. Così andammo alla stazione a prelevarlo diversi compagni, l’abbiamo
subito riconosciuto e quindi l’abbiamo accompagnato fin dove era la sezione. Qui
subito si ebbe l’incontro e il riconoscimento con tutti i compagni del gruppo,
che allora era composto da 15 compagni, tutti ex comunisti.
Poiché il tempo era piovoso e faceva anche freddo, si decise di tenere il
comizio dentro la Sala Moka in Via Roma. Al comizio presero parte un centinaio
di persone tra comunisti, socialisti e intellettuali. (…)
Chiusa la conferenza
rientrammo in sede, e fu seguiti anche da un numeroso gruppo di lavoratori, e
qui Maitan illustrò ancora meglio la posizione della Quarta Internazionale e le
menzogne dello stalinismo. Il nostro gruppo all’unanimità decise di entrare a
far parte ufficialmente della sezione italiana della Quarta Internazionale[xlviii].
L’attività entrista dei GCR
quindi ha dato qualche frutto in termini di reclutamento, ma la visibilità
politica rimane scarsa o addirittura nulla.
Il XI Congresso PCI del
1966 segna, da questo punto di vista, un brusco ritorno alla realtà. Se i GCR
avevano pensato di collegarsi direttamente alla battaglia degli ingraiani per il
rinnovamento del partito, è proprio Ingrao il primo a tornare sui suoi passi in
nome del valore della ”unità del partito”. Gli ingraiani senza Ingrao (un
leitmotiv costante del togliattismo italiano: vedi la radiazione del
Manifesto e per certi versi la scissione di Rifondazione Comunista)
sono disorientati e solo alcuni di loro daranno battaglia in sede congressuale,
per essere poi emarginati e rimossi dalle cariche interne che hanno ricoperto.
Il Congresso del PCI del
1966 è uno spartiacque cui la storiografia non ha ancora dato forse la giusta
rilevanza. Molti militanti critici finiscono per trarre tutte le conseguenze
sulla possibilità di rigenerazione del PCI, mentre sul piano internazionale
l’emergere della rivoluzione culturale in Cina, e l’anno dopo, la morte di Che
Guevara rilanciano il dibattito sulle vie al socialismo.
Non che i GCR non colgano la
nuova situazione che si va profilando, ma restano fortemente attaccati
all’ipotesi che la costruzione del partito rivoluzionario debba avvenire, ancora
per un lunghissimo periodo, all’interno dei partiti del movimento operaio
tradizionale:
Fino a
quando, attraverso la lotta organizzata in corrente di sinistra, non si
renderanno conto, sulla base dell’esperienza, che non è possibile riformare tali
partiti ma occorre creare un nuovo strumento di lotta, i settori che
potenzialmente costituiscono la prima base del partito rivoluzionario dovranno
essere ricercati all’interno del PCI e del PSIUP[xlix].
Il lettore tenga presente che
quest’ultima citazione è contenuta in un volume edito dai GCR alla fine del
1967. E’ lungi dalla ottica dei quadri di più vecchia data dei GCR pensare la
costruzione di un partito rivoluzionario fuori dal PCI e con chiaro orientamento
marxista:
(...) le forze attualmente
raggruppate dalle minoranze rivoluzionarie non possono che costituire una delle
componenti del futuro partito rivoluzionario. Sarebbe un imperdonabile errore di
settarismo attribuirsi la funzione ed il ruolo di partito rivoluzionario sin
da ora, creando e propagandando una caricatura di tale partito
[l].
Ma se i malumori e le divergenze sull’entrismo
si erano manifestate lungo tutti gli anni ’60 (la cautela cospirativa e il
metodo degli pseudonimi diventavano sempre più parodistici), a partire dal ’66
trovano sponde inaspettate. Si inizia a parlare di “rendere maggiormente
visibile l’attività indipendente” dei GCR e due iniziative, di fatto sotto il
controllo dei GCR, come il mensile La Sinistra e il giornale giovanile
Falcemartello, che cominciano le pubblicazioni entrambe nel ’66, vanno
proprio in questo senso.
La Sinistra si
presenta come una operazione politica di grande respiro: intende colmare uno
spazio editoriale “a sinistra” e ai bordi del PCI che si sta rapidamente
polarizzando, ma non solo. Intende aiutare la “presa di coscienza di se stessa”
di quest’area politica ancora informe. Non a caso il giornale evita volutamente
l’appellativo di trotskista e la direzione viene affidata da Savelli e Samonà,
che ne sono gli editori, a Lucio Colletti.
È solo con il ’67 che il
giornale prende una più forte inclinazione castrista e terzomondista. Tale
orientamento non è solo il prodotto di avvenimenti e suggestioni epocali che
hanno un enorme impatto nella sinistra, come la morte del Che in Bolivia o
l’intensificarsi della guerra americana in Indocina, ma della piega che sta
prendendo la radicalizzazione a sinistra in Italia. E in tutto ciò continua a
pesare l’egemonia che il togliattismo esercita, more sua, nella politica
e nella cultura italiana. Questo indirizzo terzomondista de La Sinistra
viene accentuato dall’ingresso, all’inizio solo come finanziatore, di
Giangiacomo Feltrinelli, che porta alla trasformazione del giornale da mensile a
settimanale[li].
Falcemartello ha meno
pretese, è il giornalino dei giovani della “tendenza”[lii]
a Milano. Diretto da Aldo Brandirali, il giornale, diviene “una sorta di
organizzazione ‘ponte’”[liii]
e rompe con i GCR già alla fine del ’67 per orientarsi prima verso il guevarismo
e poi, rapidamente, verso il maoismo più ortodosso e rituale.[liv]
Alla fine del 1967 dunque il
dibattito nei GCR sul superamento della tattica entrista è di fatto aperto,
anche se non ha ancora (e forse non avrà mai) canali ufficiali attraverso cui
svilupparsi. I GCR sono in quel momento, per usare un termine automobilistico,
in pole position per sfruttare l’esplosione del ’68, per rafforzarsi
organizzativamente.
I trotskisti italiani sono
strutturati, seppur esilmente, in tutta Italia, dentro il PCI e nei movimenti
studenteschi, hanno estese simpatie, controllano il giornale La Sinistra
e la casa Editrice Samonà e Savelli; perciò il declino che conosceranno
proprio nel ’68 rappresenta un capitolo ancora controverso e sconosciuto della
storia dei GCR.
[i]
E’ evidente che il gruppo soffriva di scontri personalistici aggravati dai
problemi economici tipici degli esuli e di agibilità politica. Sugli esordi
del trotskismo italiano sono stati scritti molti volumi interessanti.
Ricordiamo tra gli altri : F. Ormea “Le origini dello stalinismo nel PCI”
(Milano,1978), P. Casciola-Sermasi “Vita di Blasco” (Vicenza 1985), la
raccolta completa del Bollettino della Nuova Opposizione Italiana (A
cura di R. Massari) “All’Opposizione nel PCI con Trotsky e Gramsci”
(Roma,1977), S. Corvisieri “Trotsky e il comunismo italiano” (Roma, 1969),
G. De Regis “La ‘svolta’ del Comintern e il comunismo italiano”.
[ii]
Così venne denominato il gruppo
della Nuova Opposizione Internazionale. I “tre” erano ovviamente
Tresso, Ravazzoli e Leonetti. Per una biografia più circostanziata del Di
Bartolomeo si veda P. Casciola “Appunti di storia del trotskismo 1930-1945”
( 1986, Foligno).
[iii]
Per una più approfondita
conoscenza dell’attività dei trotskisti in Italia durante la guerra si
rimanda al già citato fascicolo di P. Casciola “Appunti di storia…”, a “Il
trotskismo e la rivoluzione italiana” (Foligno, 1987) del Casciola stesso, e
per una panoramica più generale dei gruppi alla sinistra del PCI durante la
resistenza A. Peregalli “L’Altra resistenza” (Genova, 1991).
[iv]
Era l’organizzazione americana
a cui avevano dato vita gli espulsi dalla sezione americana della Quarta
Internazionale Socialist Workers’ Party (SWP), per i disaccordi
scoppiati sulla natura sociale dell’URSS dopo il patto Rbentropp-Molotov. A
questo propostito vedi L. Trotsky “In difesa del marxismo” (Roma, 1969), e
la biografia di Shachtman di Peter Druker “Max Shachtman and his left” (Atlantic
Highlands, 1994) Di Bartolomeo era in rapporto epistolare con il principale
dirigente del WP, Max Shachtman.
[v]
Echi di tale manifesto
raggiungeranno anche J.P. Cannon a quel tempo ospite delle carceri americane
per aver propagandato il disfattismo rivoluzionario. Vedi “Letters from
Prison” (New York, 1968).
[vi]
Alcuni appunti sulla attività di Villone sono rinvenibili nelle memorie di
Maurizio Valenzi “C’è Togliatti!” (Palermo,1995). Purtroppo però, il povero
Villone viene descritto come uno “spartachista”. Come al solito quando si
entra nel campo delle “eresie” i togliattiani vanno a spanne.
[vii]
D.Giachetti “Alle origini dei
Gruppi Comunisti Rivoluzionari 1947-1950” (Foligno, 1988) pag.15-16.
[viii]
Recentemente per i tipi di Massari Editore è
stata pubblicata l’autobiografia di L. Maitan (La strada percorsa,
Bolsena, 2002)
[ix]
Vedi L. Maitan “Le illusioni e l’errore dei giovani di sinistra che
andarono con Saragat” (L’Unità, 2 gennaio 1987).
[x]
D. Giachetti , op. cit..
pag.33.
[xi]
Malgrado il “congelamento strategico”, il II Congresso aveva alimentato
quella diaspora del movimento trotskista che abbiamo segnalato
sommariamente nell’introduzione. Si erano staccati dalla Quarta
Internazionale il gruppo di T. Cliff che darà origine alla tendenza
internazionale International Socialism e la sezione spagnola in
esilio diretta da Grandizo Munis. Entrambe queste tendenze avevano respinto
la caratterizzazione dell’URSS come “stato operaio degenerato” in favore
della teoria del “capitalismo di stato”. In tale occasione aveva abbandonato
definitivamente il movimento il WP di Shachtman. Inoltre molti dei
dirigenti presenti al Congresso di Fondazione erano morti o avevano
abbandonato la militanza attiva. Alcuni documenti della Quarta
Internazionale del periodo in lingua italiana sono reperibili in (a cura
di) L. Maitan “Dai processi di Mosca alla caduta di Kruscëv” (Roma, 1965).
[xii]
In realtà tale denominazione verrà ufficializzata solo alcuni mesi dopo.
[xiii]
Nella intervista concessa
all’Autore della tesi Villani ha smentito un tale orientamento. Secondo il
Villani, suo intendimento era quello di operare anche in direzione
dei militanti del Partito Socialista oltre che di quelli del PCI. Y. Colombo
“Intervista a Franco Villani” 21 febbraio 1996. Inedita
[xiv]
Bandiera Rossa
n 4 aprile 1960 “Bandiera Rossa, dieci anni di lotta” citato in D. Giachetti,
op. cit. pag. 49
[xv]
D. Giachetti “I GCR tra analisi
s prospettive 1948-1953” (Foligno, 1990)
[xvi]
Libero Villone rimase
fortemente critico nei confronti della direzione dei GCR in relazione alla
tattica entrista e poi in relazione all’atteggiamento verso il movimento
degli studenti. Malgrado ciò fu sempre rispettato e stimato per il suo
rigore e la sua onestà intellettuale che ne fecero uno dei quadri più
importanti del trotskismo del dopoguerra.
[xvii]
citato in D. Giachetti op.
cit. pag.36
[xviii]
“Stati operai deformati” e non
”burocratizzati” in quanto sorti non da una rivoluzione ma dalla estensione
dell’influenza nell’area del centro Europa dell’URSS. Secondo l’analisi del
Segretariato i paesi dell’est avevano conosciuto una “assimilazione
strutturale” all’URSS che li aveva trasformati in “Stati operai” pur non
avendo mai conosciuto un’ascesa rivoluzionaria.
[xix].La
tattica “entrista” fu applicata da alcune organizzazioni trotskiste (tra cui
quella francese e americana) alla metà degli anni ’30. Essa prevedeva
l’ingresso organizzato dei trotskisti nelle formazioni socialdemocratiche
nelle quali però essi mantenevano un proprio organo di stampa indipendente.
Tale tattica, fortemente sostenuta dallo stesso Trotsky, ebbe risultati
contrastanti sul piano del reclutamento e della crescita di influenza
politica.
[xx]
M. Pablo “Sur la nature de classe de la Yugoslavie” in Bulletin intèrieur
del Segretariato Internazionale, ottobre 1949 ora in D. Giachetti op.
cit. pag. 21
[xxi]
Il concetto di revisionismo non
ha mai appassionato chi scrive, in quanto implica una qualche metafisica
ortodossia.. Inoltre tale definizione nel contesto storico dato e in
relazione al Segretario Internazionale di allora è perlomeno discutibile.
Per Trotsky il regime staliniano era contraddittorio contenendo in sé
elementi sia reazionari che “obbiettivamente” progressivi ma allo stesso
tempo destinato a essere del tutto transitorio. Pablo, almeno nelle
sue intenzioni, non fece che registrare una realtà inoppugnabile: il regime
stalinista non era crollato e quindi la sua transitorietà andava intesa in
senso storico e non contingente. Allo stesso tempo, Pablo poneva l’accento
sugli aspetti contraddittori del regime staliniano, il quale, in
condizioni eccezionali, continuava a giocare un ruolo “relativamente
progressista”.
[xxii]
Il Comitato Internazionale
della Quarta Internazionale formato principalmente dalla maggioranza
delle sezioni francese (PCI) e britannica (SLL), oltre che dal SWP
americano, non ha mai avuto una vera e propria sezione italiana. Dopo il
rientro nel Segretariato del SWP (USA) nel 1963, il Comitato
Internazionale conobbe una certa crescita delle sue principali
sezioni. Dopo la scissione nel CI, operata dalla sezione francese nel 1971
che in seguito darà vita al CORQUI (Comité d’organisation pour la
reconstrauction de la Quatrième internationale), il processo di
frammentazione delle tendenze “antipabliste” del trotskismo ortodosso è
diventato incontrollabile. Oggi esistono almeno tre Comitati Internazionali
della Quarta Internazionale con la stessa denominazione mentre sono decine i
centri internazionali che rivendicano la rottura del 1953. Per una storia
documentaria del Comitato Internazionale vedi : AA.VV. “Trotskyism
versus revisionism” (London, 1974) in particolare vol. I e II e D. Coquema
“De Trotsky a Laguiller” (Toulon, 1996).
[xxiii]
GCR “Progetto di risoluzione
politica per la Conferenza Nazionale straordinaria” votata dal C.E. il 31
maggio 1951 [Archivio Gambino-Verdoja]
[xxiv]
Incognite dovevano essere le
reali posizioni dei militanti dei GCR dentro il PCI. I militanti dei GCR
durante la fase entrista pubblicarono articoli, documenti e scambiarono
corrispondenza utilizzando pseudonimi.
[xxv]
M. Pasquinelli “1954: Nasce la
‘Frazione Trotskista’ nei GCR” da Il Comunista luglio-dicembre
1982
[xxvi]
Y. Colombo “Intervista a Franco
Villani”, citata.
[xxvii]
P. Spriano “Le passioni di un
decennio” (Milano, 1988)
[xxviii]Bandiera
Rossa 1°
novembre 1956 “I proletari ungheresi insorgono contro lo stalinismo”
[xxix]
Una serie di documenti della
Quarta Internazionale sono stati raccolti in lingua italiana nel volume
L. Maitan (a cura di) “Dai processi di Mosca alla caduta di Kruscëv “ op.
cit.
[xxx]
Nel periodo successivo le
divergenze tra le tendenze che animano “Azione Comunista” si acuiscono.
Mentre il gruppo di Raimondi si indirizza verso le suggestioni del maoismo e
più in generale del terzomondismo, il gruppo guidato da Parodi-Cervetto si
orienta verso una ripresa sistematica del leninismo dando vita, alla fine
del 1965, al mensile Lotta Comunista.
[xxxi]
Vedi R. Massari (a cura di)
“All’Opposizione nel PCI con Trotsky e Gramsci” e S. Corvisieri “Trotsky e
il comunismo italiano (Roma, 1969). Per una critica rigorosa di queste
ricostruzioni della figura di Gramsci vedi l’eccezionale D. Montaldi
“Saggio sulla politica comunista in Italia” (Piacenza, 1976) e i fascicoli
già citati di P. Casciola.
[xxxii]
L. Iraci Fedeli
Corrispondenza Socialista n 5/62 “Neo-stalinismo dei ‘trotskisti’”.
[xxxiii]
Y. Colombo “Intervista a F.
Villani” , citata.
[xxxiv]
Y. Colombo “Intervista a Vito
Bisceglie” 3 settembre 1996 . Inedita.
[xxxv]
S. Corvisieri “Il mio viaggio
nella sinistra” (Milano, 1979) pag. 34 e 20.
[xxxvi]
Su Silvio Paolicchi si veda l’opuscolo
GiovaneTalpa (La parola al compagno Puntoni…Silvio Paolicchi 1921-2002,Milano,
2002)
[xxxvii].
Y. Colombo “Intervista a Silvio
Paolicchi” ottobre 1995. Inedita
[xxxviii]
Y. Colombo “Intervista a
Massimo Gorla” ottobre 1995. Inedita.
[xxxix]
Si veda l’intervista di Daniele
Protti a Luigi Vinci in “Cronache di ‘nuova sinistra’” (Milano, 1979) pag.
129-135.
[xl]
Anche una tendenza trotskista
come il Militant inglese che proseguì il suo entrismo fino alla fine
degli anni ’80 era consapevole del possibile utilizzo da parte del Labour
Party di una frangia interna di sinistra.
Vedi T. Mulhearn-P. Taaffee
“Liverpool: a city that dared to fight” (London, 1988)
[xli]
Vedi il paragrafo dedicato a
questa organizzazione nell’appendice B.
[xlii]
Rientrarono nella “Quarta” il
SWP americano e le sezioni latinoamericane.
[xliii]
Per una descrizione
dell’attività della Tendenza Marxista Rivoluzionaria in Italia si
veda AA.VV. “Il Sessantotto” (Roma, 1988) pag. 290 e il paragrafo
nell’appendice B dedicato in questo lavoro a tale tendenza
[xliv].
“VII Congresso Mondiale e
Congresso di Riunificazione...” op. cit. pag. 21.
[xlv]
“VII Congresso...” op.
cit. pag. 37.
[xlvi]
D. Giachetti “ P. Samonà: Una
testimonianza sulla storia dei GCR.” 7 e 13 luglio 1990, Roma. Inedita.
[xlvii]
Bandiera Rossa n 7 luglio 1965
“Una analisi della situazione italiana e le prospettive del movimento
operaio”. Per una estesa analisi del centro-sinistra si veda anche L. Maitan
“Il movimento operaio in una fase critica” (Roma, 1966).
[xlviii]
G. Bono “La lista del gallo” (Milano, 1994).
[xlix]
S. Di Giuliomaria “La
costruzione del partito rivoluzionario” (Roma, 1967) pag. 64.
[l].
S. Di Giuliomaria op. cit.
pag. 73.
[li]
Dopo la rottura tra Feltrinelli e la redazione de La Sinistra
avvenuta sulla linea politico-editoriale sempre più “guerriglierista” che
il primo intendeva dare alla rivista, questa chiuderà i battenti nel breve
volgere di qualche settimana.
[lii]
Così veniva denominato il
lavoro entrista a Milano. Con la “tendenza” venivano identificati non solo i
militanti della Quarta Internazionale ma anche i semplici
simpatizzanti
[liii]
Lettera di L. Vinci a D.
Giachetti del 23/7/1991. Inedita.
[liv]
Nell’ottobre 1968 sulla base
soprattutto dal gruppo milanese ex-trotskista venne fondata l’Unione dei
Comunisti Italiani (Marxisti- Leninisti) di cui Brandirali divenne il
segretario.
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