La GiovaneTalpa pone
all’attenzione dei lettori questo articolo inedito in lingua italiana sulla
letteratura di Lev Trotsky che a suo tempo non trovò spazio nella raccolta
curata per Einaudi da Vittorio Strada.
GiovaneTalpa
Volendo
ritornare con la mente ai capolavori degli ultimi anni, si può giungere alla
conclusione, che il romanzo lento, ricco di contenuto, che ricordava il lungo
antico viaggio per le poste è morto... Prima i lunghi preparativi per il
viaggio: il “prologo”. Quindi una lunga serie di “parti” e di “capitoli” come
una fila di soste e di fermate per un giorno, quando un viaggiatore si ferma, si
riscalda con il tè e fa riposare le sue gonfie membra. E infine l’“epilogo”, il
coronamento del romanzo, e insieme, il tranquillo rifugio per il viaggiatore
stanco...
Se il vecchio buon romanzo vedesse un racconto, uno schizzo, un
saggio, uno studio.... rinnegherebbe con spregio questa minuzzaglia letteraria
con uno dei suoi molteplici capitoli.
Non so il lettore, ma io non vedo il motivo di affligersi per
questa “degenerazione”. Io ricordo i racconti e i saggi di Korolenko, di
Čekov,
di Gorkij, di Veresaev, di Leonid Andreev, del quale spero di parlare al più
presto, e mi rifiuto di affligermi.
Questi piccoli innocenti schizzi e studi, come schegge, tal volta
rimangono nella coscienza letteraria.
Il piacere artistico ottenuto da un romanzo non può essere mai cosi
completo come quello dato da un racconto o da un saggio. Il romanzo per questo
è troppo ampio, non sta in uno sguardo, non si legge in una sola volta... Esso
viene letto con diversi stati d’animo, una impressione talvolta non si lega con
l’altra e la fisionomia del romanzo, nel complesso, senz’altro sbiadisce.
Altra cosa è un saggio, un
racconto. Questa opera viene inghiottita per intero e solo dopo si espande nella
coscienza, assimilando le “dolorose cicatrici” del cuore letterario.
È qualcosa che ci ricorda un tipo di caccia ai lupi estremamente
“inumana”. I lupi vengono attirati con il “baffo della balena” piegato in
cerchio e surgelato. Il lupo che è abituato ad aver che fare con la carcassa dei
bovini inghiottisce l’esca: l’anello scongelandosi all’interno si raddrizza e
il disgraziato animale, paga con la vita.
A dire il vero, il lettore sopravvive, ma per il resto assomiglia a
quel lupo...
Anche
lui considera un “vero” alimento le grandi carcasse dei romanzi in cinque parti
e abbastanza imprudentemente inghiottisce i prodotti concentrati di arte
letteraria... Fa male! Penetrando nel suo inconscio detti schizzi e saggi si
distendono con un’energia elastica proporzionata - come i baffi di balena nello
stomaco di lupo - e producono grandi ferite nell’anima del lettore...
Esiste ancora un altra ragione che dà al piccolo racconto
“concentrato” un vantaggio in confronto al grande romanzo.
Il
piacere artistico è completo solo quando lo scrittore non opprime la vostra
immaginazione con una serie di particolari o con l’abbondanza di materiale preso
dalla realtà. Anche voi disponete di una certa immaginazione che vuole una parte
di iniziativa. Lo scopo dell’artista è di suscitarla, di dargli i motivi per una
creatività autonoma dei quadri e delle immagini. Non bisogna mettere sotto
tutela la fantasia del lettore.
Ecco perché su molteplici spettatori i veloci studi di prova del
pittore producono delle impressioni più forti del quadro finito.
Ed ecco perché il racconto nel quale l’eroe viene presentato nei
momenti più “patetici” della sua vita produce un’impressione più completa e
definita che nel romanzo, nel quale prima viene partorito l’eroe quindi viene
educato e formato, in un tempo prefissato introdotto alla luce, e solo dopo di
ciò lo si fa passare attraverso una serie di situazione patetiche allo scopo di
farlo infine trapassare con una o con l’altra morte. Qui l’immaginazione del
lettore continua ad essere sempre “guidata”.
E così il romanzo sarebbe morto.
No, non è morto ed è ancora presto scrivere i necrologi.
Già ai tempi di Belinskij la novella era passata in primo piano. Il
grande critico scriveva nel 1835 che “il romanzo si è tirato rispettosamente da
parte e si è fatta passare avanti la novella”. Questa giusta generalizzazione
non ha pregiudicato l’uscita dei romanzi di Gončarov,
Turgenev, Dostoevskij, Pisemskij, Tolstoj... E non c’è nessun motivo di
aspettarsi che in un futuro a noi prevedibile la letteratura rinuncerà a quei
quadri sintetici di vita che possono essere concentrati sull’illimitatamente
grande campo del romanzo.
La vita si complica, la vita si arricchisce... La letteratura è
costretta, non a rinnegare le vecchie forme di personalizzazione artistica, ma a
crearne di nuove.
Il romanzo rimane come una cornice sociale per tutte quelle bellezze
ed orrori della vita che nelle immagini e nei quadri isolati ci guardano dalle
pagine dei racconti e dei saggi. Quindi parlando in generale non c’è, e non ci
può essere, antagonismo tra questi due generi letterari.
Il romanzo ci affascina per l’ampiezza di presa sociale mentre il
racconto ottiene lo stesso effetto con l’energia del colpo psicologico.
Se il romanzo è morto come forma obbligatoria. con tutta la sua
forma tradizionale rituale di capitoli, di parti, di prologhi e di epiloghi,
esso vive come contemporanea Iliade, come poema della Realtà.
..................................................................
“Per vivere in questa vita,
bisogna avere i fianchi di ferro,
cuore di ferro... se no vivere,
come tutti... senza pensieri, senza coscienza”...
(Gorkij, “I tre”)
Ci è toccato sentire che alcuni trovano una certa delusione passando
dalla lettura dei saggi e dei racconti di Gorkij alle sue opere più voluminose
come “Foma Gordeev”
e “I tre”.
Gorkij non è
colpevole. Non si può pretendere che durante la lunga lettura dell’opera il
lettore non cambi umore e conservi sempre lo stesso interesse. Il romanzo non è
un saggio e 400 pagine non sono 20. In compenso questi romanzi ci danno una
ampia immagine dell’ambiente quotidiano-sociale che non può dare nemmeno più
spiccato saggio.
Dell’ultimo romanzo di Gorkij bisogna parlare o molto oppure molto
poco. Io ne parlerò poco - per diversi motivi...
“I tre” è il dramma degli sforzi isolati e vani, della singolare e
disperata lotta con la vita per un pizzico di felicità, per un sorso di gioia...
Ecco il postino Iljia Lunev, con la sua grande forza di volontà,
con la sua mente lucida e pratica... Lui chiede per sé una vita “limpida”,
modesta ma satolla, tranquilla e ordinata, la buona, “vera” felicità... Ma
ahimé! qualche mano invisibile, ma potente, lo spinge sempre là dove è peggio...
«Per tutta la vita finisco nell’immondizia”... si lamenta lui infuriato. Dov’è e
chi è quell’invisibile nemico, tre volte maledetto che “mi spinge tutta la vita
in situazioni oscure, sporche e malvagie?... Mentre quando è probabilmente
vicino a quella “pura” felicità borghesuccia, essa perde per lui i tratti
allettanti, sbiadisce e diventa l’incarnazione della noia, dell’assurdità,
della trivialità...
Sforzi
vani, il senso della vita perduto.
Eccolo il figlio del taverniere, il sognatore e mistico Jakov
Filimonov. Anche lui vuole poco: rimanere intangibile sull’isoletta deserta
dei suoi interessi chimerici e delle sue ricerche metafisiche. La differenza fra
Iljia e Jakov è evidente nella seguente conversazione. Jakov, sognatore e pieno
di sentimento verso tutto quel che lo circonda, vede in ogni cosa un mistero, un
interrogazione. A lui, giovanotto così ignorante, come per il grande mistico
Carlyle,
il fuoco sembra un miracolo. “Da dove proviene? Un attimo c’è e subito dopo non
c’è! Accendi il fiammifero, e brucia. Dunque - esso c’è sempre... Forse vola in
aria invisibilmente?”. Del tutto diversamente affronta il problema Iljia. Ma più
che affrontarlo egli ci gira intorno. “Dov’è?» esclama egli con irritazione.
«Non so. E non lo voglio sapere. So che mettere la mano sul fuoco non si può,
ma scaldarsi vicino ad esso sì. Questo è tutto”.
«... Sarebbe bello andare via da tutto in qualche parte! - sogna
Jakov - Sedersi da qualche parte vicino al boschetto, sulla riva del fiume e
riflettere su tutto”...Ma non ha dove andare... il bancone della taverna di suo
padre lo separa dal resto del mondo... E lui starnutisce... Mansueto, mite
sognatore, lui fin dall’infanzia “destinato a scomparire dalla vita”...
Ed ecco
il terzo, il meccanico Pavel Gracev, dal carattere irruento, spontaneo,
“sensuale”. Egli non medita sulla provenienza del fuoco come Jakov e non si pone
davanti a sé determinati scopi pratico-quotidiani per tutta la vita come Iljia.
Egli semplicemente vuole vivere con tutte le sue fibre e nervi senza “saggi”
giudizi e riflessioni metafisiche. Vivere: e basta. “Io in tutta la mia vita,
dall’età di dieci anni, faccio un lavoro pesante. Ciò mi permette di vivere...”
- si rivolge a qualcuno con astio. Ma questo “qualcuno” non lo permette. “Egli”
costringe Pavel a dividere anche la donna amata con commercianti ubriachi... E
quando questa poveretta fa’ un tentativo di “liberarsi” e ruba al commerciante
in sua compagnia il portafoglio, il nemico sconosciuto la raggiunge con la mano
giustiziera vigilante...
Che cosa è la vita per Iljia, per Jakov, per Pavel: per “i tre”? Un
vortice, uno sporco indecente vortice. Il saccheggio, il brigantaggio, la
ladroneria, l’ubriachezza, la fangaglia di qualsiasi tipo e il disordine... la
vita è tutta qui. E non c’è via d’uscita, né spiraglio di luce e non c’è
salvezza... Non si può uscire da questo torrente: “navighi nello stesso fiume e
ti bagna la stessa acqua...Vivi, come stabilito per tutti: Non c’è luogo dove
nascondersi”.
“Qualcuno” con la sua mano colossale e ruvida deforma i loro corpi,
schiaccia, dimena e storpia loro anime, spezza i loro desideri e infine li getta
- come cagnolini - in qualche stretta, puzzolente crepa.....
“Mi soffoca il destino...» si lamenta Lunev, - e Pashku soffoca, e
Jakov... tutti”.
In quella lingua metaforica che inerisce a tutti i personaggi di
Gorjkij, Iljia ricapitola le conclusioni della sua esperienza di vita: “l’uomo
viene circondato dai casi che lo dove vogliono come fa la polizia con il
ladruncolo”.
Tutta l’orrore della loro situazione, di questi “tre” e delle
centinaia di migliaia di loro simili consiste nel fatto che per loro non c’è
la possibilità di mettersi faccia a faccia con il nemico invisibile... Nella
loro coscienza la causa delle sventure è il destino, il caso, l’incontrollabile
forza oscura.
Questo fatalismo sociale è quella parentesi comune entro la quale
con il segno più o meno entrano senza eccezione tutti gli eroi di Gorkij, tutti
quelli superflui e inutili o semplicemente ammaccati dalla vita.
“... Il nemico che porta l’offesa non era evidente - esso era
invisibile”. Luniev di nuovo sentiva che sua rabbia così come la pietà non
serve...”. «Io adesso sento che tutto non vale un ficco secco”, dice Iljia, ma
immediatamente riconosce di “non capire niente”...
Quei sentimenti che ha accumulato nella sua esperienza di vita non
sono illuminati da un atteggiamento consapevole verso la realtà e di
conseguenza non trovano posto nel lavoro sociale. Rabbia a se stante, ottusa -
ecco il risultato limite...
Ma non è giusto lettore, trarre dal romanzo di Maxim Gorkij
conclusioni pessimistiche e di conseguenza non è bene finire l’articolo dedicato
a questa opera con note afflitte.
C’è ancora polvere da sparare nella vita... E guardate che vista si
presento a Iljia Lunev nel cimitero: “...dappertutto, dalla terra energicamente
spuntavano verso la luce cespugli ed erba nascondendo le triste tombe, e tutto
il verde del cimitero era pieno del desiderio intenso di crescere, svilupparsi,
assimilare luce e aria, trasformare i succhi della terra in colori, in odori e
in bellezza che accarezza il cuore e gli occhi. La vita vince dappertutto, la
vita vince sempre...”
La vita
è la distruttrice travolgente, la creatrice e innovatrice universale... Gloria
alla giovane, ineluttabile Vita!
Pubblicato per la prima volta in “Vostočnoe
Obozrenie”
(Rivista dell’Est) n.56 il 9 marzo 1902. Ripubblicato nel Volume XX delle Opere
Complete di L. D. Trotsky nel 1926 all'interno del volume “Problemi della
cultura. La cultura del vecchio mondo” (Mosca-Leningrado 1926).
Carlyle Thomas (1795-1881). Storico inglese, critico e pubblicista. Iniziò
la sua attività letteraria con esaltati articoli sulla poesia classica e
sulla filosofia idealistica tedesca. Per Carlyle la storia è il prodotto
creativo di uomini illustri. Nei suoi pamphlet di ispirazione sociale
Carlyle portò una dura critica alla società borghese per i suoi meccanismi
culturali e la sua filosofia utilitaristica, il culto per le scienze
naturali e l’economia politica.
Egli insorse contro l’egoismo borghese senz’anima e
contro i principi del liberalismo manchesteriano. Tutto ciò non gli impedì,
tuttavia, di accanirsi contro la classe operaia, che accusava di tendere a
impadronirsi del potere politico grazie al suffragio universale; (Il
Cartismo 1840: il grande movimento operaio che tendeva al potere per
liberare se stesso e tutta l’umanità) Carlyle sosteneva dal suo punto di
vista che « dio aveva creato il mondo in principio sulla base
dell’uguaglianza, non schiavizzato e non dominato»! L’opera di Carlyle sul
Cartismo imbarazzò anche i suoi più fervidi seguaci. Carlyle la creazione
di una nuova classe aristocratica da porre sopra la borghesia e
l’intellighenzia, sostenendo che essa era l’unica classe capace di salvare
l’Inghilterra dall’incalzare del caos sociale e ricreare un esempio di
società medioevale basata su rapporti patriarcali.
back
|