Più gli USA
si avvicinano alla preparazione finale dell’attacco in Iraq, più l’orrore della
guerra si fa incombente con le numerose vittime che quasi certamente ne
conseguirà e più si ricercano i motivi della guerra dappertutto meno laddove
essi devono essere cercati: nelle leggi di movimento della civiltà capitalista. Per alcuni la guerra è
imminente per colpa del “cowboy” della Casa Bianca e del suo unilaterialismo,
che si contrappone a quel Clinton sganciava missili e bombe solo con la
benedizione dell’Unione Europea e della NATO. Per altri questa guerra è
semplicemente per il petrolio. Per altri ancora la guerra viene condotta per
distrarre l’elettorato americano e giocare la carta del patriottismo per
garantire la rielezione del Presidente. Malgrado ognuno di questi fattori sarà
uno dei motive scatenanti della guerra in questa fase, tali motivi però non sono
in grado di spiegare la necessità fondamentale della guerra, che è parte
integrante della nostra civiltà e che trova inevitabilmente uno sbocco in questa
o in quel motivo contingente..
Tuttavia, per altri, il pericolo
della guerra è dovuto all’arroganza dell’America, che non è disposta ad
ascoltare i francesi, i russi e i cinesi, i quali affermano che si può evitare
la guerra se solo Bush desse una possibilità agli ispettori dell’ONU. Tuttavia
mentre la Francia ciancia di pace in Iraq, le sue truppe gettano in un’orgia di
pulizia etnica in Costa d’Avorio, proprio come fecero con il genocidio in
Ruanda, un decennio fa. L’esercito russo è impegnato in un massacro di massa in
Cecenia mentre i cinesi continuano la loro feroce pulizia etnica in Tibet. Le
loro obiezioni sono piuttosto consistenti, ma non hanno nulla a che fare con
l’opposizione alla guerra. Ciò che loro temono è che la guerra rafforzerà la
potenza americana e quindi li indebolirà, come del resto avverrà; obiettano che
la guerra consoliderà il controllo americano nel mondo e quindi indebolirà,
quantomeno, i loro progetti di egemonia regionale.
Anche se il pericolo di un
attacco Americano fosse rimosso, ciò non significherebbe pace per l’Iraq. Si
sostituirebbe solo il rischio di morire per mano dei missili e delle bombe
americane con il rischio di morte per pulizia etnica per mano del regime Ba’athista.
Questa guerra porterà morte,
malattie e fame per milioni di esseri umani. Tutto ciò non viene tenuto in
considerazione nelle analisi dei costi/beneifici che si fanno al Pentagono,
tutto ciò non viene discusso sulla CNN: sono esseri umani senza volto e senza
nome. Lo sforzo di guerra richiede che le loro sofferenze siano nascoste e i
media intuitivamente comprendono ciò. Essi sanno che devono trasformare un
brutale, industrial-impersonale massacro in un video-game. Le vittime devono
essere ridotte a semplici numeri. Esse devono essere sub-umanizzate. La
propaganda di guerra è razzista nella sua essenza perché il razzismo – la
negazione dell’umanità dell’ “altro” – è necessario per rendere l’assassinio di
massa accettabile. Il governo degli USA spende molti soldi per vendere al mondo
musulmano un’immagine tollerante di se stesso ma negli USA i cittadini di
origine musulmana sono terrorizzati con arresti di massa e deportazioni. Molti
di loro sono segregati cellularmente per il solo motivo di essere musulmani. Ai
prigionieri sono negati i diritti fondamentali. Ciò viene fatto non per ragioni
di sicurezza ma per mandare un messaggio a “questa gente”: potreste essere
trattati in un modo che non sarebbe accettabile per un Americano cristiano
“normale”. Lo si fa per svalutali, per rendere il massacro dei “loro simili”
accettabile.
Ciò che muove gli USA è la
necessità di puntellare un sistema di sfruttamento capitalista e di consolidare
la loro egemonia geopolitica. Il rischio reale che la classe dominante americana
sta cercando di evitare è il collasso dei loro titoli finanziari. Il capitalismo
nasce dalla scarsità e non può funzionare, a rigore, senza di essa. All’opposto
l’abbondanza, significa – all’interno del capitalismo – sovrapproduzione e
crisi. Mentre la competizione capitalista costringe il sistema a una
produttività sempre più alta, il suo stesso sviluppo espelle un numero sempre
più grande di lavoratori - oggi più di un miliardo e mezzo – dal processo
produttivo globale, e quindi drasticamente riduce il potere d’acquisto reale. La
reazione capitalista all’eccesso di produttività genera attacchi ai salari e
quindi riduce ulteriormente la domanda effettiva e accresce ulteriormente la
produttività e quindi la pletora di merci in cerca di compratori. Da quando la
sovra-capacità globale è tornata a galla alla fine degli anni ’60, il
capitalismo ha risposto con una stimolazione della domanda inflattiva negli anni
’70 e con l’esplosiva crescita del debito pubblico negli anni ’80. Negli anni
’90 alla fine della Guerra fredda, la globalizzazione e l’esplosione della
tecnologia informatica sembrava dare al capitalismo nuove speranze. La
combinazione della possibilità di accesso a zone di forza-lavoro a basso prezzo
con una più alta produttività fece esplodere i profitti ma allo stesso tempo
ripropose il problema della sovra-capacità a un ancora più alto livello. Allo
stesso tempo, la fuga di capitali alla ricerca di porti sicuri, la ricerca di
luoghi sicuri dove investire i capitali lo protesse dalla deflazione, spingendo
verso l’alto il “valore” dei titoli dei capitali più forti, specialmente quelli
americani che controllavano la moneta globale e garantivano l’ordine globale. Ma
quella ricchezza è sin troppo cartacea, è una mera illusione se è era
costantemente alimentata da profitti reali. E questa creazione di profitti viene
danneggiata dagli stessi sforzi di perpetuarla. Ecco perché il capitalismo in
crisi è così pericoloso. Il suo intero sistema finanziario collassa quando c’è
un collasso dei titoli. Il capitalismo è disposto a pagare qualsiasi prezzo pur
di impedire ciò; compreso la guerra!
Ecco perché Bush vuole invadere
l’Iraq. Non per vendicare suo papà, non per avere benzina a basso prezzo per le
sue fuoristrada, ma perché l’economia USA è seduta su una montagna di 31.000
miliardi di dollari di debito, perché la bolla finanziaria si sta sgonfiando,
perché il dollaro sta affondando, perché i proprietari di capitali stranieri
stanno iniziando a vedere gli investimenti in titoli USA come un rischio
crescente. E’ ciò che rende questo progetto così urgente. Il petrolio dell’Iraq
potrebbe essere una messe di quattrini per il capitale USA. L’occupazione
americana darebbe la possibilità agli USA di controllare il prezzo del petrolio
(da pagare in dollari ovviamente), e poi il nuovo Iraq dove investirebbe, del
resto i suoi profitti se non nel mercato azionario americano? Dalle basi
militari americane in Iraq, gli USA accrescerebbero la loro influenza sul Medio
Oriente e la proiezione della loro potenza ispirerebbe la fiducia nei titolari
di capitali in tutto il mondo. Questo è il grande schema che produce questa
impresa sanguinosa, e di cui l’11 settembre e l’indebolimento militare dell’Iraq
(e non la crescente minaccia) rappresentano i prerequisiti necessari. La sua
logica è inseparabile dalla stessa esistenza del capitalismo. Ed è per questo
che, in ultima istanza, è vano opporsi alla guerra se non si è disposti ad
opporsi al capitalismo!
Le crisi capitaliste spinge la
competizione “normale” a diventare lotta violenta. Questa è l’origine vera del
terrorismo, del numero crescente di conflitti nel mondo. Non si può sfuggire a
ciò. Il futuro del capitalismo è più guerra, più miseria, più razzismo e più
disperazione. Noi dobbiamo mettere fine al capitalismo prima che esso metta fine
a noi. Non può che essere così. La maggioranza della gente è fondamentalmente
onesta e non vuole null’altro che essere libera dalla povertà, dalla paura e
dall’oppressione; non vuole nulla più di quello che desidera ogni essere umano.
Noi possiamo organizzare la produzione e la società mondiale a quello scopo. Noi
possiamo mettere fine a questo sistema basato sul profitto, a un sistema basato
sul lavoro salariato che è diventato antiquato, assurdo e letale. E’ un
obiettivo gigantesco che possiamo iniziare ad adempiere accrescendo la fiducia
in noi stessi in quanto essere umani, in quanto operai. Crediamo in noi stessi.
Se seguiremo ancora sindacati e partiti saremo condannati alla sconfitta. Non
permettiamo che ci dividano per nazione, razza, genere, religione o etnia.
Sviluppiamo la nostra auto-organizzazione e la nostra solidarietà, difendiamo
collettivamente il nostro tenore di vita ed ergiamoci in difesa degli interessi
della classe operaia internazionale, dell’umanità. Uniamoci in una resistenza
senza compromessi che sboccerà nella rivoluzione.
Prospettiva Internazionalista (Perspective
Internationaliste) 15 febbraio, 2003
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