FOIBE...ANCORA TULa campagna sulle foibe
"slavo-comuniste", provvidenzialmente (per la destra) aperta dal segretario
triestino del PDS in sede "storiografica", non conosce soste. Ne abbiamo già
sommariamente parlato, ma conviene tornarci su.
In concomitanza con un forsennato battage revisionista condotto da circoli
ultranazionalisti friulani e giuliani si è mosso un magistrato di Roma,
Pititto, che, al termine delle sue indagini, pare abbia staccato o stia per
staccare un’ottantina di avvisi di reato per "genocidio" a ex-resistenti sia
slavi che italiani.
Il campo delle ricerche si è, nel frattempo, esteso dalle zone della
ex-Jugoslavia allo stesso Friuli, dove, in febbraio, si è "scoperta" una fossa
comune con ben sette cadaveri di fascisti, collaborazionisti e spie da mettere
sul conto del "genocidio" anti-italiano. Si tratta, non a caso, della zona in
cui operavano.. due resistenze, quella picista della "Garibaldi" e quella
cattolica, capeggiata da un prete, dell’"Osoppo"; quest’ultima impegnata a
"resistere" assieme ai repubblichini contro la "minaccia slavo-comunista"
nella transizione dal vecchio regime fascista a quello, non meno
antiproletario, della cosiddetta democrazia. (In questo clima maturò
l’"eccidio di Porzus", cioè la fucilazione di un pugno di componenti
dell’"Osoppo" in odore di collaborazionismo da parte di un comando capeggiato
dal picista "Giacca": "eccidio" successivamente sconfessato dal PCI in nome
dell’"unità nazionale" e fatto ricadere come colpa sulle spalle del solo
"Giacca", attualmente residente a Capodistria, il quale, anche di recente, se
ne è assunto, rivendicandola con molta dignità, la responsabilità in nome
delle ragioni belliche dell’antifascismo)
Storia
vera e storia mistificata
Il caso degli "infoibamenti", cioè dell’esecuzione e del "sotterramento"
dei cadaveri nelle cavità delle grotte carsiche, ha conosciuto due momenti. Il
primo risale al ’43, immediatamente dopo l’8 settembre, e coinvolse, per
esplicita ammissione delle stesse autorità italiane, non più di 600 persone.
Fu un fatto di "giustizia popolare", certamente sommaria, da parte non
dell’esercito partigiano di Tito, ma della popolazione, soprattutto contadina,
dell’Istria slava che si rivaleva così di due decenni di dura oppressione (e
morti), come già ricordavamo in un precedente articolo. Che la maggioranza,
non la totalità!, di questi uccisi fosse italiana si può ben capire guardando
alla carta geografica ed alla storia di quelle terre, dove il fascismo era
diventato di casa -nel corso della guerra estendendosi sin alla "provincia
(italiana?) di Lubiana", coi suoi ben noti metodi di sanguinosa "pulizia
etnica" antislava.
Non diciamo che tutte quelle esecuzioni abbiano colpito effettivamente solo
dei responsabili diretti dell’oppressione fascista e che non siano
occasionalmente intervenute delle ragioni d’interessi personali. Ciò che è
assolutamente escluso è che si sia trattato: primo, di un’operazione ordita
dall’esercito di Tito; secondo, di un tentativo di "genocidio" ai danni della
popolazione italiana in quanto tale (la quale, tra l’altro, nella sua anima
"rossa", aveva largamente aderito alla "lotta di liberazione" titoista vista
-inutile dire quanto illusoriamente!- quale reparto d’avanguardia d’una lotta
internazionalista di liberazione di classe).
Dal ’43 al ’45, significativamente, non compaiono altri casi di foibe, il
che già la dice lunga sul "disegno" genocida del titoismo.
Dal ’45, a fascismo abbattuto, comincia una seconda fase "epurativa", e su
questa i numeri si sprecano, moltiplicandosi col tempo.
Una pubblicazione del novembre ’46, a cura del sedicente "Comitato di
Liberazione Nazionale per l’Istria" (L’Istria, oggi), dice che "dopo il
1° maggio 1945 si calcola che sono spariti circa 500 italiani: di alcuni si sa
che trovarono la morte nelle foibe, altri furono gettati a mare con una pietra
al collo, altri si crede siano deportati in Jugoslavia" e che "mentre i morti
del 1943 poterono essere ricuperati, poco si è potuto sapere di quelli uccisi
nel 1945". Da notare due cose: non si trattava solo di civili (a prescindere
dal ruolo giocato nella società... civile) e di essi si dice che sono
"spariti", senza poter fornire una anche approssimativa percentuale dei morti
accertati e di coloro di cui non si è trovata traccia. Quanto all’italianità
quale causa della loro eliminazione, va notato che proprio nel ’45
s’infittisce l’azione concorde di ex-repubblichini e di nazionalisti italiani
comunque connotati politicamente contro la prospettiva di un passaggio di
Trieste e dell’Istria alla Jugoslavia come coda bellica nella regione.
Entrambi i fronti in lotta combatterono allora per le proprie bandiere
nazionalistiche, anche se quelle titine potevano ostentarle quali "anche"
socialiste, rivoluzionarie. E, ancora una volta, come nel ’43, tra gli
italiani ci rimisero le penne fascisti, irredentisti ed anche gente comune
senza colpe, com’è nella logica feroce delle cose. Di questa seconda ondata si
può ben dire che fu attuata dall’Esercito di Liberazione di Tito con intenti
nazionalistici, in certi settori di esso almeno, più evidenti che non in
quella "spontanea" del ’43, a misura che s’andava dissolvendo l’illusoria
"fratellanza di classe italo-slava" e, nell’ambito del movimento titoista,
prendevano più corpo quelle tendenze nazionalistiche che, sin dall’inizio,
avevano aderito alla lotta di liberazione per pure motivazioni "slave" (e
persino micro-slave: slovene, croate, serbe "per sé").
Da parte sua, il CLN istriano, che si presentava col "fiero carattere di
sentinella contro la pressione degli Slavi" (vedi pubblicazione di cui sopra)
avrebbe volentieri infoibato, ove avesse potuto, i "liberatori" titini, solo
che le cose andarono diversamente (e malissimo per la prospettiva
internazionalistica nostra, la cui opera di pulizia sarebbe stata
necessariamente non meno cruenta, ma di tutt’altro segno, nella solidarietà di
classe, come nel ’21, tra militanti proletari di tutte le nazionalità della
regione per la propria emancipazione di classe).
Nel ’61 l’ex-sindaco di Trieste Bertoli pubblicò un Martirologio delle
genti adriatiche, con l’elenco di un ben maggiore numero di scomparsi,
sempre in conto dell’"italianità" offesa dagli slavo-comunisti, in cui si
mescolano militari e civili di ogni tipo, caduti in guerra e giustiziati.
Oggi, un presunto storico di famiglia RSI, certo Pirina, dà i nomi di 1458
scomparsi dati come "infoibati dai titini perché italiani".
Un foglietto triestino dalle idee politiche non del tutto ben chiare, ma
simpaticamente "indipendente" e battagliero (La nuova alabarda, n° 81,
gennaio ’97) documenta come di essi ve ne siano 274 (pari al 18,8%)
accertabili come morti per tutt’altre cause, dei quali 21 addirittura morti
nei lager nazisti dov’erano stati deportati, in maggior parte, in quanto
partigiani.
Ma poiché 1458 (meno 274) nomi non bastano, si fantastica liberamente di
5.000, 10.000 e, perché no?, 20.000 scomparsi, tutti regolarmente "infoibati".
E c’è da sperare che ci si fermi qui, senza voler far concorrenza alle cifre
ebraiche, il che sarebbe troppo anche per un Pititto.
Maliziosamente, l’Alabarda conclude: "per mettere fine a tutte le
strumentalizzazioni e le polemiche c’è un’unica soluzione: aprire le foibe,
prima di tutte quella di Basovizza e di Monrupino e verificare cosa c’è
dentro. In quella di Monrupino ci sono certamente i resti dei soldati tedeschi
morti durante la battaglia di Opicina...; nella foiba di Basovizza, alla luce
dei documenti noti, probabilmente non c’è più nulla. Ci chiediamo se forse è
proprio per questo che non si sono mai volute aprire".
"Scoop"
e scopi
Il dovere della scuola borghese:
educare all’anti-comunismo.
Abbiamo notizia che l’ala dura, "sociale", di Alleanza Nazionale ha
creato "Il Comitato per il diritto alla verità storica" che si propone la
messa al bando dei libri di testo scolastici colpevoli di "ignorare o
negare l’Olocausto degli italiani infoibati in Istria, Dalmazia e Venezia
Giulia ad opera degli slavocomunisti". Niente di strano, è un
mestiere che ben si addice ai nostalgici dell’incorrotta Grande Italia dei
Mazzini, dei Cavour, dei Garibaldi, dei... Mussolini e del Polo delle
Libertà.
Più "strano" è che a questa iniziativa abbiano potuto concedere la
propria firma due ulivisti quali Maurizio Costanzo, il tenutario del
bordello-show che reca il suo nome, e l’Annunziata (anche se c’eravamo
accorti che Telekabul sta sempre più assomigliando a Telepredappio,
soprattutto quando si tratta di consigliare moderazione e tirate di
cinghia agli operai). Niente di strano, in effetti, se si tien conto del
pistolotto di Violante sui "fratelli italiani" della RSI. E per nulla
strano che il ministro Berlinguer abbia subito assicurato che si
provvederà a colmare la "lacuna". Perciò, storici del regime, siete
avvisati: prendete carta e penna e trascrivete quel che vi detta la Voce
del Padrone!
Sappiamo da sempre qual è la funzione della scuola nel presente sistema
sociale: educare i propri polli all’ideologia del regime ed alle sue
menzogne. Sappiamo da sempre che la vera educazione si fa altrove,
coi testi delle lotte di classe e le pagine scritte in grado di
chiarirle a sé stesse. Finalmente cade anche l’ultima (?) illusione di una
scuola educatrice "neutrale" e se ne vede l’osceno volto
fronteunitariamente schierato a favore della reazione. Noi abbiamo
già pronti i nostri "libri di testo" e siamo intenzionati a difenderli dal
rogo degli Alemanno, degli Storace, dei Violante, dei Costanzo e
dell’Annunziata. E sapremo anche noi usare i nostri lanciafiamme. |
Ci si chiederà perché mai tanto rinnovato accanimento a proposito di
vicende sulle quali neppure l’ex-MSI aveva osato esagerare sino a questo
punto, soprattutto dopo l’indubitabile conversione del PCI (ma non da oggi...)
al nazionalismo più spinto e dopo la fine del regime "comunista" di Tito,
andato in polvere assieme a tutta la Jugoslavia. Che cosa diavolo si cerca, se
non c’è più neppure l’ombra né di italo né di slavo-"comunismo"?
L’operazione-foibe serve, in effetti, egualmente. A uso esterno, per
rovesciare sugli "slavi" in quanto tali l’accusa infamante di "popolo
genocida" (un po’ come degli ebrei si diceva "popolo deicida"), in vista di
(improbabili) soprassalti revanscisti futuri. A uso interno, per gettare il
discredito sulla fin più pallida ombra di "comunismo" (e si sa che per
qualcuno lo stesso D’Alema, ovvero la sua base sociale proletaria d’appoggio,
può tuttora passare per "bolscevico"), in vista del regolamento di conti a
venire, che già si prospetta, contro la minaccia d’ogni e qualsiasi ritorno
rosso: uno stato borghese forte, per affrontare le crisi catastrofiche che
incombono, deve farla finita con tutte le ipoteche proletarie di classe, quali
quelle che si son dovute sopportare nel trapasso fascismo-democrazia e nei
trascorsi decenni affluenti di quest’ultima.
Operazione squisitamente ideologica, finora, e in attesa degli sviluppi a
venire. I rossi sono infoibatori per definizione (ecco perché si ritorna da
sempre su Porzus, i "triangoli rossi della morte" etc.) e mettiamo bene le
mani avanti: guai se dei veri rossi dovessero ritornare; nessuna paura
per i Massimo e i Fausto, ma frugare tra i loro vecchissimi armadi può servire
per veicolare il messaggio che più conta come messaggio terroristico in
nome della Legalità, dello Stato, della Patria, del Dio Capitale.
Il PDS abbocca, pensando di "accreditarsi", ed ecco che da sé, col suo
responsabile triestino Spadaro, risolleva la vicenda delle foibe... altrui e
con Violante rende omaggio a "tutti i caduti" della guerra civile, chiarendo
che, in fondo, tutti hanno combattuto sostanzialmente per la stessa causa
patriottica, anche se da opposte sponde (il che, purtroppo, è vero), e venendo
a Trieste a ribadire che gli unici assassini stavano fuori casa, erano i
"comunisti slavi"...
La sola Rifondazione, tra i partiti istituzionali, si dissocia, ma senza
poter dire una parola chiara sul senso sociale e politico degli avvenimenti di
allora e sulle sue inevitabili proiezioni all’oggi e sul domani: e che senso
ha "difendere la comune resistenza italiana e slava" quando non si capisce
perché la prima è andata a finire, come doveva, a pro dell’imperialismo
nazionale e la seconda si è tragicamente conclusa, come doveva, nello sfacelo
della Jugoslavia e perché, sin nel cuore della lotta di liberazione, le due
anime "concordi" in oggetto si siano reciprocamente contrapposte e, poi,
scannate (dopo la "svolta" del Cominform nel ’48)? Gli aborti non si possono
rivendicare. Occorrerebbe poter rivendicare qualcosa di vivo, la prospettiva
comunista rivoluzionaria fiaccata nel resistenzialismo, ma questo non è
pane per le protesi dentarie di Rifondazione.
La "Repubblica nata dalla Resistenza" ripaga così gli autentici resistenti
di allora, reclutati quasi esclusivamente tra le file proletarie "comuniste",
contestando ad essi di aver voluto portar comunque dentro il "nuovo" Stato
post-fascista delle istanze autonome di classe pur nell’ambito del più bolso
patriottismo nazional-borghese, imputa ad essi di aver esagerato in termini di
guerra civile e, ad Est, addirittura di aver pencolato verso le rivendicazioni
territoriali titoiste. I repubblichini, essa dice, facevano parte del nostro
stesso fronte, sia in quanto italiani sia in quanto difensori dell’ordine
borghese e se, allora, malauguratamente ci si è divisi quanto ai modi
di ristabilire la sovranità nazionale, l’ordine statale, la continuità
del sistema sociale, oggi questi "valori" devono essere rimessi sul
piedistallo, col concorso di tutti (tutti i "nostri"). Questo, d’altronde, il
senso della campagna per la "pacificazione nazionale" lanciata dai missini sin
dalla loro nascita (e, prima ancora, dai repubblichini della RSI. Non si
potrebbe esprimere con parole migliori il concetto da sempre difeso dalla
Sinistra Comunista: l’attuale democrazia è l’erede diretta del fascismo,
battuto in guerra, ma vittorioso sul piano dei contenuti economico-sociali e
politici di fondo.
[Velleità
imperialistiche con muscoli da strapazzo
Più problematico l’uso esterno dell’attuale campagna. In Slovenia e in
Croazia han subito capito l’antifona: qui non si vuole colpire
retrospettivamente Tito e i suoi, ma i popoli slavo-balcanici nel loro
complesso, quale oggetto di un contenzioso imperialista. Lo hanno proclamato
netto le associazioni partigiane locali e i capi-governo Kucan e Tudjman. Non
ci sentiamo di dar loro torto, tutt’altro!, anche quando a protestare contro
l’imperialismo italiano sono coloro che, come Tudjman, gli hanno aperto
concretamente la strada affossando la Jugoslavia in qualità di mandatari
(tanto più se arrogandosi il vanto di esserne i soli protagonisti e per sé):
questa più che legittima protesta, semmai, dovrà servire ad aprire gli occhi
ai proletari della ex-Jugoslavia per riconsiderare passato recente e lontano
sulla via della riacquisizione dei propri programmi e della propria
organizzazione di classe.
Quello che è ridicolo da parte dell’Italia è che, se la campagna sulle
foibe potrebbe avere un senso concreto in una situazione di proiezione
imperialistica diretta ed aggressiva ad Est, finisce per rivelarsi un
boomerang quando si limita al vilipendio gratuito dei popoli slavi. Col che
diventa semplicemente un ostacolo alla stessa penetrazione capitalistica
"pacifica" oltre le terre di confine e si è poi visto come i vari Fassino
siano dovuti andare a scusarsi quasi di tali "intemperanze" pubblicitarie coi
vicini "partner" sloveni e croati.
(Un piccolo particolare aggiuntivo: i capi della Lega, che già svolgono
per conto loro una politica industriale e commerciale ed una politica
estera "padana" verso l’Est si sono ben guadati dal prendere questa gaffe: i
"nostri cari amici slavi", ai quali intendiamo spremere il sangue, sono stati
subito assolti da ogni sospetto in materia; casomai questo è un problema che
riguarda i "comunisti", coi quali abbiamo, con loro, un comune conto
aperto...)
Il nostro punto di vista, non storiografico
A noi interessa poco fare il computo "storiografico" dei "delitti" di
guerra. E’ per noi scontato che la guerra stessa, in quanto guerra del
capitale, è un delitto, anzi: il delitto. I vincitori che pretendono di
giudicare gli specifici "delitti" dei singoli vinti (come nel caso dell’Italia
sconfitta nella seconda guerra mondiale, ma ritornata successivamente
vittoriosa rispetto ad una Jugoslavia che presenta invertite le parti) non
fanno che statuire i propri diritti di vincitori sulle proprie vittime,
allegramente infischiandosi delle proprie atrocità. Così si osa oggi
rimproverare retrospettivamente ai titini le foibe, ben guardandosi
dall’interrogarsi sui mille fatti di oppressione e di massacri operati
dall’Italia repubblichina, di cui implicitamente si difende la continuità con
lo stato attuale, ai danni delle popolazioni slave ed altrettanto si fa,
trasferendosi al quadro delle classi, per i partigiani italiani "fondatori"
della Repubblica chiudendo tutti e due gli occhi sul ventennio di sofferenze
proletarie prodotte dal fascismo, posto che i proletari italiani sono, o
devono essere, dei vinti e trattati come tali.
In contrapposizione a quest’ottica da pescecani, noi intendiamo ristabilire
due ordini di verità di classe.
Primo: la guerra di liberazione nazionale, e perciò
democratico-borghese, anche se rivestita di impropri panni "comunisti", di
Tito non aveva di mira l’italiano in quanto tale (tant’è che numerosissimi
italiani militarono nelle sue file), ma un oppressore nazionale e di classe, e
in ciò si distingue dal carattere di scontro imperialista diretto tra le due
alleanze imperialiste in lotta nella seconda guerra mondiale. Il problema è
che l’obiettivo, di per sé legittimo, della liberazione nazionale, coi suoi
legittimi compiti democratico-borghesi, non poteva, nell’epoca
dell’imperialismo, risolversi in sé e di per sé stesso, ma nel quadro di una
generale offensiva comunista internazionalista contro l’insieme dei
rapporti di dominazione capital-imperialistica. Al di fuori di ciò, anche la
migliore lotta di liberazione nazionale, anche quella a più forti connotati
popolari e persino proletari (e la resistenza jugoslava fu, in un certo senso,
entrambe le cose), non poteva che inserirsi quale elemento secondario di
manovra nel gioco dei contrapposti imperialismi, pagandone tutti gli
scotti (come in effetti avvenne). Perciò, anche al top delle sue prestazioni,
il movimento di Tito vide, sin dalle origini, l’elemento nazionalista
preponderante su quello di classe e strangolatore di esso, a scala jugoslava e
internazionale: il "fronte patriottico" interclassista e nazionalista, che i
"comunisti" di Tito pretendevano di "egemonizzare", si sarebbe presa una bella
rivincita sulle chiacchiere socialiste e rivoluzionarie nel momento in cui gli
interessi nazional-borghesi della Jugoslavia venivano a scontrarsi con
l’opposto "fronte patriottico" borghese italiano. Di qui i confini statali, su
cui misurarsi, tra i popoli e le classi; di qui l’inizio della slittata del
nazional-comunismo, dopo il ’48, verso l’Occidente.
Secondo: è proprio in questo elemento che noi vediamo l’autentico
delitto storico operato dal titoismo. E ciò al di là del fatto delle
foibe, che non poté assurgere, come altrove (vedi gli eccidi di Hiroshima e
Nagasaki o il bombardamento sui civili di Dresda), a paradigma di vendetta
(imperialista) contro popoli nemici per la natura stessa del movimento di
liberazione nazionale titoista. Paradossalmente, proprio la sua iniziale
coloritura sociale "comunista" fece sì che attorno ad esso si raccogliesse
inter-nazionalmente un concorso di energie proletarie di slavi ed italiani
(provvisoriamente) uniti, il che agì da deterrente contro un revanscismo
puramente nazionalistico "slavo" (cosicché, sotto questo aspetto, andrebbe
dato atto ai partigiani italiani schierati con Tito di aver impedito il
peggio).
Quel tanto residuale di una tradizione comunista sfigurata, tradita
e rovesciata che ancora sopravviveva nell’animo dei combattenti partigiani
tanto slavi che italiani (e, soggettivamente, forse, nella testa di alcuni
loro capi) poté offrire allora uno squarcio di quel che altrimenti sarebbe
potuta essere una vera guerra internazionalista di classe e, quanto meno,
impedire gli orrori di cui seppero fregiarsi i "civili" democratici
imperialisti. Altro che "barbarie slavo-comunista"! Un residuo, nondimeno,
destinato alla definitiva scomparsa sotto l’ala dei Tito e, più, dei
Togliatti, dei Vidali etc. Questo il delitto!
In connessione a ciò c’è una questione ulteriore, di cui nessuno, o quasi,
ha sin qui parlato, ed è la repressione spietata da parte del titoismo di
tutte quelle sparute voci, slave ed italiane, che sin da allora seppero
ergersi contro la deriva nazionalista in atto disegnandone le conseguenze. Gli
autentici internazionalisti furono fatti fuori, anche fisicamente, da Tito
senza troppi complimenti, in piena concordanza con la dottrina di Mosca (e di
Washington). Qualcuno, di recente, si è provato a riesumare anche questa
pagina buia, ma per ricordare solo le "vittime italiane" ed ascriverne
l’eliminazione al solito "nazionalismo slavo": Eh no, bari e delinquenti!
Internazionalisti slavi ed italiani furono eliminati dallo stalinismo per
conto dell’imperialismo, quel caro imperialismo che vi sta tanto a cuore, ed
abbiate perlomeno il pudore di non fingere di piangervi sopra oggi né,
tantomeno, di utilizzarne il sacrificio per l’ennesima sporca operazione
sciovinistico-imperialista!
Queste sono le nostre "foibe" e di esse chiediamo conto, prima ancora che a
Tito, all’ideologia e alla potenza materiale del nostro mortale nemico di
sempre, il capitalismo, col suo putrido cuore qui, in Occidente. Avremo
occasione di riparlarne, su questo giornale o in altra sede per rimettere i
puntini sugli i.