Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Fausto Bertinotti, non ha sentito il bisogno di dimettersi,
il giorno dopo i risultati del referendum. Questione di stile. A nostro modesto
avviso i 10 milioni che hanno votato SI’, superando i mille ostacoli che si
erano frapposti tra loro e il voto, non sono poi un brutto risultato. E’ stato
un voto soprattutto di classe e non lo dimentichiamo. Tuttavia una cosa è
contarsi e un’altra è vincere un referendum. Ci volevano almeno 25 milioni di
voti validi e il 50,1% al SI’ per vincere e cioè quasi il triplo di quello che
si è riusciti a racimolare, dieci milioni di partecipanti al voto in più
rispetto all’elettorato di Ulivo + Rifondazione e via contando.
Bertinotti parla di scommessa perduta; sarebbe meglio
parlare invece di avventura. E’ la prova provata che il capitalismo nella sua
fase discendente non è in grado di garantire nulla e che il referendum non può
rappresentare uno strumento per far avanzare i salariati.
Un partito come Rifondazione – un partito riformista
d’opinione minoritario – dopo essere stato per qualche anno un partito residuale
–un residuato della caduta del Muro di Berlino - ha disperatamente cercato di
barcamenarsi tra movimenti e istituzioni. La mancanza di un’analisi e delle
strategie che non fossero le suggestioni dell’antiglobal o la stanca ripetizione
del togliattismo, hanno privato Rifondazione di qualsiasi respiro. Ora l’ultimo
giro di danza è stato fatto: Rifondazione non ha più altra strada che l’accordo
programmatico con l’Ulivo per le elezioni del 2005-2006 (a meno che la borghesia
italiana decida di disfarsi di Berlusconi prima della fine del mandato).
Bertinotti nelle sue prime dichiarazioni dopo il voto ha
alzato i toni nei confronti di DS e Margherita. E’ solo una mossa da
avanspettacolo per tenere insieme un corpo militante che rischia (dilaniato
dagli scontri correntizi e dalla paralisi delle strutture di base) di
sbriciolarsi già nei prossimi mesi. La contraddizione non potrebbe essere più
patente: si chiede ai militanti di allearsi alle elezioni con la stessa canaglia
del centro-sinistra che applaude Blair all’estero e sta con padroni e i
padroncini in Italia. Il giochetto del “bau bau” Berlusconi non funziona più tra
i compagni più avveduti perchè lo sanno tutti che cosa ha fatto il governo
dell’Ulivo e cosa farebbe se dovesse tornare a prendere le redini del paese: a
suo modo, servirebbe al meglio gli interessi della borghesia italiana. La
politica del “meno peggio” non funziona più: forse garantirà la sopravvivenza di
Rifondazione per un’altra legislatura in parlamento, ma al prezzo di
distruggerne le rimanenti forze militanti.
E’ necessario prendere un’altra strada.
E’ ora di tornare a discutere, a capire, cosa deve e può
essere la rifondazione del comunismo fuori dal cretinismo parlamentare, fuori
dai giochetti di Bertinotti per assicurarsi un spicchio di visibilità nel gran
circo della politica borghese.
Senza una riflessione profonda che inizi a criticare non
solo la politica borghese, ma la politica tout-court, sarà ben difficile trovare
la via e costruire un’ipotesi di emancipazione sociale e umana complessiva.
Roberto Villetti
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