“ una volta qui c’era il bar Mario/l’han tirato giù tanti anni fa/ e i vecchi
sono ancora lì che dicono che senza non si fa” (Luciano Ligabue)
Il biennio ’79-’80 conclude la stagione dei movimenti sociali apertasi nel 1968.
Si chiude con la messa sotto chiavistello dei dirigenti dell’Autonomia e la
messa in libertà di qualche decina di migliaia di operai FIAT.
Il terrorismo dei gruppi armati, dopo Moro, è già votato alla sconfitta per la
sua totale mancanza di prospettive, ma l’assurdo scontro con lo Stato per il
momento prosegue, inaridendo ogni spazio di opposizione sociale, riducendo al
silenzio, alla passività, molti dei protagonisti dei movimenti degli anni
precedenti.
Nel 1981 su una delle poche riviste di “movimento” sopravvissute, si possono
leggere queste amare considerazioni sul periodo che sta ormai alle spalle:
Gli ultimi due anni sono stati tra i più brutti
della nostra vita. La repressione, il carcere, la disoccupazione, la
disperazione, hanno attraversato orizzontalmente la storia di migliaia di
compagni, di giovani, di donne. In pochi abbiamo tenacemente, testardamente
continuato a lottare, a difendere i compagni incarcerati con accuse folli, in
pochi abbiamo continuato a discutere nelle scuole, nella fabbriche, cercando di
porre un argine al dilagare dello scoramento, della sfiducia”[1].
E’ normale che in questo clima di smobilitazione e di disillusione la campagna
propagandistica sulla “crisi del marxismo” riprenda vigore. La alimentano
soprattutto gli intellettuali neo-marxisti degli anni ’60 che hanno raggiunto,
nel frattempo, lidi più agiati.
Livio Maitan, proprio su questo tema, pubblica in quel periodo un opuscolo
titolato “Crisi del marxismo versione anni ’70”, ricostruendo storicamente le
radici del dibattito.
Per Maitan i tratti comune che unirebbero, nel rigetto del marxismo, le analisi
dell’Autonomia con le palinodie di Colletti, passando per Stame e i teorici
dell’eurocomunismo, sarebbero il disorientamento e la delusione prodotti dal
cambio di fase del ciclo economico, inauguratosi nella seconda metà degli anni
’70.
Innanzitutto, la crisi della società
capitalistica, apertasi con il 1968 non ha avuto sbocchi positivi nel senso che,
se la borghesia non è riuscita a imporre una ristabilizzazione, ha potuto,
tuttavia, mantenersi in sella, superando i momenti più difficili come il 1968-69
rispettivamente in Francia e in Italia, il 1975 in Portogallo, (...)
Contemporaneamente la radicalizzazione della piccola borghesia e dello stesso
movimento degli studenti si è parzialmente esaurita (...) La stessa classe
operaia (...) dal punto di vista della sua composizione al periodo del
rafforzamento è seguito un periodo di ristagno, di regresso settoriale, di
frammentazione. La disoccupazione massiccia e prolungata negli stessi paesi che
più si erano avvicinati alla piena occupazione nel ciclo lungo precedente, è
divenuta un elemento centrale della nuova situazione (...)[2].
Maitan dunque riconosce solo un cambio di fase politica,
determinata dal ciclo discendente dell’economia capitalistica. La fiducia nel
ruolo trainante della classe operaia di fabbrica resta intatta, soprattutto
perché questa “non ha subito arretramenti e rovesci decisivi”.
La stessa critica puntuale, nel saggio di Maitan, agli aspetti più fantasiosi ed
estremi delle teorie dell’Autonomia, come l’esaltazione dei furti durante il
black-out di New York del ’77[3],
sottovaluta le dimensioni delle trasformazioni in corso.
In realtà gli effetti della nuova fase del capitalismo, prodotto combinato del
rallentamento e stagnazione dell’economia mondiale e dei tentativi di
razionalizzazione e di controllo della forza lavoro, produce a medio termine un
indebolimento strutturale della forza politica e contrattuale della classe
operaia.
Il rovescio della medaglia della crescente internazionalizzazione dell’economia
è - alla fine degli anni ’70 - l’emergere, in grandi città come Roma e Milano,
del problema dell’immigrazione di lavoratori dai paesi del Terzo Mondo, che
diverrà la vera “emergenza sociale” per tutti i governi europei negli anni ’80.
Nel febbraio del 1980, dopo una espulsione massiccia a Roma di nord africani, il
giornale della LCR dedica un dossier proprio al tema degli immigrati intitolato
significativamente: “Saranno gli ebrei degli anni Ottanta?”.
La tendenza all’immigrazione è analizzata in relazione alle grandi
trasformazioni che si stanno determinando nei paesi “in via di sviluppo” e alle
trasformazioni delle metropoli capitalistiche. Se l’Italia agevolò
l’emigrazione, in un primo momento, anche per equilibrare la bilancia dei
pagamenti esportando la forza-lavoro, e cioè l’unico prodotto italiano
competitivo, il processo avviato nei paesi di iniziale industrializzazione segue
lo stesso percorso.
Nei paesi in via di sviluppo capitalistico accade
lo stesso: l’esportazione di manodopera è diventata forma differita di
esportazione di capitali. Anche nel momento in cui alcuni di questi Paesi
cominciano a esportare (petrolio ma non solo) non rinunciano alle rimesse. Tra
l’altro, i capitalisti dei paesi in via di sviluppo capitalistico non
utilizzano (come non lo fece la borghesia italiana prefascista, fascista e
postfascista) la loro crescita economica per spese sociali; saranno i
lavoratori (come qui lo sono stati i lavoratori italiani) a strappare conquiste
su questo terreno[4].
In questo quadro la battaglia sindacale per i diritti degli immigrati non si
deve confondere con quella per la “regolarizzazione” della forza-lavoro, che può
portare a discriminare i lavoratori presenti illegalmente in Italia.
Gli effetti iniziali di tale trasformazione si vedono anche sui GCR che,
aggrappandosi alla resistenza operaia a cavallo degli anni ’80, virano
decisamente verso il movimento operaio tradizionale, la sinistra sindacale e
infine, valutata l’impossibilità di costruirsi come partito autonomo, verso DP.
Non a caso viene varata proprio nel 1979 la rivista Critica Comunista,
che si rivolge prima di tutto all’area della sinistra riformista, e in
particolare al dibattito sull’eurocomunismo e alla nuova ondata di dissidenza
intellettuale nei paesi dell’Est.
Il dibattito nel S.U. al XI Congresso Mondiale.
L’XI Congresso Mondiale del S.U. rappresenta il prologo di quel declino
inarrestabile dell’organizzazione che si prolungherà per tutti gli anni a
seguire.
Se dal 1963 il S.U. non aveva subito scissioni di rilievo, ciò era dovuto sia
alla fase di ascesa delle lotte di classe che imponevano a tutte le sezioni del
S.U. una certa prudenza sia alla gestione tutto sommato federalista
dell’organizzazione mondiale. Ma alla fine degli anni ’70 le contraddizioni
vengono a galla. Il comune richiamo al patrimonio del trotskismo e al “programma
di transizione” non bastano a mantenere tutte le frange e tendenze sotto lo
stesso ombrello organizzativo.
Nel 1977 è già iniziato a circolare a livello internazionale il documento di
Mandel su Democrazia socialista e dittatura del proletariato. Per
l’estensore si tratterebbe di una messa a punto sulla questione delle
istituzioni e degli organi del potere comunista nella fase di transizione alla
luce delle lezioni dello stalinismo.
Per Mandel con il termine “dittatura del proletariato” si intende
(...) [un] meccanismo per disarmare ed
espropriare la classe borghese e per consentire l’esercizio del potere statale,
da parte della classe operaia; di un meccanismo per impedire qualsiasi
restaurazione della proprietà privata dei mezzi di produzione ed ogni
reintroduzione dello sfruttamento dei lavoratori salariati da parte dei
capitalisti. (...)[5].
In questo senso la teoria marxista dello stato non implicherebbe l’esistenza
durante la transizione di un partito unico, mentre il potere politico sarebbe
esercitato dai consigli dei lavoratori. All’interno di questi ultimi ci sarebbe
la libertà di eleggibilità per chiunque. Mandel, pur rimarcando che
l’alternativa sarebbe l’oppressione burocratica del partito, afferma comunque
che le cause dell’ascesa della burocrazia
(...) sarebbero cause oggettive, materiali,
economiche e sociali, che vanno ricercate nella infrastruttura sociale della
società sovietica e non nella sovrastruttura politica, e sicuramente non in una
particolare concezione del partito[6].
Il diritto alla propaganda di idee borghesi o reazionarie, la stessa
organizzazione in partiti di tali tendenze e il loro ingresso nelle istituzioni
sovietiche, sarebbe garantito dallo stato proletario.
Quando la classe borghese è disarmata ed
espropriata, quando i loro membri hanno accesso ai mass-media unicamente in
rapporto al loro numero e non alle loro ricchezze, non c’è motivo di temere un
confronto continuo, libero e franco tra le loro idee e le nostre. (...)
[7].
Soggetti alla repressione del potere proletario sarebbero solo i tentativi di
rovesciare il potere proletario, gli atti terroristici o di sabotaggio, ecc.
In realtà, per i suoi critici, questo documento, revisionando la teoria
marxista dello Stato, sarebbe il prodotto della pressione dei pregiudizi
democratici fortemente presenti tra la piccola borghesia ma anche del
proletariato in Europa.
Il volume “La dittatura rivoluzionaria del proletariato” del Nauhel Moreno,
proposto anche in lingua italiana dalla Lega Socialista Rivoluzionaria, è una
durissima requisitoria contro le tesi di Mandel. Moreno nega che sotto il regime
di dittatura del proletariato possa sussistere la “libertà politica illimitata”
in quanto se non esistesse nessuna forma di repressione non si parlerebbe
neppure di dittatura. Ma è sul terreno più propriamente politico che la
formula della “libertà politica illimitata” vacilla spaventosamente.
(...) quando passiamo al terreno politico
riempiendo questa forma col suo contenuto attuale (‘Libertà politica illimitata
per Somoza, Pinochet e lo Scià dell’Iran, fino al giorno in cui levino le armi
contro la dittatura operaia, senza che possano essere giudicati per i loro
crimini passati’) la discussione passa dal ridicolo al tragico. (...)[8].
L’impostazione mandelliana risente per Moreno dello stato d’animo e delle
mode presenti nella intellighenzia e nella gioventù europea radicalizzata:
La maggioranza del S.U., è necessario ricordarlo,
predicò per anni la religione della lotta armata in tutti i momenti e in tutti i
luoghi. Coloro che non stavano con la guerriglia in America Latina o con la
violenza minoritaria in Europa erano dei riformisti. Nei suoi documenti
ricorreva il fantasma di una sanguinosa controrivoluzione imperialista in
Europa, entro cinque anni , a cui ci si sarebbe dovuti preparare. Presi da
questi compiti i nostri compagni francesi e inglesi iniziarono ad affrontare
armi alla mano i gruppuscoli fascisti[9].
Il problema della concessione di libertà più o meno limitate (ma anche dell’uso
se necessario del terrore rosso) è data dalle necessità contingenti della
dittatura rivoluzionaria del proletariato, anche se questo non significa
(...) che le libertà si devono dare e togliere
arbitrariamente, secondo la volontà soggettiva del partito che dirige la
dittatura. Al contrario obbediscono ad una ferrea legge di carattere oggettivo e
algebrico, che esprime la relazione tra rivoluzione e controrivoluzione. Il
margine di libertà che ogni dittatura rivoluzionaria concede ai suoi nemici sarà
direttamente proporzionale alla forza e all’avanzamento della rivoluzione (...)
e inversamente proporzionale alla forza e alla dinamica della controrivoluzione[10].
Il conflitto tra Mandel e Moreno si estremizza con gli eventi della rivoluzione
nicaraguense. La caduta di Somoza è salutata calorosamente dai dirigenti europei
e USA del S.U,. non solo perché libera il paese da una oppressione
pluridecennale, ma anche per le novità programmatiche che la direzione
sandinista inserirebbe nel suo tentativo di costruire una nuova società.
Pluripartitismo, economia mista, relazioni internazionali a tutto campo sono
visti dal S.U. come un tentativo inedito di reinventare il processo di
transizione al socialismo. La direzione sandinista viene caratterizzata come
“rivoluzionaria” e il suo stato “operaio”.
Il rifiuto della Frazione Bolscevica di caratterizzare il regime del FSLN
come proletario e l’affaire della Brigata Simon Bolivar[11],
porterà alla uscita dal S.U. del PST argentino e di gran parte delle sezioni
latinoamericane.
La vicenda legata alla questione nicaraguense mette anche in luce la sempre
maggior difficoltà a far rientrare negli schemi delle caratterizzazioni del
trotskismo ortodosso avvenimenti e forze politiche-sociali che agitano il globo.
Il venire alla luce del macello polpottiano e la guerra tra Cambogia e Vietnam
aprono una nuova polemica all’interno del Segretariato Unificato.
Questa volta è la condanna del S.U. della Quarta Internazionale
dell’invasione vietnamita a provocare una reazione polemica tra i dirigenti
americani del SWP. Per Feldman e Clark[12]
l’invasione del regime di Hanoi va sostenuta perché la Cambogia, al contrario
del Vietnam, non sarebbe uno Stato operaio. L’evacuazione forzata verso le
campagne di milioni di persone sarebbe la dimostrazione lampante che Pol Pot
considera le masse urbane degli “irriconciliabili nemici di classe”. Inoltre la
nazionalizzazione dei mezzi di produzione, se non sostenuta dall’intervento dei
lavoratori, non basterebbe a instaurare uno Stato operaio.
Sulla base dei criteri utilizzati dal trotskismo nel dopoguerra, Mandel, ha
gioco facile a far notare quanto la tesi dei due dirigenti del SWP sia debole,
come sia difficile dimostrare che tra Cina, URSS o Vietnam ci sia una differenza
qualitativa, strutturale. Quali sono le caratteristiche fondamentali degli
stati operai secondo Mandel e la Quarta Internazionale?
(...) là dove c’è stata una riforma agraria, là
dove la borghesia esistente ha perso il potere statale e non è più una classe
dominante, là dove la proprietà privata è stata soppressa per l’essenziale, là
dove l’economia non funziona palesemente più sulla base dei rapporti di
produzione e di proprietà capitalistici e non segue più le leggi di sviluppo
del capitalismo, è nato uno stato operaio, indipendentemente dalle
circostanze in cui questo è avvenuto
[13]
(nostra sottolineatura).
Per Mandel, nella fase imperialistica del capitalismo nessuno stato può restare
“in mezzo al guado” tra il campo degli stati operai e quello degli stati
capitalistici, ecco perché l’espropriazione della borghesia trasforma
semi-automaticamente uno stato borghese in uno stato operaio. Ma questa tesi è
grottesca e contraddittoria in almeno tre delle basi su cui riposa:
1. Per Mandel lo Stato operaio si può instaurare senza l’intervento cosciente
del proletariato. L’essenza di Marx, l’idea che “l’emancipazione dei
proletari sarà opera dei proletari stessi”, viene di fatto negata.
2. Per Mandel non sarebbero stati operai quei paesi del Terzo mondo in cui la
nazionalizzazione delle industrie e del commercio è stata estesissima
(Mozambico, Egitto, ecc.) ma comunque “la proprietà privata non è stata abolita
né vietata dalla costituzione”. Questa argomentazione dà il destro alle critiche
dei teorici del capitalismo di stato quando affermano che l’analisi trotskista
tiene conto dei “rapporti giuridici di produzione” ma non dei “rapporti sociali
di produzione”. Tuttavia l’argomentazione di Mandel si dimostra ancora più
debole quando deve dimostrare, nella polemica con Moreno, che lo Stato
nicaraguense è operaio malgrado l’economia mista e la proprietà privata dei
mezzi di produzione sia garantita dalla Costituzione.
La metodologia, gli strumenti analitici e le categorie utilizzate dal trotskismo,
che fino ad allora potevano in qualche modo essere uno strumento di orientamento
politico, iniziano evidentemente a cortocircuitare. Il marxismo, da utensile
affilato per analizzare e trasformare la realtà, diventa una somma di categorie
metastoriche a cui la realtà va piegata.
Non che tutto il lavoro di analisi prodotto dal S.U. in questo periodo sia da
gettare: in molti casi le singole analisi di realtà socio-politiche nazionali,
di movimenti, ecc. prodotti da una struttura centralizzata ma con molte sezioni
nazionali, seppur deboli, in tutto il mondo risultano profonde, attinenti,
superiori alla media della pubblicistica in circolazione, come nel caso
dell’ascesa del proletariato iraniano o del movimento polacco di Solidarnosc
che esplode nell’agosto 1980.
Il S.U. coglie alcuni aspetti inediti e importanti della gigantesca
mobilitazione della classe operaia polacca, come il raggrupparsi intorno ad essa
di praticamente tutta la società contro gli oppressori, come primo tentativo di
risolvere il problema dell’autorganizzazione in modo duraturo da parte della
classe, come, infine, l’interiorizzazione da parte di un settore di lavoratori
della contrapposizione tra proprietà statale burocratica e proprietà sociale dei
mezzi di produzione.
Malgrado ciò il gruppo dirigente trotskista non intravede il processo di vero e
proprio sgretolamento dei regimi dell’Est, che diverrà evidente con l’ascesa di
Gorbacëv al potere in URSS. Non coglie, soprattutto, come questi stati siano
collegati per mille fili e dipendano in ultima istanza dal mercato mondiale.
Il “Rapporto sulla situazione politica mondiale” di Mandel da questo punto di
vista è utile per capire come l’uso di categorie desuete porti ad analisi e
previsioni diametralmente opposte al corso della realtà. In questo caso
la citazione è tanto più lunga quanto più è significativa:
Bisogna d’altra parte opporsi con forza a un’idea
che riaffiora continuamente secondo cui la tendenza a riforme economiche
realizzate in URSS, nell’Europa orientale e nella Repubblica popolare cinese,
così come la collaborazione economica più stretta tra i monopoli capitalistici
e le caste burocratiche al potere in quei paesi, potrebbe sfociare in una
restaurazione a freddo del capitalismo.
Più di quarant’anni fa, Trotsky aveva già
correttamente caratterizzato l’errore teorico che sta sotto a ipotesi di questo
tipo. Esso consiste nello “sviluppare il film riformista al contrario”, cioè
supporre che si potrebbe passare gradualmente da uno stato operaio a uno stato
borghese, nello stesso modo in cui i riformisti ipotizzano che si possa
gradualmente passare dallo stato borghese a quello operaio.
Ciò che il programma di transizione chiama la
“frazione Boutenko”[14]
della burocrazia esiste senza dubbio. Non si può d’altra parte dubitare del
fatto che la burocrazia con l’insieme delle sue scelte economiche e politiche,
mina i fondamenti dello stato operaio. ma una cosa è minarli, altra è
rovesciarli. Per rovesciare lo stato operaio non basta una lenta evoluzione.
Occorre una controrivoluzione attiva, violenta, brutale, tanto più violenta e
brutale in rapporto al fatto che non si tratterebbe solo di spezzare l’apparato
statale e di neutralizzare l’opposizione di una frazione non trascurabile della
burocrazia che si identifica con esso, ma soprattutto vincere le resistenze di
un proletariato molto più forte che in passato.”(nostra sottolineatura)[15].
Le stesse scelte organizzative risultano sfuocate. La proclamata “svolta verso
l’industria”, ovvero il tentativo d’inserire in fabbrica di militanti di
origine sociale non proletaria, viene rilanciata in occasione di questo
Congresso Mondiale.
La composizione sociale attuale della nostra
organizzazione è del tutto anormale. E’ un fatto storico e non una critica.
Anzi, lungi dall’essere una critica è stata proprio la capacità di reclutare
nella nuova generazione nella gioventù radicalizzata, a partire dall’inizio
degli anni sessanta, che ci fornisce oggi la possibilità di operare questa
svolta. (...) Solo partiti proletari, non solo dal punto di vista del loro
programma ma anche per la loro composizione e per la loro esperienza politica,
possono dirigere i lavoratori e i loro alleati nelle lotte che sono all’ordine
del giorno. (...)[16].
Questa svolta, impressa proprio quando ormai nelle grandi fabbriche le
assunzioni sono bloccate e sono iniziate le grandi ristrutturazioni, non può che
avere modestissimi risultati. Il tema della “proletarizzazione” del partito
verrà ulteriormente rilanciato nel successivo Congresso Mondiale, quando già le
sezioni hanno già di fatto abbandonato questo orientamento, e infine verrà
definitivamente e mestamente accantonato.
I GCR/LCR nel 1979
Malgrado dal mondo arrivino notizie importanti, come la caduta dello Scià in
Iran e quella di Somoza in Nicaragua, la situazione politica in Italia permane
difficile.
Il PCI nei primi mesi dell’anno esce dalla maggioranza e si prepara per le
elezioni anticipate.
Secondo i GCR il bilancio di questa “grande ammucchiata” per il PCI ma anche
per i lavoratori non può che essere magro, visti gli arretramenti subiti. Allo
stesso tempo si dimostra l’impossibilità di governi di lunga durata tra i PCI
in quanto partito operaio e partiti borghesi:
Sono tutti elementi che confermano il fatto che
dietro alla cosiddetta unità nazionale si volevano conciliare interessi opposti,
delle classi antagoniste, dei lavoratori e dei padroni e che continuamente
questa politica si scontra con questa inconciliabilità e continuamente rischia
di andare in pezzi. (...)[17].
Il Partito Socialista opera in questa fase dei tentativi di “smarcamento”
politico che lo rendano appetibile a settori in rotta dell’estrema sinistra (è
di questo periodo l’avvicinamento al partito di Craxi alcuni ex dirigenti di LC
e del MLS) della gioventù delusa dall’unità nazionale, ecc. E’ aiutato in questa
operazione dalla rumorosa campagna dei mass-media che hanno scoperto un nuovo
fenomeno: il cosiddetto riflusso.
Infatti la campagna del PSI, se da una parte torna ad agitare una “alternativa
di sinistra”, dall’altra rilancia il dibattito ideologico con il PCI a un
livello più avanzato, aprendo il fuoco della polemica contro il leninismo e il
marxismo (con la riscoperta di Proudhon) e richiamandosi apertamente alle
socialdemocrazie europee.
Per i GCR nelle manovre del PSI non c’è niente di nuovo:
(...) al di là delle polemiche, delle diverse
formulazioni, i due partiti riformisti praticano una comune politica, che li
porta in contesto di acuta crisi sociale e di una forte e profonda richiesta
della classe operaia di impegnarsi in una strategia di lotta anticapitalista, a
sviluppare fino in fondo, invece una politica controrivoluzionaria di
subordinazione degli interessi dei lavoratori a quelli del capitale (...)[18].
In questa fase la linea politica dei GCR e della LSR tendono a convergere
(orientamento verso i partiti riformisti del movimento operaio, parole d’ordine
del governo e del Piano Operaio, ecc.) tanto che la proposta di unificazione
lanciata nel 1978 sembra realmente concretizzabile. Ma dopo l’estate la
querelle sulle vicende della Brigata Simon Bolivar[19]
torna a congelare i rapporti tra le due organizzazioni.
Il 7 aprile con il blitz promosso dal magistrato padovano Pietro Calogero, di
area PCI, vengono arrestati tutti i principali dirigenti di Autonomia
(quelli che sfuggono alla retata verranno arrestati il 21 dicembre dello stesso
anno). Gli arresti eccellenti sono preceduti e seguiti da altre centinaia di
arresti, fermi e perquisizioni nei confronti di militanti dell’estrema sinistra.
Il clima d’intimidazione è accompagnato da una violentissima campagna
giornalistica contro gli autonomi.
Questa volta però, a differenza di Piazza Fontana e del ’77, la difesa degli
arrestati da parte dei GCR è debole. Si afferma che anche Valpreda venne difeso
da tutta la sinistra malgrado non si condividessero le sue idee, che l’azione
contro Autonomia si inquadra in un piano per attaccare nel complesso i
lavoratori.
(...) l’attacco va respinto. Va respinto
dall’insieme del movimento operaio come fu respinto l’attacco contro Valpreda.
(...) E soprattutto con una campagna contro l’offensiva antioperaia, contro il
solo uso degli apparati possibile a uno stato borghese, l’uso della riduzione
delle libertà, l’uso delle persecuzione delle opinioni, l’uso antioperaio e
antidemocratico[20].
Un anno più tardi a seguito dell’evolvere degli avvenimenti e della campagna
giornalistica costruita intorno al caso 7 aprile, Bandiera Rossa si
sofferma sulla tesi calogeriana del complotto:
Con il blitz del 7 aprile un anno fa è cominciata
la tesi di un grande complotto, fondato sulla finta dissoluzione di Potere
Operaio, diretto da alcuni cervelli segreti, professori particolarmente
diabolici; nella costruzione del diabolico complotto, tutte le forme di
contrapposizione al potere statale o in fabbrica sono state presentate come
parte di un piano eversivo complessivo: le lotte alla verniciatura alla FIAT e
gli scioperi autonomi degli ospedalieri sembrano diretti dallo stesso cervello,
sono parte dello stesso progetto che ha attuato il rapimento Moro o che uccide i
magistrati.....(...) La società non ha colpe, non ha responsabilità per la
violenza che genera dal suo stesso seno.
Il capitalismo, il regime di un trentennio
democristiano sono innocenti[21].
Le elezioni legislative anticipate e quelle Europee del giugno segnano un brusco
arretramento delle forze di sinistra. Le illusioni coltivate solo tre anni prima
sembrano definitivamente tramontate. Il PCI, che esce intorpidito da tre anni di
collaborazione con la DC, rimane ancora legato alla prospettiva del compromesso
storico, mentre il PSI prepara il suo rientro al governo, in quell’inedito
centro-sinistra che caratterizzerà tutti gli anni ’80. La “vecchia nuova
sinistra” è divisa ora in due raggruppamenti elettorali distinti: da una parte
c’è il PdUP e il MLS che parlano di “tutta la sinistra all’opposizione”, di
“nuovo modello di sviluppo”; dall’altra c’è la composita area che gravita
intorno a DP, che in questa tornata elettorale dà vita alla “lista di movimento”
Nuova Sinistra Unita (NSU).
I GCR affrontano la campagna elettorale rifiutando il sostegno a una lista
precisa ma invitando al voto “per una lista operaia”
PCI,PSI, PdUP-MLS, NSU (ma solo alla Camera): la
nostra è una indicazione di voto che difende la classe dall’offensiva DC,
coadiuvata e resa più agevole dalle azioni terroristiche, che difende la forza
dello schieramento operaio[22].
La svolta, impressa dai GCR nel 1978 verso la costruzione “lineare” della
propria organizzazione, comporta la scelta di dare un’indicazione di voto
generalmente a sinistra e rigettare invece l’indicazione per NSU, la lista più
contigua per orientamento politico.
La nostra è soprattutto una proposta di organizzazione, la difesa della
necessità di un partito che cominci ad apparire nelle lotte, nella battaglia per
l’unità della classe, nella rottura con ogni ipotesi di collaborazione con la
borghesia, un’alternativa alla strategia riformista del PCI e del PSI (...)[23].
La proposta di NSU invece sarebbe confusa e qualunquista. Nuova Sinistra
Unita rilancerebbe l’idea della “opposizione di lunga durata per preparare
l’alternativa di sinistra” mentre per i GCR bisogna dialogare con la base dei
partiti della sinistra riformista lanciando l’indicazione del governo operaio
PCI-PSI.
Le elezioni vedono la tenuta della DC che perde solo poche frazioni di punto e
dei partiti intermedi compensate dalla crescita del PSI (+1,8%).
I GCR, nel commentare i risultati, sono convinti che gli elettori hanno bocciato
la linea politica dei due principali partiti della sinistra. Se infatti
“il PSI puntava a raccogliere le spinte
radicaloidi e libertarie dei settori più inquieti della piccola borghesia
radicalizzata, frustrati dai risultati politici dopo il ’76, non ha fatto i
conti con il Partito Radicale, che queste spinte, come le elezioni stanno a
dimostrare, poteva raccogliere molto meglio, in una fumosa prospettiva politica
(...)”[24].
il PCI, al contrario, grazie al suo mettere in cima a tutto “gli interessi
generali del paese”, ha finito per perdere appeal in strati importanti
della popolazione.
Settori consistenti di elettorato oscillante -
soprattutto le grandi masse meridionali e i giovani - guadagnati a sinistra
nelle elezioni del ’75 e del ’76, non hanno oggi rinnovato la loro fiducia al
PCI e questo per un motivo semplicissimo: la politica di unità nazionale ha
duramente frustrato le loro speranze di cambiamento, la loro volontà politica
espressasi nel voto rosso del ’76, di farla finita con lo strapotere e
l’arroganza democristiana. (...)[25].
Nel biennio di fine decennio l’attacco frontale alla combattività che hanno
espresso i movimenti sociali negli anni ’70 non conosce sosta. Al ritorno dalle
ferie, la Fiat spedisce sessantun lettere di licenziamento. La motivazione dei
licenziamenti sono ufficialmente la contestazione di “comportamenti di non
collaborazione e di non lealtà con l’azienda” e viene preparata con un campagna
giornalistica ben orchestrata, in cui si adombra l’idea che i sessantuno si
siano macchiati di atti di terrorismo. Tra di loro ci sono anche due militanti
della Quarta Internazionale.
I militanti dei GCR della Fiat in una corrispondenza inviata al giornale colgono
quale è il punto di approdo della mossa di Piazza Marconi:
“L’obbiettivo reale di Agnelli è infatti aprirsi
la strada a un attacco più generale al sindacato per distruggerlo o per
costringerlo a subordinarsi alle sue scelte. La portata dell’attacco FIAT è
emersa ancora più chiaramente con il blocco delle assunzioni e con l’attacco al
controllo sulle assunzioni e sul collocamento esercitato dal Consiglio di
Fabbrica. Così emerge che l’attacco padronale è proprio un passo per smantellare
le più significative conquiste operaie e in particolare la capacità di controllo
e di veto dei Consigli di fabbrica sulle decisioni padronali. (...)”[26].
Nei primi giorni di novembre si tiene anche l’ultimo Congresso dei GCR, il
ventunesimo, che sancisce il cambiamento di nome dell’organizzazione in Lega
Comunista Rivoluzionaria. Denominazione che riprende quella delle sezioni
francese e spagnola, ma che vuole anche rappresentare una svolta nella vita
dell’organizzazione. La soluzione era già stata prospettata durante il Congresso
dell’anno prima, in cui erano state poste tre condizioni decisive per la
trasformazione da organizzazione federata a organizzazione nazionale: la
realizzazione di un sistema di stampa articolato per le diverse esigenze
dell’organizzazione, uno sviluppo dell’apparato tecnico e politico, una
centralizzazione e proletarizzazione crescente dell’organizzazione.
Ed effettivamente la ristrutturazione organizzativa negli ultimi due anni ha
fatto conoscere ai GCR una certa ripresa in termini di reclutamento, anche in
relazione all’arretramento generale (o addirittura scioglimento) delle altre
forze della nuova sinistra.
Dal punto di vista pubblicistico Bandiera Rossa è passata a settimanale
proprio nel 1979, con una evidenziamento delle tematiche legate al mondo del
lavoro; Critica Comunista registra un certo successo; mentre viene
varato anche un giornalino per gli studenti Potemkin, che sarà però
effimero.
Passi avanti sono registrati, anche se più limitati, pure nel processo di
“proletarizzazione dell’organizzazione” (come si noterà durante i 37 giorni
della Fiat).
I passi avanti nella proletarizzazione si sono avuti non solo con il
reclutamento di nuovi quadri operai (a Milano, Torino, Brescia), ma soprattutto
con la crescente capacità dei nostri militanti di essere elementi attivi e
trainanti nei luoghi di lavoro e nel sindacato. Le testimonianze più evidenti ne
sono il ruolo avuto nelle ultime settimane del contratto dei metalmeccanici e
nella battaglia per i 61 licenziati della Fiat (...)[27].
Per il resto il Congresso non discute l’evoluzione della situazione politica
italiana perché impegnato a discutere e ratificare i documenti del XI Congresso
Mondiale della Quarta Internazionale, che si terrà alla fine dell’anno.
1980: I trotskisti alle elezioni
La LCR, nel tentativo di farsi conoscere come organizzazione autonoma, decide
nella primavera del 1980 di presentare delle proprie liste alle elezioni
amministrative del giugno di quello stesso anno. E’ la prima volta (e anche
l’ultima fino ad oggi) che i trotskisti si presentano autonomamente in una
tornata elettorale italiana... e si presentano in ben due liste![28]
Secondo l’Ufficio Politico della LCR la situazione politica italiana è
caratterizzata dalla subordinazione dei partiti riformisti a quelli del capitale
principalmente sul terreno fondamentale della ristrutturazione delle fabbriche e
della produttività. Proprio perché la situazione esige una ripresa generalizzata
delle istanze di lotta la stessa linea politica di DP risulta confusa e
insufficiente.
DP resta ancora - ma ormai solo a Milano e, in
misura minore, in poche altre situazioni - il punto di riferimento di un’area
giovanile che non è rifluita, con una vaga coscienza antiburocratica e
difficilmente riconducibile a un’ipotesi precisa di costruzione del partito. A
quest’area è sufficiente un’identità anche vaga, un po’ radicale, un po’
pacifista, un po’ erede degli atteggiamenti migliori del ’68, ma anche del suo
moralismo. Tuttavia questa identità non serve affatto per un’offensiva verso la
base dei partiti riformisti, non favorisce la coesione organizzativa (DP rischia
di ridursi ad un’area di opinione) e non forma nuovi quadri in grado di
affrontare i momenti di crisi e di svolta.[29]
La Lega Comunista Rivoluzionaria, respingendo l’accusa di disperdere i
voti (“i veri e unici dispersori di voti sono coloro che avuti nel ’75-’76
milioni di voti...li hanno buttati via collaborando con la borghesia”) decide di
presentarsi in una manciata di città, province e regioni principalmente nel Nord
Italia, propagandando un programma che parla di
(...) battaglia perché il movimento operaio dia uno sbocco operaio e socialista
alla crisi borghese, perché da subito sia organizzata una vasta mobilitazione
unitaria contro l’attacco padronale per difendere e ottenere nuovi posti di
lavoro attraverso la settimana di 35 ore, perché il salario sia difeso dalla
inflazione e dall’attuale iagulario sistema fiscale, perché vengano battute le
posizioni di collaborazione con le forze borghesi, (...) perché la lotta del
proletariato imponga un governo operaio, un governo PCI-PSI (...)[30].
Il programma elettorale della LCR, pur cercando di presentare il complesso degli
orientamenti della organizzazione all’elettorato, affronta anche le questioni
più legate al carattere locale delle elezioni. I GCR si schierano per la
riconferma delle giunte rosse e quindi la riconferma della DC
all’opposizione nelle principali città italiane, contro le politiche d’austerità
che intendono tagliare i finanziamenti ai comuni, peggiorando così i trasporti,
la sanità e l’edilizia popolare.
Le liste sono compilate in modo di fornire un’immagine di organizzazione operaia
(lo slogan usato nella campagna elettorale è “Una lista operaia per la difesa di
dodici anni di lotte, del sindacato dei consigli, dei licenziati FIAT): a
Torino, che rimane uno dei punti di forza nazionali dell’organizzazione, vengono
presentati come capilista due dei sessantuno licenziati dell’autunno in FIAT
(Arcangelo Caforio e Pasquale Salerno), seguiti da altri operai della FIAT o
delegati FML come Rocco Papandrea. Nella lista troviamo comunque anche gli
intellettuali più conosciuti dell’organizzazione come Maitan, Moscato e Samonà.
Nelle elezioni amministrative c’è la tendenza allo scioglimento dei due blocchi
bipolari del PCI e della DC, che avevano condizionato tutta la politica
istituzionale degli anni ’70, col rafforzamento dei partiti intermedi, prima di
tutto il PSI, mentre si conferma la crescita dell’astensionismo. Nella gran
parte dei casi anche se risicatamente sono riconfermate le giunte di sinistra e
di centro-sinistra.
Il giudizio dell’Ufficio Politico della LCR coglie come la situazione di stallo
elettorale preluda a un ulteriore attacco in profondità alle conquiste dei
lavoratori degli anni precedenti.
(...) all’interno degli stessi dati elettorali
è già visibile il riflesso della crisi del movimento operaio e delle sue
difficoltà. La crescita del PSI è in parte dovuta all’interno apporto del voto
radicale; (...) I voti che i radicali hanno convogliato sul PSI hanno oggi un
duplice segno: sono, è vero un ritorno in campo operaio ma appoggiano a breve
termine una linea, quella di Craxi, che ne approfondisce le rotture interne[31].
I risultati elettorali della LCR, nelle città e nella province in cui si è
presentata, sono assai modesti[32],
poco più di dodicimila voti, anche se, a Torino, Brescia e Pordenone, supera il
livello fisiologico di voti che raggranella qualsiasi lista che si presenti. La
campagna elettorale della LCR, mancando di fondi e di possibilità di apparire
sui mass-media, si è basata sugli strumenti tipici delle campagne elettorali
“povere”. Volantinaggi, vendita del giornale, qualche manifesto, comizi che,
quando va bene, raccolgono qualche centinaio di persone.
I GCR fanno però un bilancio positivo di questa loro prima esperienza nell’arena
elettorale.
Voti di generico dissenso non ne abbiamo presi.
Non potevamo prenderne. Per chi voleva votare a sinistra c’era di tutto: il
mastodontico PCI, il Partito socialista legato alle grandi socialdemocrazie
occidentali, il PdUP preoccupato dell’unità della sinistra e DP più attraente
per i giovani più critici verso le burocrazie (...) Chi ha votato LCR (...)
sapeva di votare per un’organizzazione piccola che quasi certamente non avrebbe
avuto eletti: ha votato quindi per un programma e per una possibilità di
alternativa al fallimento dei riformisti e al riflusso della nuova sinistra[33].
Ultima fermata: Mirafiori
Sulla FIAT - il più grande complesso industriale italiano privato - negli anni e
decenni scorsi si è consumato un fiume d’inchiostro. E’ normale, se si pensa che
è dalla FIAT sono partite molte delle innovazioni e trasformazioni tecnologiche
che poi troveranno applicazione generalizzata; che è da Corso Marconi che
partono spesso indicazioni precise per la politica economica del governo; ed è
anche alla FIAT dove il ’69 è stato più caldo.
E quindi passa prima di tutto dalla FIAT il tentativo di piegare i lavoratori,
di instaurare nuovi rapporti di forza nella fabbriche. Alle ottimali condizioni
politiche e sociali per l’offensiva padronale - dopo tre anni di costante
lavoro ai fianchi della classe operaia - si vanno ad aggiungere i problemi
connessi con la crisi mondiale del mercato dell’auto (il 70% del mercato è solo
di sostituzione), che impone una ristrutturazione profonda alla casa
automobilistica di Torino.
L’estate appena trascorsa ha portato alla ribalta il movimento della classe
operaia polacca. Lì, malgrado gli evidenti limiti di direzione, è balzato
all’occhio quali devono essere le condizioni soggettive per vincere una lotta:
compattezza nello sciopero, massima democrazia nell’elaborazione e nella
gestione delle lotte, pubblicità delle trattative, esautoramento delle
burocrazie sindacali e formazione di comitati di sciopero eletti dai lavoratori.
Sotto questo profilo l’esperienza dei Cantieri Lenin di Danzica è straordinaria.
È quindi normale che gli operai FIAT, rientrati dalle ferie con la prospettiva
di 12.000/15.000 licenziamenti, vogliano “fare come in Polonia”. Ma, mentre in
Polonia il sindacato e il Partito Comunista sono totalmente discreditati, in
Italia ricevono ancora la fiducia dei lavoratori.
Comunque gli scioperi a tempo indeterminato si estendono rapidamente anche se
PCI e Sindacato non sono entusiasti.
Se Berlinguer, nel celebre comizio davanti a Mirafiori si arrischia ad affermare
che se “gli operai decideranno di occupare la fabbrica, il PCI sarà con loro”,
Gerardo Chiaromonte in un articolo su Rinascita precisa i termini della
questione.
È bene ripetere che noi non abbiamo suggerito né spinto verso queste forme di
lotta. Ma non potevamo non affermare che se i sindacati dei lavoratori le
avessero scelte noi saremmo stati con loro. E precisa: ‘Ma voglio aggiungere
che nel concreto ci siamo adoperati in ogni sede perché non si ricorresse a
queste forme estreme di lotta, che avrebbero reso ancora più difficile e incerto
l’esito della lunga vertenza[34]
(nostra sottolineatura).
Il PCI tende a sminuire il significato della lotta FIAT riducendola a vertenza
aziendale, benché importante. Al contrario la LCR si butta a capofitto nella
lotta perché ha chiaro quale sia la posta in gioco per tutto il proletariato
italiano.
Ma per la LCR è evidente che con questi sindacati sarà molto difficile vincere:
I lavoratori non possono dunque avere nessuna
fiducia nelle attuali direzioni sindacali. Il fallimento della loro strategia è
completo. Di fronte all’intensificarsi dell’attacco padronale e governativo non
pensano affatto a mutare tattica ma marciano a ritroso, svendita dopo svendita.
(...)”[35].
Questa volta la LCR può giocare un certo ruolo nella vicenda: alla FIAT negli
ultimi anni ha raccolto un buon numero di militanti, la sua attività politica e
sindacale è conosciuta dai lavoratori, due dei sessantun licenziati sono della
LCR, Rocco Papandrea è delegato sindacale della Meccanica Mirafiori. A loro
supporto c’è tutta la sede di Torino, ma in alcuni momenti anche alcuni quadri
nazionali si spostano a Torino. Bandiera Rossa dà un ampia copertura agli
avvenimenti[36].
Si cerca di dare anche respiro internazionale alla lotta invitando a Torino
sindacalisti trotskisti spagnoli e svedesi del settore auto.
Come in ogni grande lotta, la classe operaia della FIAT dimostra coraggio,
decisione, generosità. Se dopo le prime settimane la lotta comincia a dare segni
di stanchezza (anche per la accorta tattica della FIAT che trasforma i
licenziamenti annunciati in cassa integrazione a zero ore), se gli scontri
davanti ai picchetti si fanno più frequenti, se decine di giorni di sciopero
iniziano a pesare sui bilanci familiari, è anche vero che l’energia e la
fantasia dei lavoratori si dimostra eccezionale. Tutti i giorni i cancelli sono
frequentati da migliaia di lavoratori che vogliono discutere e capire come
continuare la lotta, la notte i giovani che tornano dai concerti si fermano
davanti ai fuochi dei picchetti a portare solidarietà. Tuttavia, dopo
trentasette giorni di lotta e dopo la famosa “marcia dei quarantamila”,
l’accordo viene firmato. L’Unità parla di “grande vittoria dei lavoratori
torinesi” e diffonde subito un volantino con cui difende l’accordo. L’assemblea
con Lama, Carniti e Benvenuto si trasforma in una corrida in cui sulla
presidenza vola di tutto. Il Consiglio di Fabbrica respinge l’accordo. Per le
votazioni sull’accordo tra tutti i lavoratori il sindacato, con uno stile degno
dei gangsterismo della AFL-CIO americana, usa tutti i mezzi per vincere la
consultazione tra i lavoratori. La LCR emette immediatamente un comunicato per
respingere l’ipotesi di accordo, per segnalare che se passerà questo accordo la
frana del movimento sindacale si trasformerà in slavina.
È una lotta drammatica perché i dirigenti
sindacali hanno fatto di tutto per portare all’interno dei lavoratori FIAT il
cedimento, hanno fatto di tutto per causare al loro interno violente, laceranti
divisioni. (...) Non è un tradimento improvviso della burocrazia sindacale.
Lama, Carniti, Benvenuto (...) portano avanti da tempo una linea di cui il loro
comportamento attuale di disprezzo della volontà operaia, è solo la più
drammatica conclusione[37].
Di fronte però ai fenomeni di stracciamento delle tessere del sindacato, che si
diffonde nei reparti, la LCR si oppone decisamente.
La LCR dice: ‘NO! Questo sindacato dei Consigli
che abbiamo costruito, compagni, con le nostre lotte, questo sindacato
antipadronale e di classe, non si straccia: va difeso, va rafforzato, deve
essere strumento efficace della lotta.’ Non ci servono, come in Polonia, nuovi
sindacati. (...)[38].
Il PCI, invece dopo aver parlato di “vittoria”, è ora impegnato in una nuova
versione interpretativa dell’accordo. Se ne fa promotore Lucio Libertini:
Se dunque vogliamo che la FIAT vinca davvero,
copriamo l’accordo di disprezzo, abbandoniamolo a se stesso, lasciamo che lo
calpestino. E’ questo che vuole la grande stampa, la quale velenosamente incita
i lavoratori alla demoralizzazione, all’abbandono. Se invece vogliamo andare
avanti, rispondere colpo su colpo, occorre gestire l’accordo, farlo funzionare,
far funzionare tutte le garanzie che esso contiene...[39]
I bilanci degli operai sono meno raffinati e lungimiranti di quelli di un
qualunque dirigente del PCI. Come quello che fa il delegato Giovanni Falcone
nella assemblea conclusiva dei delegati:
Un compagno poche sere fa mi diceva: ‘E’ un
fatto storico (...) si chiude un’ epoca.(...) Mi lascia l’amaro in bocca,
questo. Perché per me dodici anni di lotta non sono stati soltanto dodici anni
di lotta così, ma è stata una lunga esperienza politica. (...) Ci pensate? Un
operaio che viene su dalla campagna, come tanti altri. Non sapevo dire una
parola....tanta timidezza (...) fare discorsi politici! (...) E’ una minoranza,
sicuramente che ha fatto le cose, la minoranza degli operai. (...) Noi se
avessimo avuto la maggioranza degli operai che partecipavano attivamente, cioè
che tutti venivano in Piazza San Carlo, che tutti stavano davanti ai cancelli,
cari compagni, noi non credo che avremmo respinto solo i licenziamenti, ma
senz’altro avremmo fatto le cose più grosse. La Polonia ci insegna....un paese
come la Polonia, avete visto cosa hanno fatto avendo avuto il consenso di tutti
gli operai?! (...) (Marinetti: ‘Tempo compagno cerca di concludere’). Non ti
preoccupare compagno, ho anche il diritto dopo dodici anni mi cacciano fuori,
concedetemi, almeno, di parlare ancora (applausi scroscianti), perché io credo
(tra gli applausi) io credo che questa possibilità, come delegato Fiat, come
operaio Fiat, non ce l’avrò mai più. Almeno ho la soddisfazione di aver chiuso
in bellezza e sono contento di tutte le lotte che ho fatto, al di là che il
padrone non mi riprenda più (ovazione)”.[40]
Il decennio seguente sarà la stagione della controffensiva del capitale, della
devastante sconfitta operaia, del ripiegamento nella vita privata e
nell’omologazione ai canoni della vita quotidiana vigenti, dell’abiura di dieci
anni di lotte e di speranze.
Già nei primi anni ’80 il paesaggio e il panorama sociale risultano
completamente trasformati dalla repressione contro le avanguardie e dalla
ristrutturazione nelle fabbriche: i quartieri periferici dominati dai
casermoni-dormitorio sono tornati grigi e silenziosi, nelle fabbriche la
rettitudine e la laboriosità, assieme al paternalismo aziendale, allignano
sovrani. Gli anni settanta diventano una stagione lontana e buia da ricostruire
con il codice penale in mano.
Per i militanti della Quarta Internazionale e degli altri gruppi
trotskisti si apre una nuova difficile fase.
[1]
Lotta Continua per il comunismo n 9 Areté giugno-luglio 1981 “Un
contributo sul carcerario”
[2]Quaderni
di critica comunista n 2 L. Maitan “Crisi del marxismo versione
fine anni ’70” (Milano,1980).
[3]
Magazzino sembra non cogliere il significato di un particolare che
pure menziona e cioè del fatto che durante molti giorni era stato
organizzato un mercato nero delle merci espropriate. Per dirla in termini
economici, il black out stesso, non era dunque, che un’operazione di
redistribuzione del reddito nel rispetto, sia pure in forma anomala, delle
leggi del mercato, o, per dirla in termini socio-politici, era rimasto
dentro il sistema, nei cui meccanismi si era rapidamente reinserito.” L.
Maitan op. cit. pag.46-47
[4]
Bandiera Rossa n 5 10 febbraio 1980.E.Pellegrini “Lavoratori
italiani, immigrati: il vostro nemico è uno, il padrone”
[5]
GCR “Documenti internazionali” n 3 (ottobre, 1977) Democrazia socialista e
dittatura del proletariato.
[6]
GCR “Documenti internazionali” ibdem
[7]
GCR “Documenti internazionali” ibdem
[8]
N. Moreno “La dittatura rivoluzionaria del proletariato” (Torino, 1979) pag.
9
[9]
N. Moreno, ibdem pag. 35
[10]
N. Moreno, ibdem pag. 56
[11]
Per una trattazione sommaria di questa vicenda e le sue ripercussioni in
Italia vedi l’appendice B di questo volume.
[12]
Gli estensori dell’articolo “Uno stato operaio il regime di Pol Pot?” in
Quaderni di Critica Comunista n 2 “Indocina ’79” (Milano, 1979)
[13]
E. Mandel “I problemi posti dagli scontri militari nel sud-est asiatico” in
Quaderni di critica comunista n 2
[14]
Ovvero una frazione filo-capitalista della burocrazia dal nome di un
burocrate sovietico degli anni ’30.
[15]
E. Mandel “Rapporto sulla situazione mondiale” in Quarta Internazionale
nuova serie n 1 (settembre-dicembre, 1980)
[16]
J. Barnes “La svolta verso l’industria e i compiti della Quarta
Internazionale” in Quarta Internazionale cit.
[17]
Bandiera Rossa n 4 5 marzo 1979 “La crisi della Unità nazionale e la
crisi di direzione del paese”
[18]
Bandiera Rossa n 15 23 settembre 1979 “Socialisti: ma quale
alternativa?”
[19]
Vedi per un resoconto dettagliato delle polemiche sulla politica trotskista
in Nicaragua e le sue ripercussioni in Italia nell’appendice dedicata alla
LSR.
[20]Bandiera
Rossa n 1 maggio 1979 “Chi era d’accordo con le idee di Valpreda?
Eppure è stato difeso dal movimento operaio”.
[21]
Bandiera Rossa n 18 11 maggio 1980.
[22]Bandiera
Rossa n 5 29 maggio 1979 “Elezioni e partito rivoluzionario”.
[23]Bandiera
Rossa n 5 doc. cit.
[24]Bandiera
Rossa n 7 12 giugno 1979 “La collaborazione di classe si paga. Solo la
lotta di classe fa avanzare”.
[25]Bandiera
Rossa n 7 ibdem
[26]Bandiera
Rossa n 19 21 ottobre 1979 “Fiat: con l’alibi del terrorismo si nega
legittimità alle lotte”.
[27]Bandiera
Rossa n 22-23 18 novembre 1979 “Lega Comunista Rivoluzionaria. Un nome
nuovo per un’organizzazione che va avanti”.
[28]
Durante la stessa tornata elettorale amministrativa si presenta in alcune
città anche la LSR. Vedi appendice A.
[29]
Bandiera Rossa n 18 11 maggio 1980 (segnalato erroneamente 1978) L.
Cirillo “La straordinaria disinvoltura di DP nelle scelte delle prossime
elezioni”
[30]
Bandiera Rossa n 6 17 febbraio 1980 “Le ragioni della nostra scelta”
(risoluzione dell’Ufficio Politico della LCR 1-3 febbraio 1980).
[31]
Bandiera Rossa n 23 15 giugno 1980 “Unità nelle lotte tra PCI
e PSI! Questa è la lezione che emerge dal voto dell’8 e del 9 giugno”.
[32]
La LCR riceve a Torino città malgrado la presenza di DP 2.736 voti (0,4%),
mentre in città dove non sono presenti il PdUP o DP come Brescia o Pordenone
raccoglie rispettivamente lo 0,4% e lo 0,8%. Nelle altre città il risultato
è ancora più limitato: Milano 851 voti (0,07%), Genova 780 voti (0,15%),
Taranto 310 voti (0,22%).
[33]
Bandiera Rossa n 23 art. cit.
[34]
AA.VV. “Con Marx alle porte” (Milano, 1980) pag. 65.
[35]
Bandiera Rossa n 31 E. Deiana art. cit.
[36]
Al termine della vicenda le Nuove Edizioni Internazionali (la piccola
casa editrice della LCR ) pubblica il volumetto “Con Marx alle porte” curato
dal direttore di Bandiera Rossa E. Pellegrini (ma che si avvale del
contributo degli operai trotskisti della FIAT) in cui vengono ricostruiti i
37 giorni di lotta alla FIAT.
[37]
Bandiera Rossa n 36 26 ottobre 1980 “Risoluzione dell’Ufficio
Politico della LCR sull’ipotesi di accordo”.
[38]
Bandiera Rossa n 36, ibdem.
[39]
citato in “Con Marx alle porte” op. cit. pag. 74-75.
[40]M.
Revelli trascrizione dell’assemblea del 15 ottobre 1980 ora in P. Ginsborg
op. cit.
|